Israele a Gaza sta attuando politiche che privano deliberatamente la popolazione delle risorse per vivere. Per il Comitato speciale dell’Onu è genocidio.
La cartografia degli attacchi israeliani sui civili a Gaza. Intervista a Forensic Architecture
Il team di ricerca Forensic Architecture ha mappato con telerilevamento e modellazione 3D gli attacchi israeliani su Gaza, evidenziando un pattern preciso contro i civili.
L’esercito israeliano nella Striscia di Gaza sta conducendo una campagna sistematica e organizzata per distruggere la vita, le condizioni necessarie alla vita e le infrastrutture che la sostengono. Gli attacchi sui civili non sono dunque casuali e a Gaza nessun luogo è sicuro. Sono le principali conclusioni a cui è giunto il team di Forensic Architecture, una delle più importanti agenzie di ricerca al mondo e con sede alla Goldsmiths University di Londra, raccolte nella piattaforma interattiva Cartografia di un genocidio e nel rapporto di oltre 800 pagine dal titolo Un’analisi spaziale della condotta dell’esercito israeliano a Gaza dall’ottobre 2023.
Dalla sua nascita nel 2010 Forensic Architecture, che nel corso degli anni ha collezionato numerosi premi internazionali, svolge indagini su casi di violazione dei diritti umani, attraverso la costruzione di modelli digitali e fisici, animazioni 3D, realtà virtuale e mappature. I territori palestinesi sono da tempo al centro delle sue ricerche e a partire dal 7 ottobre 2023 il team ha iniziato a raccogliere, verificare e mappare migliaia di attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza, con l’obiettivo di comprendere la portata e la natura di questi attacchi, l’entità dei danni e il numero delle vittime.
La ricerca si è focalizzata su sei filoni: il controllo spaziale della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, lo spostamento ripetuto e forzato dei civili, la distruzione delle risorse agricole e idriche, la distruzione delle infrastrutture mediche, la distruzione delle infrastrutture civili e l’attacco agli aiuti umanitari. La conclusione, contenuta nel rapporto richiesto anche dal Sudafrica nella sua causa per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia, è che gli atti di violenza dell’esercito israeliano contro i civili non rispondono al caso, ma a un disegno specifico. Un pattern che qualunque utente può osservare direttamente navigando sulla piattaforma interattiva, dove emerge il ripetersi costante di attacchi tra loro molto simili in termini di obiettivi, danni e vittime.
LifeGate ha tradotto il video di Forensic Architecture sulla “Cartografia del genocidio”. E ha intervistato Davide Piscitelli, coordinatore della ricerca.
Nella vostra ricerca sottolineate il concetto di pattern, cioè di attacchi israeliani ripetuti nello spazio e nel tempo contro la vita civile sulla Striscia di Gaza. Che cosa avete rilevato, nel dettaglio?
I pattern che abbiamo osservato attraverso il nostro lavoro di ricerca sulla condotta militare israeliana a Gaza indicano una campagna sistematica e organizzata di distruzione della vita civile, ma anche delle condizioni e delle infrastrutture necessarie per il sostentamento della vita stessa.
Un esempio molto chiaro viene dagli oltre 320 attacchi che abbiamo raccolto e confermato contro gli aiuti umanitari. Quando abbiamo iniziato a fissare questi episodi in una timeline e in una mappa ci siamo resi conto che nelle prime settimane dell’offensiva israeliana sul nord della Striscia di Gaza gli attacchi si sono concentrati sulle panetterie, le quali erano direttamente correlate alla distribuzione del cibo. Appena si creava una coda di persone per il cibo, si verificava un attacco. Nel momento in cui individui tanti attacchi simili che si susseguono, la conclusione è che si sta iniziando a targhettizzare quegli obiettivi, in questo caso le panetterie.
Poi abbiamo notato che quando le panetterie sono andate fuori servizio, come nel nord della Striscia di Gaza, e la distribuzione del cibo si è spostata nei rifugi, gli attacchi dei militari israeliani hanno iniziato a concentrarsi su questi ultimi. In seguito, anche le persone addette alla distribuzione degli aiuti umanitari (e i loro mezzi di trasporto) sono state targhettizzate e uccise dai militari israeliani. Fin dall’inizio, è emersa una correlazione tra i luoghi in cui il cibo viene prodotto e distribuito e gli attacchi dei militari israeliani. Tutto questo respinge la tesi di una casualità degli attacchi su questi obiettivi umanitari: l’attacco singolo non ti dice molto ma quando metti insieme, nello spazio e nel tempo, centinaia di attacchi simili si osserva un chiaro disegno, un intento.
Oltre agli attacchi israeliani sugli aiuti umanitari c’è poi anche la questione dei campi agricoli. È fondamentale osservarli nel loro complesso. Alla fine di agosto il 70 per cento dei campi agricoli della Striscia di Gaza era stato distrutto e questo significa che gli attacchi non hanno riguardato solo i luoghi in cui il poco cibo che entra è distribuito, ma anche quelli dove viene prodotto. Un altro punto importante è che dal 7 ottobre 2023 ad agosto 2024 almeno 35 ospedali su 36 sono stati messi fuori servizio dagli attacchi israeliani almeno una volta. Mettere fuori servizio un ospedale non solo è un assalto ai servizi per il sostentamento della vita ma è anche un modo per dislocare continuamente le persone perché l’ospedale è anche un luogo di rifugio per la popolazione. Quando vengono messi fuori servizio pochi ospedali si può trovare una giustificazione, quando la pratica riguarda praticamente la totalità degli ospedali in Gaza emerge un pattern evidente.
Oltre il 70 per cento delle scuole sono state attaccate, più del 90 per cento dei siti culturali sono stati distrutti. Quest’ultimi sono uno degli esempi di come non ci sia solo l’intento di distruggere la popolazione palestinese ma anche la loro storia. C’è un piano e un intento dietro alle azioni dei militari israeliane, colpire obiettivi civili non è un caso o un errore.
Secondo la mappatura degli attacchi che avete costruito, ci sono zone sicure nella Striscia di Gaza?
Un elemento centrale di ricerca è stato lo spostamento forzato delle persone. Inizialmente dal nord di Gaza verso il sud, che era ritenuta una zona sicura. Mentre le persone venivano forzate a spostarsi verso sud, una campagna di bombardamenti è avvenuta su tutta Gaza, comprese le zone in cui le persone stavano scappando, e abbiamo confermato incidenti anche sulle vie di sicurezza come la strada di Salah al-Din e al-Rashid.
Gli ordini di evacuazione sono uno strumento di violenza e di confusione, le istruzioni fuorvianti sono una tattica. Non è casuale, non è un errore: c’è una strategia nel confondere la popolazione con spostamenti continui, una violenza psicologica ma anche fisica. Dopo essere state continuamente spostate verso sud, a maggio con l’invasione da parte dei militari israeliani di Rafah, alle persone è stato ordinato di spostarsi ancora e sono state concentrate nella cosiddetta “zona umanitaria”, a ovest. Le zone sicure, con il passare del tempo, sono state sempre più ridimensionate fino a coprire solo il 13 per cento della Striscia di Gaza a settembre 2024. Già stiamo parlando di una delle zone densamente più popolate al mondo, figurati concentrare oltre un milione di persone in quella piccola porzione, dove peraltro molti edifici e infrastrutture erano già stati distrutti.
Tra maggio e settembre abbiamo registrato almeno 11 attacchi nella “zona umanitaria”, che significa che a Gaza nessuna zona è sicura.
Come avete fatto a raccogliere tutto il materiale al centro della ricerca e a costruire la cartografia del genocidio israeliano nella Striscia di Gaza?
Non è stato semplice lavorare a questo progetto perché ci siamo dovuti adattare al contesto, cambiando anche alcune delle nostre metodologie di lavoro a causa della quantità di violenza che abbiamo individuato e per la grandissima mole di informazioni disponibili. Di solito come Forensic Architecture analizziamo eventi specifici o singoli, qui invece parliamo di migliaia di incidenti.
Le fonti principali a cui ci siamo affidati sono soprattutto osint, materiale pubblico e accessibile a tutti, contenuti sui social e su Telegram. Poi ci affidiamo a dataset che reputiamo affidabili come quello dell’Onu. Tante informazioni ci arrivano direttamente da Gaza, da dove abbiamo ricevuto video e testimonianze scritte e vocali. Il nostro lavoro sulla Palestina non è iniziato ora, sono più di dieci anni che facciamo progetti sulle violazioni dei diritti umani di Israele, abbiamo ricercatori locali e un’unità di Forensic Architecture è basata proprio in Palestina, a Ramallah.
Poi ovviamente abbiamo accesso a immagini satellitari. L’analisi sulla devastazione dei campi agricoli per esempio è stata fatta principalmente attraverso il satellite, che ha permesso di confermare o corroborare alcune delle testimonianze che abbiamo ricevuto, o i video che abbiamo analizzato. Attraverso l’immagine satellitare possiamo per esempio confermare che quell’edificio è stato veramente distrutto perché il giorno dopo l’incidente individuato in quel luogo vediamo dal satellite che proprio lì ci sono macerie che prima non c’erano.
Forensic Architecture lavora tanto con la riproduzione 3D. In che modo l’avete usata nell’investigazione su Gaza?
Un esempio è che abbiamo ricreato il 3D dell’ospedale di al-Ahli e al-Shifa (uno dei più assediati dall’esercito israeliano, oggi chiuso definitivamente) e li abbiamo usati come modello per fare delle situated testimony, che consiste nell’aiutare le persone a ricordare e ricostruire cosa è successo attraverso la ricreazione virtuale di un ambiente.
Abbiamo ricostruito l’ospedale attraverso le fonti che avevamo, il nostro team è formato anche da architetti per cui c’è una conoscenza tecnica profonda. Attraverso immagini satellitari, fotografie e video si può comprendere sicuramente com’è fatto lo spazio esteriore. Poi ricostruendo gli spazi, il cortile e gli edifici principali degli ospedali abbiamo usato i modelli per intervistare uno dei dottori che era lì, Ghassan Abu-Sittah, e lui ha potuto descrivere attraverso il modello 3D quello che è successo, permettendoci con le sue parole e alcuni video di ricostruire alcune stanze interne. Muovendoci nello spazio delle testimonianze abbiamo ricreato lo spazio virtuale.
Questo è un inizio e l’obiettivo è dare strumenti alle persone, dare loro una voce per comprendere meglio la violenza subita dal popolo palestinese. Tutto questo permette di raccontare la storia dal punto di vista degli oppressi e anche di archiviarla. L’intento poi è di moltiplicare queste storie, come avevamo già fatto in occasione dell’incendio alla Grenfell Tower di Londra nel 2017. Lì attraverso le testimonianze di decine di persone avevamo ricostruito gli ambienti e cosa fosse successo, creando un modello della memoria di queste persone.
A proposito di cartografie e mappature, com’è cambiata la morfologia della Striscia di Gaza dal 7 ottobre?
Ci sono nuove infrastrutture nella Striscia di Gaza e c’è un intento di permanenza da parte dell’esercito israeliano. La zona cuscinetto e la divisione della Striscia in due parti con la costruzione del corridoio di Netzarim indicano una volontà di restare perché sono strutture permanenti. Abbiamo raccolto prove di checkpoint temporanei disseminati lungo il territorio ma per quanto riguarda il corridoio di Netzarim è invece molto probabile che resterà a lungo. Fin dai primi giorni nessuno poteva tornare a nord e oltrepassare Netzarim, chi si è avvicinato spesso è stato ucciso, sono attacchi che abbiamo verificato nella nostra indagine. Un altro esempio riguarda quello che sta succedendo ora nel nord, con un altro corridoio che ha circondato tutta l’area e dove sta avvenendo una pulizia etnica ancora più violenta che nel resto della Striscia.
Sono strumenti di controllo, anche il fatto di controllare il corridoio Filadelfia al confine con l’Egitto è un modo per cambiare la morfologia della Striscia di Gaza per com’era fino a oggi. Non è una cosa nuova, Israele ha sempre avuto un controllo territoriale su Gaza. La distruzione urbanistica ed ambientale degli ultimi 13 mesi ha causato un’impossibilità del ritorno: alcuni dei pattern che abbiamo evidenziato riguardano gli attacchi a civili ma anche a infrastrutture civili e mediche perché questo significa rendere impossibile il sostentamento della vita e il ritorno per gli sfollati.
Il mio collega e fondatore di Forensic Architecture, Eyal Weizman, ci ricorda che non è la prima volta che la popolazione viene spinta verso sud, come durante la Nakba del 1948, verso la zona che anche geologicamente ha meno risorse. La zona a est è quella con più fertilità, quella a ovest è quella più desertica. Dove si trova la “zona umanitaria”? A sud-ovest.
Quanto è stato difficile realizzare questo lavoro, anche in termini di pressione?
Ci sono state difficoltà che non sono nuove per Forensic Architecture alla luce dei lavori passati sulla Palestina. Sicuramente c’è stata una diminuzione o in qualche modo è stata limitata la divulgazione delle nostre ricerche nei media, ma sono diminuiti anche e soprattutto i luoghi di confronto. Uno dei tanti esempi, una nostra collega non ha potuto fare un talk in un’università in Germania per parlare di un progetto di Forensic Architecture per le nostre ricerche sulla Palestina. È una cosa preoccupante.
Se da una parte c’è stata una limitazione della divulgazione di quello che facciamo, è anche vero che c’è una comunità sempre molto interessata al nostro lavoro. In Italia, per esempio, stiamo ricevuto più attenzione del solito. È stato un lavoro molto lungo, durato 13 mesi e frutto di un team di 15-20 persone che purtroppo non si concluderà con l’ultima pubblicazione. Il report peraltro è stato anche richiesto dagli avvocati del Sudafrica nella causa per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia.
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