La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Francesco Timpano, Asvis. I capitali si orientano verso la sostenibilità, anche grazie alla leadership europea
Servono investimenti immensi per realizzare gli Sdgs, ma il percorso è tracciato. Ne abbiamo parlato con Francesco Timpano di Asvis.
“Non possiamo perdere nemmeno un minuto”. Parola di António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite. Era il 2015 quando la comunità internazionale si è impegnata a realizzare un ambizioso piano d’azione per il pianeta, le persone e la prosperità, l’Agenda 2030. Dieci anni prima della scadenza prefissata, è scoppiata una pandemia che ha reso il percorso ancora più tortuoso e accidentato. Sono stati segnati pericolosi passi indietro su tanti fronti: milioni di persone sono sprofondate nella fame e nella povertà, le donne sono state penalizzate nel mondo del lavoro, la crescita economica si è arrestata. Ma questo non è di sicuro un buon motivo per arrendersi, sottolinea Guterres. Per realizzare i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) serve un gioco di squadra fatto di volontà politica, ricerca, tecnologia e anche capitali, pubblici e privati. Ma a quanto ammontano, di preciso, gli investimenti necessari? L’abbiamo chiesto a Francesco Timpano, professore di Politica economica presso la sede di Piacenza dell’università Cattolica e coordinatore del gruppo di lavoro trasversale “Finanza per lo sviluppo sostenibile” di Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.
Quanto costano gli Obiettivi di sviluppo sostenibile?
Questa è una bella domanda perché va declinata a livello globale e nelle singole aree territoriali. Sinceramente preferirei non fare un numero specifico. Qualcuno per l’Unione europea parla di 520 miliardi di euro di investimenti all’anno da qui al 2030, quasi il 4 per cento del pil europeo. Eurosif stima che, per raggiungere la carbon neutrality, servano 38mila miliardi di euro di investimenti complessivi da qui al 2050. Sono cifre da valutare. Di sicuro ci vogliono tante risorse e di sicuro, come si è visto alla Cop26 di Glasgow, siamo obbligati alla coesistenza tra risorse pubbliche e private.
Qual è, quindi, il ruolo degli investimenti pubblici e di quelli privati?
L’Unione europea sta affermando una leadership importante con riferimento agli investimenti allineati a criteri ambientali, sociali e di governance (Esg). Pur generando soltanto l’8 per cento dei gas serra a livello globale, emette il 42 per cento dei green bond, contro il 23 per cento del nord America. Un mercato – quello delle obbligazioni verdi – che ormai vale 900 miliardi di euro. Insomma, l’Europa dà un contributo formidabile e crea uno standard anche per il resto del mondo; si parla proprio di “effetto Bruxelles”.
Accanto alle risorse private, ci vogliono le risorse pubbliche che non sono banali. Come ha detto il premier Mario Draghi a Glasgow, non tutti i rischi possono essere assunti dai privati. È un dato di fatto che il 40 per cento delle risorse del Next generation Eu sia destinato alla transizione ecologica.
Dal punto di vista finanziario, c’è anche il rischio che sia una bolla. Per evitarlo, occorre che la regolazione costringa gli operatori finanziari a una trasparenza molto forte sugli investimenti. Devo dire che passi avanti se ne sono fatti e se ne stanno facendo. Il rischio di greenwashing e social washing è sempre dietro l’angolo, ma la sostanza c’è.
Quanto influirà la regolazione europea?
Ha un ruolo molto importante perché, per funzionare, i mercati devono essere adeguatamente regolati. Indubbiamente questa spinta è determinata dall’action plan sulla finanza sostenibile, dalla nuova strategia sulla finanza sostenibile di luglio 2021 e dalla tassonomia. Quest’ultima ha un percorso complicato e accidentato perché deve definire quali attività sono sostenibili e quali hanno bisogno di un periodo di transizione (anche tecnologica) per diventare tali. Su queste attività, prevalentemente industriali, c’è un grande spazio per gli investimenti.
L’allineamento alla tassonomia sarà un passaggio molto importante perché aggancia il mondo finanziario a quello reale. Ci siamo impegnati in una grande operazione di riconversione industriale per cui serviranno capitali privati. La regolazione è importante, la trasparenza lo è altrettanto. Certamente la transizione avrà dei costi e farà emergere delle crisi che andranno gestite; questo sarà l’altro grande tema.
In questa transizione saranno coinvolte anche le piccole e medie imprese?
In tempi relativamente contenuti stiamo arrivando a un altro passaggio: il merito creditizio della piccola e media impresa dovrà essere associato a un rating di sostenibilità. In altre parole, quando una piccola impresa andrà in banca a chiedere un prestito, dovrà dimostrare anche il proprio orientamento alla sostenibilità. Una volta aggiunto questo tassello, il percorso sarà sostanzialmente completato.
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