La digitalizzazione è il tema del 16 novembre alla Cop29 di Baku. Perché non possiamo farne a meno, anche nelle strategie climatiche.
Una foglia di 23 milioni di anni ci dirà come sarà il clima del futuro
Foglie perfettamente conservate in un sito in Nuova Zelanda ci danno la fotografia di come hanno risposto le piante a condizioni climatiche che potremmo presto raggiungere.
Il sito di Foulden Maar in Nuova Zelanda è unico al mondo. Un antico cratere di un vulcano ormai spento che racchiude al suo interno centinaia di specie fossili perfettamente conservate. E tra queste un letto di foglie vecchie di almeno 23 milioni di anni, che ci riportano indietro ai tempi del Miocene. È qui infatti che i ricercatori hanno trovato un reperto eccezionale, capace di raccontare, per la prima volta, che i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera durante quel periodo erano relativamente alti e che alcune piante potevano raccogliere quel carbonio atmosferico in modo più efficiente delle piante odierne, per la fotosintesi. Ovvero hanno scoperto che ad elevati livelli di anidride carbonica è possibile possa corrispondere un’espansione delle foreste della terra.
Più CO2, più foreste
L’equazione parrebbe semplice, ma ovviamente non è così, come spesso accade quando si studiano le ere passate. I risultati, pubblicati sulla rivista Climate of the Past della European geosciences union (Egu) in uno studio intitolato “Elevated CO2, increased leaf-level productivity, and water-use efficiency during the early Miocene” (DOI: 10.5194/cp-16-1509-2020), indicano quello che potrebbe essere un parallelo con gli aumenti di anidride carbonica che stiamo registrando in questi ultimi anni.
“Poiché le foglie di Foulden Maar sono mummificate, il sito offre un’opportunità molto rara di effettuare misurazioni anatomiche e chimiche sulle foglie che si traducono direttamente in condizioni climatiche e atmosferiche nel momento in cui la foresta stava crescendo”, afferma in una nota l’autore principale dello studio Tammo Reichgelt, un paleobotanico presso l’Università del Connecticut e l’Osservatorio terrestre Lamont-Doherty della Columbia University.
Il cratere, che si è formato durante il primo Miocene 23 milioni di anni fa, ospitava un lago che si è lentamente riempito e, nel processo, ha preservato i resti della foresta pluviale subtropicale che vi cresceva, conservando praticamente intatte le lontane parenti delle foglie attuali. Nei sedimenti del lago formatosi dopo l’eruzione, strato dopo strato, foglia dopo foglia, i fossili hanno conservato stomi, vene e addirittura parte della composizione chimica.
I fossili per capire quale clima ci aspetta
Le decine di migliaia di fossili del sito , che includono pesci, ragni, insetti succhiatori e centinaia di altri insetti, nonché dozzine di specie vegetali, sono dei perfetti testimoni del clima del passato. Delle fotografie ben conservate che ci possono far capire quali erano le condizioni in cui queste foreste tropicali crescevano.
Ciò che sappiamo è che i fossili di Foulden Maar risalgono a un’epoca in cui le temperature globali erano in media di circa 5-6 gradi Celsius più alte di oggi e fino a 8 gradi Celsius più calde nel sud della Nuova Zelanda . “I nostri risultati suggeriscono che durante il periodo in cui esisteva la foresta pluviale intorno a Foulden Maar, la quantità di anidride carbonica nell’aria era compresa tra 450 e 550 parti per milione”, continua Reichgelt. “Per fare un confronto, l’attuale concentrazione atmosferica di anidride carbonica è di 411 parti per milione e si prevede che raggiungerà 500 entro il 2040 circa”.
Similitudini che potrebbero spaventare, se non debitamente approffondite. I ricecartori però sono convinti che questi alberi fossero più bravi dei moderni parenti a conservare l’acqua in condizioni di forte stress e che quindi potessero crescere rigogliosi anche in presenza di un’alta concentrazione di CO2. Quel che sappiamo, grazie anche ai rilievi satellitari, è che ad un’elevata concentrazione di anidride carbonica pare corrispondere un aumento della copertura forestale. Ciò che non sappiamo è come possano rispondere i moderni biota a condizioni fisiche e climatiche che di solito si verificano in ere geologiche, non in una manciata di secoli.
“Lo spostamento degli habitat e altri cambiamenti, sia a causa della temperatura che a causa di una maggiore tolleranza alla siccità, mette sotto stress le piante”, dice, “specialmente quelle che richiedono stabilità, come gli alberi longevi”.
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