La finanza sostenibile crea valore nel lungo periodo, sia per l’investitore sia per il Pianeta e la società. Un approccio che riscuote sempre più successo.
“Raggiungere la neutralità climatica richiede sia volontà politica, sia investimenti. Dobbiamo portare a bordo il mondo della finanza”. Sono le parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che ha incentrato il suo mandato proprio sulla promessa di azzerare l’impatto climatico del Continente entro il 2050. Ed è vero che la finanza può fare la sua parte per costruire un mondo migliore, un mondo fatto di equilibrio con il Pianeta, equità sociale e prosperità condivisa. Non è un caso se si parla sempre più di finanza sostenibile.
Cos’è la finanza sostenibile
Lo sviluppo sostenibile, si legge nel rapporto Brundtland delle Nazioni Unite, è “in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Applicando questo principio, gli investimenti sostenibili creano valore sia per l’investitore sia per la società nel suo complesso, attraverso una strategia “orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo”, recita la definizione del Forum per la finanza sostenibile.
In gergo si parla proprio di fattori Esg, dall’inglese environmental, social e governance. Qualche esempio? Prima di investire in un’impresa, una società di gestione del risparmio può per esempio verificare che abbia adottato un piano di riduzione delle emissioni (environmental), protocolli per la salute e sicurezza sul lavoro (social) oppure politiche anticorruzione (governance). Queste valutazioni non sostituiscono quelle prettamente economico-finanziarie, ma le completano. L’investitore, infatti, mira sempre a ottenere un ritorno.
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30mila miliardi di euro di investimenti sostenibili
Stiamo parlando di una nicchia pionieristica? Tutt’altro. Ce lo dimostrano i dati più aggiornati che abbiamo a disposizione, riportati dal report biennale che la Global sustainable investment alliance (Gsia) ha pubblicato nel 2020. Sommando Stati Uniti, Canada, Giappone, Oceania ed Europa, si arriva a un totale di 35.300 miliardi di dollari di asset gestiti, pari a poco più di 30mila miliardi di euro. La crescita è tangibile: +25 per cento in due anni, +55 per cento rispetto a quattro anni prima.
Ormai ricade dentro la definizione di “investimenti sostenibili” il 35,9 per cento degli asset gestiti in questi mercati (nel 2018 la percentuale era pari al 33,4 per cento), con punte del 62 per cento in Canada e del 42 per cento in Europa (dove la crescita in realtà è rallentata nel biennio, ma solo per effetto di una modifica nella metodologia di misurazione). Stati Uniti ed Europa fanno la parte del leone, spartendosi l’80 per cento degli investimenti sostenibili monitorati tra il 2018 e il 2020.
Agenda 2030, il ruolo cruciale della finanza
A indicarci la rotta verso lo sviluppo sostenibile è l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, un piano globale per il Pianeta, le persone e la prosperità, costituito da 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) che i 197 Stati membri Onu si sono impegnati a conseguire entro il 2030. Obiettivi che però appaiono ancora più lontani dopo una pandemia che ha inasprito fame, povertà e disuguaglianza in vaste aree del Pianeta. Già prima del Covid-19, si stimava che per conseguire gli Sdgs fossero necessari 2.500 miliardi di euro l’anno di investimenti in più. Oggi, sostiene l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), il divario si è allargato di altri mille miliardi.
Ecco perché diventa importante, anzi imprescindibile, che anche i flussi finanziari vadano in questa direzione. “L’allineamento agli Sdgs sblocca le risorse, le indirizza verso le reali necessità e costruisce un’economia più sostenibile e inclusiva, che protegge dai rischi, crea resilienza e genera ritorni finanziari e crescita economica. Le motivazioni non sono mai state così forti”, rimarca l’Ocse. L’Accordo di Parigi, cioè il più importante trattato internazionale per il clima, lo mette addirittura nero su bianco: i flussi finanziari devono essere “coerenti con il percorso verso il contenimento delle emissioni di gas serra e uno sviluppo resistente ai cambiamenti climatici”, recita l’articolo 2.1.
I vari approcci della finanza sostenibile
Ma nel concreto come fa un investitore istituzionale a orientare i suoi capitali verso un modello più sostenibile? La prima strategia, la più basilare, è quella di escludere settori ritenuti poco etici come il tabacco, le armi, o magari anche i combustibili fossili.
Oppure si può optare per l’approccio opposto: non escludere, bensì andare alla ricerca di società che danno un contributo positivo. Si possono per esempio selezionare realtà che operano nel campo della salute, delle energie rinnovabili o delle tecnologie verdi (investimenti tematici), che ottengono performance Esg elevate (best in class) o che rispettano norme e standard internazionali; oppure integrare le istanze Esg nell’analisi finanziaria.
Chi sceglie l’impact investing e fa un passo in più, perché fa un investimento con l’intento dichiarato di conseguire sia un rendimento finanziario sia un impatto ambientale e sociale positivo, da misurare e rendicontare. Infine, l’azionista ha anche un grande potere: quello di dialogare con il management delle società partecipate o esercitare il proprio diritto di voto in assemblea. Un potere che può essere usato per incoraggiare politiche sostenibili (engagement).
Sostenibilità e rendimenti vanno a braccetto
La finanza sostenibile è un cambio di paradigma e, in quanto tale, può intimorire. Tra i falsi miti che la circondano ce n’è uno particolarmente ostinato: la convinzione per cui prendere in considerazione i fattori Esg significhi automaticamente mettere in secondo piano i rendimenti. In realtà, da tempo gli analisti sostengono proprio il contrario. Estrapolando i dati di Bloomberg, per esempio, la piattaforma specializzata Esgnews arriva a dire che nel 2020 l’84 per cento dei fondi europei contrassegnati come Esg abbia garantito un rendimento positivo. Chiaramente non è possibile stabilire un netto rapporto di causa-effetto, perché le variabili che entrano in gioco sono innumerevoli. È vero anche che ormai una vasta mole di ricerche di settore ha identificato correlazioni tra una migliore gestione delle questioni e dei rischi Esg da parte delle aziende e le loro performance finanziarie.
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