La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
La finanza sostenibile in Europa continua la sua marcia
Eurosif ha pubblicato la nuova edizione del suo report biennale sulla finanza sostenibile in Europa. I dati evidenziano una crescita su tutti i fronti.
L’Europa si è data alcuni obiettivi ben precisi per vincere la sfida del clima: entro il 2030 il 32 per cento del consumo lordo di energia dovrà provenire dalle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica andrà migliorata del 32,5 per cento. Per una transizione di portata così ampia, la volontà politica da sola non basta. Servono anche le risorse, tante. Per la precisione – dicono alcune stime – ogni anno, da qui al 2030, bisognerà investire 180 miliardi di euro in più rispetto a oggi. È evidente che un peso del genere non può essere sopportato unicamente dalle casse statali, quindi i capitali privati devono entrare in gioco in modo preponderante. È questo uno dei tanti motivi per cui bisogna guardare con attenzione ai nuovi dati sulla finanza sostenibile in Europa, contenuti nel report biennale pubblicato il 26 novembre da Eurosif (il Forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili).
Continua a crescere la finanza sostenibile in Europa
Ai loro esordi, gli investimenti Sri (sostenibili e responsabili) venivano trattati come degli outsider, destinati a rivestire un ruolo inevitabilmente di secondo piano rispetto a quello della finanza “vera”. A questo punto, però, è evidente che si tratta di una realtà molto più radicata.
Il report di Eurosif monitora 13 mercati europei, tra cui l’Italia. I risultati, positivi su tutti i versanti, si dimostrano in linea con le aspettative favorevoli nutrite tanto dal mondo della politica quanto da quello della finanza. Molto incoraggiante è anche il crescente interesse da parte degli investitori retail, cioè i comuni risparmiatori che si rivolgono alla loro banca per far fruttare il loro patrimonio, grande o piccolo. Eurosif sottolinea però il fatto che, in questi casi, l’offerta ancora non sia adeguata alla domanda. In altre parole, il risparmiatore vede intorno a sé una grande confusione e fatica a trovare prodotti finanziari in linea con i suoi principi etici.
Passi da gigante per l’integrazione dei criteri Esg
Scandagliando i dati, si scopre che gli asset sono suddivisi quasi equamente tra obbligazioni (40 per cento) e azioni (47 per cento). Fra le sette strategie per investire responsabilmente, solo due mostrano il segno “meno” rispetto al 2015. La prima è la più basilare, cioè l’esclusione dall’universo dei possibili investimenti di alcune attività ritenute poco etiche, in primis il tabacco; pur con una lieve flessione, però, si conferma come la più diffusa nel Vecchio Continente. Più consistente invece il calo del cosiddetto norm-based screening, cioè della selezione di imprese e stati che hanno siglato le convenzioni internazionali dell’Onu e di altre sue agenzie. Un criterio che, secondo Eurosif, ormai nella maggior parte dei casi viene affiancato ad altri.
Tutte le altre strategie, invece, nell’ultimo biennio mostrano una crescita tangibile. La più sorprendente (+27 per cento) è quella dell’integrazione delle istanze Esg (ambientali, sociali e di governance) nella tradizionale analisi finanziaria. Eurosif mette in risalto anche la sempre maggiore diffusione dell’engagement: gli investitori europei sono sempre più propensi a entrare in contatto diretto con le società, incoraggiandole a far evolvere il loro modello di business. La strategia più “nuova” e per certi versi rivoluzionaria, cioè l’impact investing, è cresciuta del 52 per cento negli ultimi sei anni; nell’ultimo biennio fa un balzo in avanti notevole soprattutto in Italia e Spagna.
Foto in apertura © Stefan Widua / Unsplash
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