Circa un terzo del legname trattato dagli impianti romeni di produzione di pellet proviene da foreste protette. Lo sostiene un’inchiesta giornalistica.
Un’inchiesta internazionale ha ricostruito le rotte del pellet romeno. Scoprendo che spesso deriva dalla distruzione delle foreste.
Le normative per la tutela dell’ambiente esistono ma, spesso, vengono aggirate.
Nell’Unione europea il legname è considerato una fonte di energia rinnovabile. L’Europarlamento dovrà decidere se cambiare rotta.
Immaginiamo di essere nel massiccio del Ceahlău, in Romania, un’area protetta molto amata dagli appassionati di trekking. Immaginiamo di vedere con i nostri occhi i tronchi di alberi secolari mozzati alla base, il loro legname finire sui camion di un’azienda che lo trasforma in pellet per le stufe. Pellet che poi viene esportato in giro per l’Europa, Italia compresa. Nei sacchi c’è scritto che è realizzato esclusivamente a partire da segatura e trucioli. Questa non è immaginazione, è ciò che hanno documentato i giornalisti del New York Times, sulla scorta di una vasta e approfondita inchiesta realizzata dalla Environmental investigation agency. Alla luce di questi fatti, la domanda è lecita: il pellet può davvero essere ritenuto come una fonte rinnovabile?
L’inchiesta sulle foreste romene abbattute per il pellet
Il team della Environmental investigation agency, con il supporto delle ong, per un anno si è introdotto nelle antiche foreste del centro Europa per piazzare dispositivi di tracciamento sui tronchi degli alberi. Incrociando questi monitoraggi con altri dati sulla logistica e sulle aziende della filiera, hanno dimostrato che i loro timori erano fondati: le ultime foreste intatte d’Europa vengono abbattute per ricavarne il pellet. Un’indagine che è stata approfondita anche dal New York Times, attraverso ricerche e sopralluoghi. Circa un terzo del legname trattato dagli impianti romeni di produzione di pellet, sostengono i giornalisti, arriva dalle aree forestali protette.
Tecnicamente, anche nelle foreste romene il disboscamento è consentito dalla legge. Questo, però, a patto che sia preceduto da valutazioni ambientali che nei fatti risultano molto più sporadiche e superficiali del previsto. Le normative impongono anche di ripiantare alberi nuovi al posto di quelli abbattuti, entro due anni. Le rilevazioni dimostrano che non sempre questo accade.
EIA’s latest investigation tracked log trucks from protected forests to over a dozen major pellet and biomass plants, confirming that pillaging forests to make heating pellets and burning for energy is widespread across the region. #StopFakeRenewableshttps://t.co/eKMbxJSKd8pic.twitter.com/svj2gN8FZj
— Environmental Investigation Agency U.S. (@EIAEnvironment) September 8, 2022
Il legname usato per il pellet sfugge ai controlli
“Le persone comprano il pellet credendo che sia una scelta sostenibile ma, nei fatti, contribuiscono alla distruzione delle ultime foreste incontaminate in Europa”, ha dichiarato al New York Times David Gehl dell’Environmental investigation agency. A complicare la valutazione è il fatto che, spesso e volentieri, il tracciamento arrivi solo fino a un certo punto. Le statistiche ufficiali dell’Unione europea non sono riuscite a ricostruire la fonte di 120 milioni di tonnellate di legname usato nel Continente nel corso del 2021, legname che per la maggior parte – con ogni probabilità – è stato bruciato per il riscaldamento e l’energia elettrica.
Ora che la Russia chiude i rubinetti del gas, il fabbisogno di energia diventa pressante e i boschi rischiano di pagarne il conto. In Ungheria il governo ha appena allentato alcune restrizioni alla possibilità di disboscare. In Finlandia ed Estonia si abbattono gli alberi a un ritmo talmente elevato che gli scienziati hanno classificato le foreste come fonti di CO2, e non più come serbatoi naturali.
Le ong al Parlamento europeo: il legname non è una fonte rinnovabile
Formalmente, nell’Unione europea il legname è catalogato come una fonte rinnovabile di energia e beneficia di sussidi pubblici. In origine, l’intento era quello di incentivare la trasformazione dei rifiuti di segatura (e non certo di piante intere) in pellet, al fine di scoraggiare il consumo di gas e carbone. Il risultato è che il mercato ha vissuto un boom e ora il legname è la prima fonte di energia rinnovabile in Europa, ben più del vento e del sole. Peccato, però, che le foreste non si rigenerino così in fretta. E che ci siano studi scientifici che sostengono che bruciare il legno emetta più CO2 per unità di energia termica (Btu) rispetto al carbone o al gas naturale.
Il 13 settembre il Parlamento europeo si esprimerà sul rinnovo della direttiva sulle energie rinnovabili. Da tempo i Fridays for future e diverse ong ambientaliste (riunite nella coalizione Forest biomass out of Red) fanno agli eurodeputati per mettere fine a quello che appare come un paradosso. Si prospetta un duro scontro, visto che i paesi nordici appaiono intenzionati a difendere gli interessi dell’industria del legname. E potrebbe essere difficile anche convincere la popolazione, già alle prese con i vertiginosi rincari delle bollette.
La Corte europea di giustizia ha adottato un provvedimento per sospendere la deforestazione nell’antica foresta, ma il governo polacco continua il piano di abbattimento.
L’Ue ha avviato una procedura di infrazione per il disboscamento dell’antica foresta di Bialowieza autorizzato dalla Polonia lo scorso anno per combattere un parassita.
Human Rights Watch ha stimato una perdita economica di due miliardi di dollari da parte del governo indonesiano a causa della deforestazione e della cattiva gestione del suo patrimonio forestale nel 2011.
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