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Grazie al primo programma italiano di dynamic discounting sostenibile, una grande azienda può dare un sostegno finanziario concreto ai suoi fornitori e comunicarlo attraverso un claim etico.
Con l’emergenza coronavirus, innumerevoli piccole imprese si sono trovate costrette ad abbassare le serrande o reimpostare la propria routine di lavoro da un giorno all’altro. D’ora in poi la ripresa è tutta da costruire, ed è auspicabile che faccia perno sul meglio del nostro sistema Paese, su chi davvero crea valore e lavoro nel rispetto del territorio. Agli occhi di tutte queste piccole e piccolissime realtà, anche incassare i pagamenti con qualche settimana di anticipo può fare la differenza. Perché significa avere la liquidità per pagare gli stipendi ai dipendenti, far fronte agli adempimenti fiscali, sostenere le spese fisse (affitto, utenze, stipendi…) che si ripresentano puntuali ogni mese. A quest’esigenza sempre più trasversale dà una risposta FinDynamic, una fintech tutta italiana che si propone di trasformare la relazione cliente-fornitore, facendola diventare una vera e propria partnership orientata allo sviluppo sostenibile.
Tutto comincia nel 2016 all’interno del Polihub, l’incubatore d’impresa del Politecnico di Milano. Enrico Viganò, che già lavora nell’ambito della consulenza, inizia a studiare i sistemi per la cessione delle fatture (factoring e invoice trading), ricostruisce i loro punti di forza e di debolezza e decide di crearne uno nuovo, insieme al socio Ervis Jace. Nasce così una startup che ben presto si fa notare per i suoi caratteri profondamente innovativi, tanto da attirare l’attenzione di un colosso del calibro di Unicredit, che nel 2019 ne acquisisce una quota.
Enrico Viganó: “Per fare una buona start-up ci vuole coraggio per cambiare lo status quo, passione e capacità di ascoltare chi hai di fronte”.#TalentsinMotion pic.twitter.com/uBg1oLE1tc
— Oikosmos (@Oikosmos_) November 14, 2019
Sulla base di una piattaforma tecnologica proprietaria molto avanzata e in continua evoluzione, FinDynamic è il primo player a introdurre in Italia il dynamic discounting. I suoi interlocutori diretti sono le grandi aziende, che hanno un parco di centinaia (o migliaia) di piccoli fornitori. Una volta inseriti nel sistema, questi ultimi possono chiedere il pagamento anticipato delle fatture emesse, concedendo in cambio un piccolo sconto che varia a seconda del numero di giorni.
L’idea non è quella di porsi in contrapposizione rispetto al circuito bancario tradizionale, bensì di offrire un prodotto complementare, collaborando con le banche stesse.
Ma non è finita qui. Perché dal confronto continuo con gli imprenditori, grandi e piccoli, emerge forte e chiara un’opportunità. I vari meccanismi di supply chain finance (dynamic discounting compreso) possono diventare una leva per incentivare i comportamenti sostenibili nella filiera? Prende il via così il primo programma di dynamic discounting sostenibile di FinDynamic, che coinvolge anche Bureau Veritas come ente certificatore e LifeGate come media partner.
D’ora in poi, la grande azienda può chiedere che il suo impegno a favore dei piccoli fornitori venga riconosciuto formalmente, mediante l’attribuzione del cosiddetto claim etico (regolato dallo standard internazionale Iso 17003). Anzi, i claim etici sono due: con il primo l’azienda afferma pubblicamente di aver sostenuto i fornitori a livello finanziario; con il secondo invece dichiara di aver selezionato e premiato soltanto i fornitori più sostenibili. In entrambi i casi, attraverso il saldo anticipato delle loro fatture a condizioni più favorevoli rispetto alla media di mercato. Bureau Veritas si occupa della validazione del claim etico e della relativa verifica di conformità del programma con i presupposti del claim stesso.
“Stavamo ragionando su un sistema simile già da diversi mesi, ma quando è esploso il coronavirus sono stati i nostri clienti a chiedercelo con insistenza sempre maggiore. Le grandi aziende hanno intravisto il problema in anticipo perché qualsiasi crisi si ripercuote sulla filiera”, spiega a LifeGate Enrico Viganò.
“Un colosso dal fatturato miliardario può anche smettere di produrre per un mese, perché ha le spalle abbastanza larghe per sopravvivere. Il discorso è ben diverso se a fermare la produzione è un suo piccolo fornitore che non può contare su un grande patrimonio, ha una bassa marginalità e sostiene costi fissi che proporzionalmente risultano molto invasivi. Pensiamo a tutte quelle realtà molto specializzate che negli anni si sono cresciute il loro personale altamente qualificato. Per loro perdere anche un solo dipendente significa mandare in fumo un know how enorme e trovarsi in estrema difficoltà”. Di riflesso, la grande azienda non sa più a chi affidare la sua commessa. “In passato, la grande impresa comprava quella piccola pur di non perderla. Con il nostro strumento ha una possibilità in più, cioè quella di sostenerla durante i mesi più delicati”.
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