Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
La foce del Sarno è sommersa dalla plastica, la denuncia di Greenpeace
Nell’ambito del tour MayDaySOSPlastica, Greenpeace ha riscontrato uno scenario “scioccante” in prossimità della foce del fiume Sarno, in Campania.
Ambasciator non porta pena, ma la maggior parte della plastica che si riversa nei mari e negli oceani del pianeta arriva dai fiumi. Uno studio pubblicato nel 2017 ha rivelato che delle 4 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno vengono trasportate dai fiumi al mare, fino al 95 per cento viene da appena dieci fiumi. I corsi d’acqua sono anche responsabili dell’immissione dell’80 per cento delle microplastiche nei mari di tutto il mondo. Questo fenomeno è stato confermato da Greenpeace che, nell’ambito del tour MayDaySOSPlastica in collaborazione con Castalia, ha documentato l’allarmante inquinamento da plastica che affligge l’area marina in prossimità della foce del fiume Sarno, in Campania.
Uno scenario scioccante
Le rilevazioni dell’associazione ambientalista hanno evidenziato lo sfacelo ambientale dell’area adiacente alla foce del fiume, disseminata di rifiuti di plastica di ogni tipo, tra cui bottiglie, flaconi, bicchieri, buste, confezioni per alimenti, contenitori e imballaggi in plastica usa e getta. “Uno scenario scioccante con enormi quantità di rifiuti che invadono spiaggia e fondali, figlio inevitabile del modello di consumo basato sull’impiego di grandi quantità di plastica usa e getta – ha dichiarato con amarezza Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. – Come se non bastasse dobbiamo ricordare che quella documentata è solo la parte visibile del problema, i fiumi possono portare in mare anche grandi quantità di microplastiche non individuabili a prima vista”.
L’obiettivo di MayDaySOSPlastica
Il tour MayDaySOSPlastica, lanciato da Greenpeace Italia in collaborazione con con The blue dream project, ong che si occupa di preservare l’ambiente marino dall’inquinamento da plastica, è nato proprio con l’obiettivo di proteggere il mare da questo insidioso rifiuto e “rispondere all’allarme lanciato dal mare e dalle sue creature”, si legge nel comunicato di Greenpeace. Le due organizzazioni, insieme a ricercatori, biologi e video maker, stanno effettuando una spedizione di ricerca nel Tirreno Centrale a bordo della nave Mahayana per monitorare l’impatto dell’inquinamento da plastica nei mari italiani. Il tour è partito lo scorso 21 maggio e si concluderà l’8 giugno, in concomitanza con la Giornata mondiale degli oceani, all’Argentario.
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L’isola che c’è
La missione della spedizione è quella di evidenziare la presenza di una “isola che c’è, ma non si vede”, fatta di micro e macro plastiche accumulate dalle correnti marine. La plastica rappresenta una delle principali minacce all’ecosistema marino e mette in pericolo la sopravvivenza di oltre 800 specie animali. Tra le creature più minacciate ci sono le specie più iconiche, che oltre ad un’indispensabile funzione ecosistemica hanno anche un insostituibile valore culturale, come tartarughe marine e cetacei.
I giganti del mare sono in pericolo
I ricercatori del dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’università degli studi di Padova, in occasione dell’avvio del tour MayDaySOSPlastica, hanno presentato uno studio preliminare da cui emergono dati preoccupanti: nel nostro Paese ogni anno si spiaggiano in media 150-160 cetacei. Il 30 per cento dei decessi è causato dalle attività umane come il traffico marittimo e la pesca, mentre è in crescita la contaminazione da plastica. Questa tendenza viene confermata dai sempre più frequenti ritrovamenti di animali spiaggiati con grandi quantità di plastica nello stomaco, come la femmina di capodoglio incinta arenatasi a fine marzo a Porto Cervo, nel cui stomaco sono stati rinvenuti 22 chili di plastica.
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