La premier della Francia, Elisabeth Borne, ha annunciato l’approvazione della riforma delle pensioni. Il testo era stato approvato dal Senato e oggi era previsto il voto dell’Assemblea nazionale, la camera alta. Ma il governo ha fatto ricorso all’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di scavalcare il parlamento. La legge è così operativa, a meno che entro 24 ore non arrivi una mozione di censura da parte della maggioranza assoluta delle camere.
La riforma delle pensioni
Oggi l’età pensionabile in Francia è di 62 anni, molto bassa per esempio rispetto all’Italia dove è di 66 anni e 7 mesi e in generale tra le più basse d’Europa. Inoltre, sono previsti 42 regimi pensionistici differenti.
Il sistema è considerato costoso e complesso e per questo da anni si cerca di alleggerirlo, visto anche l’invecchiamento generale della popolazione che rischia di renderlo ancora meno sostenibile. Il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, ci aveva già pensato nel 2019, ma poi non se n’era fatto niente. Lo scorso gennaio, insieme al governo guidato dalla premier Elisabeth Borne, è stato avanzato un nuovo progetto di riforma.
Il nuovo sistema di pensioni prevede di alzare l’età pensionabile a 64 anni, così da ritardare di due anni il momento in cui lo stato deve pagare le pensioni e avere più persone che versano contributi e rimpinguano dunque le casse statali. Il rialzo non sarebbe immediato, ma progressivo di tre mesi ogni anno, fino ad arrivare a compimento nel 2030.
Utilisation du 49.3 pour faire passer la réforme des retraites
Oltre a questo, nel progetto di riforma c’è l’anticipazione dal 2035 al 2027 della legge Touraine che aumenta di un anno il periodo per cui è necessario versare contributi per andare in pensione, oltre che l’abolizione di alcuni dei 42 regimi pensionistici, quelli definiti speciali. Il progetto di legge imporrebbe poi alle aziende di calcolare e pubblicare a cadenza periodica un “indice di anzianità”, vale a dire quante persone in età quasi pensionabile sono assunte. Tra gli altri punti della riforma, il fatto che per chi ha iniziato a lavorare prima dei 21 anni la pensione arriverebbe a 63 anni, un termine che verrebbe anticipato ancor di più per chi già lavorava da teenager.
Lo strappo del governo
Da settimane la Francia è a rischio paralisi a causa delle proteste e degli scioperi contro la riforma delle pensioni. Le manifestazioni più imponenti ci sono state il 7 marzo scorso, con 700mile persone in piazza solo a Parigi e centinaia di migliaia in altre 250 città francesi. Dalle raffinerie alle scuole, passando per i trasporti e per i netturbini, nel paese si sono moltiplicati gli scioperi nelle ultime settimane come non si vedeva da tempo. Ma non è servito.
Dopo l’approvazione della riforma da parte del Senato, giovedì 16 marzo il testo sulle pensioni doveva essere discusso dall’Assemblea nazionale, la camera alta. L’esito della votazione era incerto e l’escalation di manifestazioni e scioperi degli ultimi giorni mirava anche a influenzare il voto dei parlamentari. Ma con una mossa a sorpresa, nel pomeriggio di giovedì la premier Borne ha annunciato il ricorso da parte del governo all’articolo 49.3 della Costituzione, quello cioè che consente l’approvazione di una legge senza passare dal semaforo verde del parlamento. La riforma delle pensioni è dunque da considerarsi ufficiale, l’ultimo step riguarda la possibile approvazione di una mozione di censura da parte della maggioranza assoluta del parlamento entro le prossime 24 ore. Un’ipotesi poco credibile, visto che servirebbe il voto a favore anche di chi sta al governo.
Lo strappo del governo ha fatto infuriare le opposizioni e anche chi sta guidando le proteste nel paese. Diverse persone si sono radunate davanti all’Assemblea nazionale invocando lo sciopero generale e urlando slogan contro il governo. Il leader del sindacato CFDT, Laurent Berger, ha già annunciato nuove mobilitazioni per i prossimi giorni, denunciando un vizio democratico nella mossa del governo. Il centro-sinistra e l’estrema destra sono uniti nel contestare la riforma, che a loro dire pesa soprattutto sui ceti medio-bassi. Marine Le Pen, presidente del partito Rassemblement National, ha subito invocato la clausola di censura, mentre da sinistra Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise) ha sottolineato che la normativa non ha alcuna legittimità parlamentare.
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