Porcellato gareggia ai Giochi paralimpidi da Seul 1988 e ha conquistato 14 medaglie in 3 discipline diverse: “Non raccontateci come eroi, ma come atleti”.
Quando Francesca Porcellatoha partecipato alla sua prima Paralimpiade, il mondo era ancora diviso in due blocchi dai tempi della Seconda guerra mondiale. Era il 1988, l’Italia era guidata dal presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, la musica si registrava su audiocassette e i telefoni cellulari erano un lusso per pochi fortunati. Sono trascorsi 33 anni, la prima volta in cui si decise di organizzare i Giochi paralimpici nella stessa sede delle Olimpiadi (Seul). La campionessa trevigiana è ancora lì a competere, correre, sudare. E a vincere: con l’argento conquistato a Tokyo nell’handbike, si è messa al collo la 14esima medaglia della carriera.
L’incredibile percorso di Francesca Porcellato
Un risultato straordinario a 50 anni di età, seguendo un percorso irripetibile che ha attraversato tre discipline – atletica, sci nordico e ciclismo – otto partecipazioni a edizioni estive e tre a edizioni invernali dei Giochi paralimpici.
“Questo argento – ha spiegato – vale oro, all’undicesima Paralimpiade, a 51 anni che compirò il giorno della cerimonia di chiusura, non è poco. Ho iniziato a Seul, è cambiato secolo e sono ancora qui”. Ha conquistato le prime medaglie proprio in Corea del Sud: oro nei 100 metri e 4×100, argento nei 200 e bronzo nella 4×200 e 4×400 nell’atletica leggera; ancora nell’atletica, salì sul podio anche nel 1992 a Barcellona e ad Atene nel 2004, mentre il ciclismo le ha regalato altre due medaglie a Rio de Janeiro nel 2016. Ai Giochi invernali di Vancouver 2010 ha centrato invece l’oro nella sprint del para-sci nordico.
Una protagonista dell’evoluzione del movimento paralimpico
Francesca Porcellato ha raccontato che “all’inizio l’handbike doveva essere solo una prova, ma dopo sette anni sono ancora qua a continuare a pedalare”. D’altronde dietro a una medaglia ci sono “sacrificio, sudore, impegno. Ma è una soddisfazione così grande. Non raccontateci come se fossimo eroi, siamo atleti che si allenano con fatica”. La sua vita, in pratica, è sempre stata in carrozzina: è paraplegica da quando aveva un anno e mezzo e fu schiacciata da un camion in manovra: “Lo sport è un sogno che avevo da bambina, che ho realizzato in età adolescenziale e che ancora continua”. La “rossa volante” – che nel 2008 a Pechino è stata portabandiera italiana – è sposata con Dino Farinazzo, ex tecnico della nazionale di atletica che oltre a essere il suo compagno di vita, è anche il suo allenatore.
È diventata la più grande atleta paraplegica di sempre al mondo, ma non solo: è stata testimone e protagonista dell’evoluzione del movimento paralimpico. Alla vigilia della partenza per i Giochi del 1988, in aeroporto una donna le chiese quale santuario ci fosse a Seul. Ora tutto è cambiato. Anche grazie a lei.
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