Il Sesto rapporto dell’Ipcc conteneva nelle sue bozze preliminari testi più duri e stringenti su fonti fossili, dieta e finanziamenti alle nazioni povere.
Le lobby che cercano di rallentare l’azione climatica e la transizione ecologica sono ovunque. Sono nei corridoi di Bruxelles, dove cercano di convincere commissari e deputati europei a non imporre regolamenti e direttive troppo stringenti. Sono negli uffici dei più importanti organismi internazionali. Imperversano ad ogni Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite. E riescono ad incidere perfino sul lavoro degli scienziati dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite.
La mano della politica sulle soluzioni alla crisi climatica
L’ultimo rapporto dell’organismo internazionale avrebbe potuto essere ben più chiaro sugli obiettivi che il mondo deve porsi se vuole centrare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi. Ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Ma la politica non lo ha permesso.
Troppi gli interessi in gioco, troppo il denaro che circola, troppa la miopia dei governi, troppa l’avidità di manager e multinazionali. Così, su due questioni fondamentali per la questione climatica, alla fine, il testo finale è stato smussato rispetto alle prime stesure: parliamo del superamento delle fonti fossili e dell’introduzione su larga scala di diete con meno carne e più prodotti vegetali.
Interessi politici ed economici dietro la scelta delle parole nel rapporto dell’Ipcc
L’ultima parte del Sesto rapporto dell’Ipcc è stata pubblicata lo scorso 20 marzo. Una tappa che ha concluso un lavoro durato anni. Nel quale gli esperti sono chiari sui rischi: se alcune soglie verranno superate in termini di riscaldamento globale, interi ecosistemi potrebbero essere distrutti, milioni di vite sarebbero in pericolo, migrazioni oceaniche potrebbero attraversare il Pianeta, che nel frattempo dovrebbe fare i conti con il moltiplicarsi degli eventi meteorologici estremi.
Come noto, il documento, per essere pubblicato, necessita dell’approvazione unanime di tutti i 195 paesi membri. E molti di questi ultimi hanno insistito affinché le affermazioni più nette su fonti fossili e dieta fossero eliminate. Lili Fuhr, dell’organizzazione non governativa Center for international environmental law, ha potuto assistere ai negoziati, e ha spiegato a Heatmap News che “i governi sono arrivati alla sessione di approvazione del rapporto con legittime preoccupazioni, ma anche con interessi molto diversi. Ciò è vero in particolare per quelle nazioni in cui sono presenti grandi compagnie di stato legate alle fossili, i cui dirigenti erano presenti nelle delegazioni”.
L’economicità delle rinnovabili “cancellata” dall’Arabia Saudita
Il dito, in questo caso, è puntato contro Arabia Saudita, Cina e India, ad esempio, che secondo l’organizzazione non-profit Earth negotiations bulletin avrebbero operato per annacquare il documento finale. Uno dei punti sui quali hanno esercitato pressione, ad esempio, è legato ai sistemi di cattura e stoccaggio della CO2: tecnologie ancora molto lontane dall’essere “mature” e sulle quali però si è cercato di utilizzare un linguaggio positivo e possibilista, riporta Inside climate news.
Interesting IPCC talks report. Carbon Removal CDR is key for net negative emissions. NGO (CIEL) pushed to add it’s unproven and risky (to prevent the use). France, Germany, Denmark agreed. Saudi Arabia, China, New Zealand, Netherlands pushed to support CDRhttps://t.co/2RFN8mHyWXpic.twitter.com/TD9hq73mgP
Allo stesso modo, si è cercato di evitare che si potessero magnificare troppo le energie rinnovabili. Una frase che recitava “in molte regioni, l’energia elettrica da fotovoltaico e eolico è oggi più economica rispetto a quella prodotta da fonti fossili”, è stata cambiata in “il mantenimento di sistemi ad alta intensità di emissioni può, in alcune regioni e settori, risultare più costoso rispetto al passaggio a sistemi a basse emissioni”. Su richiesta, a quanto pare, dell’Arabia Saudita.
Saudi Arabia and other fossil fuel-producing countries argued that the IPCC should be "technology neutral" and recommend technologies like carbon capture and storage (CCS).
They succeeded. Take a look at one of the recommendations from the final report: pic.twitter.com/oZJobTP3Iz
La dieta vegetariana nel rapporto Ipcc non è piaciuta a Brasile e Argentina
Micheal Thomas, che cura la newsletter Distilled, ha potuto consultare invece una bozza dell’ultima parte del rapporto nella quale si poteva leggere che “una dieta vegetariana può ridurre le emissioni di gas ad effetto serra fino al 50 per cento, rispetto a quella occidentale, mediamente ad alte emissioni”. La frase è stata però eliminata dalla versione finale. Per via della pressione che sarebbe arrivata dai delegati di Brasile e Argentina, nazioni nelle quali le industrie produttrici di carne sono particolarmente importanti.
The meat industry blocked the IPCC’s attempt to recommend a plant-based diet https://t.co/rJY9a617b1
Ancora, gli Stati Uniti avrebbero insistito per eliminare i riferimenti agli enormi ritardi che il mondo ricco ha accumulato nel mantenere le promesse in termini di finanziamenti alle nazioni più povere della Terra, per consentire loro di adattarsi ai cambiamenti climatici di cui sono solo in minima parte responsabili.
Il rapporto dell’Ipcc, insomma, benché lanci allarmi con toni particolarmente gravi, rappresenta un testo annacquato rispetto al vero pensiero degli esperti che fanno parte del Gruppo intergovernativo. E questo per colpa di chi si ostina a remare contro. Un merito però, tutto questo ce l’ha: chi avesse avuto dubbi sulla gravità della situazione, ora sa che i contenuti del documento sono perfino edulcorati rispetto alla realtà.
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