Il 2023 è il primo anno in cui, fin dal 1° gennaio, tutte le società devono emettere e ricevere fatture anche nei confronti dei soggetti esteri soltanto in formato elettronico e le fatture estere ricevute (ad esempio in pdf) devono essere integrate elettronicamente. L’obbligo infatti è scattato il 1° luglio 2022 e restano esclusi, ma solo fino al 2024, coloro che l’anno precedente sono rimasti entro i 25mila euro di ricavi con la partita iva individuale oppure hanno aperto la partita iva nel 2023 nel regime forfetario. Ma questo passaggio al digitale complica le cose o, viceversa, le semplifica? Siamo partiti da questa domanda per una chiacchierata a tutto tondo con Vincenzo Di Salvo, commercialista, co-founder di Pinv, software di analisi dei flussi di cassa, e Tax Coach, la prima piattaforma di commercialisti online specializzata in innovazione, che fa parte della rete di partner dell’ecosistema LifeGate Way. Perché, negli innumerevoli dibattiti, eventi e approfondimenti sulle startup, spesso il tema del fisco è il grande assente. Eppure, è la base della gestione di qualsiasi impresa. Quelle che rispondono a determinati requisiti, inoltre, possono godere di importanti agevolazioni per startup innovative. Insomma, è comprensibile che un founder non si senta troppo portato per gli aspetti amministrativi e fiscali, ma ciò non toglie che tra i suoi compiti ci sia anche quello di imparare a tenerne le redini. Con il supporto di uno studio specializzato e strumenti di analisi come Pinv.
La fatturazione elettronica è diventata obbligatoria per tutti. Cosa direbbe a chi è spaventato da questa novità? Ormai la fatturazione elettronica porta solo vantaggi. Attraverso i software per la gestione delle fatture, come Pinv, si tengono sempre sotto controllo tutti i parametri sull’andamento della propria azienda, si caricano i costi, si controllano le scadenze, si capisce quanto mettere da parte mensilmente e così via. Se si dovesse fare la stessa cosa attraverso un file Excel o un pdf, sarebbe molto più complicato. Oltretutto, il commercialista accede direttamente alla piattaforma per prendere i documenti che gli servono, senza doverli chiedere via mail. Nell’amministrazione, l’ordine e la gestione del tempo sono fondamentali. Molti si fanno fermare da dubbi come: “Cosa succede se sbaglio una fattura?”. Ma è un problema più che risolvibile, mal che vada si emette una nota di credito.
Quali sono le domande che i founder di startup le rivolgono più spesso? Uno dei dubbi più comuni è: è meglio costituire una startup come srl semplificata e ordinaria? Con la srl semplificata si risparmiano circa 600 euro di notaio, oltre al capitale sociale, ma lo statuto è standard e poco personalizzabile. Nel momento in cui bisogna fare un aumento di capitale o un crowdfunding, però, bisogna per forza passare dal notaio e aggiornare lo statuto oppure convertirla in srl ordinaria. Piuttosto, se il budget è poco si può costituire una Srl ordinaria ma a capitale ridotto. Al di là di questo, sulle cose importanti non bisogna andare al risparmio, anche per una questione di credibilità nei confronti degli investitori.
Molti chiedono anche quali sono i vantaggi di costituire una startup rispetto a una srl tradizionale. Le agevolazioni per startup sono effettivamente tantissime. Sono previste delle detrazioni per tutti gli investitori e per gli stessi soci; l’iter per il fallimento è semplificato rispetto a quello riferito alle società di capitali tradizionali e prevede delle agevolazioni; si riconosce il work for equity, cioè si possono remunerare i dipendenti con le quote; c’è la possibilità di aprire una campagna crowdfunding; si ha accesso a finanziamenti e bandi riservati esclusivamente alle startup innovative, a condizioni molto vantaggiose. Smart&Start Italia di Invitalia, per esempio, parte da 100mila euro e arriva a 1,5 milioni.
Quali sono gli errori più comuni che commettono gli startupper? Ci sono parecchi fraintendimenti sulla tipologia di adempimenti necessari per essere una startup innovativa. Per fare parte della categoria bisogna produrre un prodotto o un servizio altamente innovativo, come un software o un’app o un progetto brevettabile che può essere riferito sia a un oggetto che a un processo. Credo sinceramente che molte società registrate come startup in realtà non corrispondano a questi criteri e non ne siano nemmeno pienamente consapevoli, perché non sono seguite da uno studio specializzato.
L’innovazione è un mondo che corre veloce ed espone alla possibilità di insuccessi: è per questo che sono previste le agevolazioni per startup. Se però si scopre che l’impresa che ne ha beneficiato non rispettava i requisiti, può esserle richiesto di restituire tutto sia a lei che agli investitori. Vale lo stesso discorso per le startup benefit, cioè quelle che dichiarano di avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società. Il nostro consiglio è quello di identificare un responsabile all’interno della stessa e redigere report trimestrali sul lavoro che svolgono: non è un obbligo di legge, ma può mettere al risparo in caso di contestazioni.
La startup innovativa deve inoltre rispettare una di queste tre condizioni: investire in ricerca e sviluppo, avere un terzo del team con il dottorato o due terzi con la laurea magistrale, essere titolare di un software registrato oppure di un brevetto. Dopo cinque anni dalla costituzione si può trasformare in pmi innovativa, mantenendo gli stessi vantaggi fiscali; a quel punto però deve rispettare due di queste tre condizioni, leggermente riformulate.
In che modo un commercialista specializzato può aiutare lo sviluppo di una startup, al di là degli adempimenti formali? Lo studio può seguire la startup fin dalla costituzione, seguendo la crescita, lo sviluppo dell’attività e la ricerca degli investitori. Essendoci focalizzati sull’innovazione, noi riusciamo a offrire tutti questi servizi. Soprattutto se i founder hanno poca esperienza, possiamo anche accompagnarli alle riunioni con gli investitori. L’unica cosa di cui non ci occupiamo direttamente sono bandi, per i quali ci affidiamo ad alcune società partner. Questo perché i bandi sono tantissimi (solo nella regione Lombardia in questo momento ce ne sono un centinaio): quando la materia è così complessa, serve qualcuno che se ne occupi in modo verticale.
Per concludere, che consigli darebbe a chi apre una startup? Innanzitutto, chi avvia un’azienda deve mettersi in testa di dover seguire anche la parte amministrativa. È vero che c’è un commercialista, ma è vero anche che il founder deve riuscire da subito a capire come sta andando l’attività, cosa fare e come farlo. Il consulente ha il compito di fornirgli le linee guida.
Quando si costituisce una società bisogna poi definire la cap table, cioè la suddivisione delle quote tra i soci, in modo coerente con l’effort che ciascuno di essi ha intenzione di dedicare all’impresa. Altra cosa: non si può pensare di costituire una startup e lavorarci part time. Non basta avere una buona idea, bisogna anche saperla realizzare nei modi e nei tempi giusti; e per farlo bisogna dedicarvisi full time. Per una startup, l’execution è fondamentale.
Un ultimo consiglio: bisogna dotarsi dei tool e dei professionisti adeguati. Mi capita di discutere con clienti che preferiscono acquistare un software di seconda scelta per risparmiare un centinaio di euro l’anno. Ma se non è il founder a dare valore alla propria startup, perché dovrebbe farlo un investitore?
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