Il concerto milanese per Gaza, un successo di pubblico e raccolta fondi, è stata la presa di posizione più forte contro il genocidio della scena musicale italiana.
Intervista a Franco Battiato
Franco Battiato Novembre 2004 – Non è la parrocchia che fa la cordata mistica Partiamo da lontano. 25 anni fa lei si augurava il ritorno dell’era del cinghiale bianco, quella che per gli antichi Celti stava a significare l’età della conoscenza assoluta. Come la vede adesso, ci stiamo avvicinando, o no? Mah… stiamo fuggendo dalle
Franco Battiato
Novembre 2004 – Non è la parrocchia che fa la cordata mistica
Partiamo da lontano. 25 anni fa lei si augurava il ritorno dell’era del cinghiale bianco, quella che per gli antichi Celti stava a significare l’età della conoscenza assoluta. Come la vede adesso, ci stiamo avvicinando, o no?
Mah… stiamo fuggendo dalle zone spirituali, a rotta di collo! Però uno non dispera, perché a volte proprio quando sembra tutto perduto, tutto si ritrova in un secondo. E’ questa, la forza di questo universo.
Veniamo al titolo di questo ultimo album, “Dieci Stratagemmi”. È ispirato ai 36 Stratagemmi, antico testo cinese che può essere visto su diversi piani di lettura, sia come strategia militare, che come strategia per conoscere se stessi…
Ecco, a me interessa questa seconda lettura, naturalmente…
Sono forse stimoli per ampliare le percezioni sulle situazioni?
Ero in cerca di un titolo e capitò che Gianluca Maggi (che ha curato un’edizione di questi 36 Stratagemmi), mi invitò a una conferenza in Romagna, dove insegna lavora e mi regalò questo libro. Trovai consequenziale intitolare il disco “Dieci Stratagemmi”, perché in fondo le canzoni sono stratagemmi.
“non prestare orecchio alle menzogne
non farti soffocare dai maligni
non ti nutrire di invidie e gelosie
In silenzio soffro i danni del tempo
le aquile non volano a stormi
vivo è il rimpianto della via smarrita
nell’incerto cammino del ritorno”
Le aquile non volano a stormi, 2004
Spesso ci si concentra sui Suoi testi, ma a me affascinano tantissimo gli arrangiamenti che ha usato. Come lavora, come li costruisce questi dischi?
Questa domanda mi fa piacere: di solito si sottovaluta quella che è una mia caratteristica, quella di lavorare come i compositori tradizionali lavoravano all’orchestrazione. Per me il brano è anche e soprattutto questo, lo sostengo dove sento che cade, “metto paletti”, e lavoro soprattutto a questo.
Quindi quando comincio a scrivere un brano che mi convince – perché sennò lo abbandono – se sento che c’è del buon materiale, allora lo sviluppo, cominciando a provare tutte le possibilità: se mi viene in mente una tromba provo, se non mi convince passo al violino, c’è la ricerca in quello che chiamiamo il mondo dei “plug in”, dove puoi modificare un timbro, entrare nella forma d’onda. Questo è il futuro meraviglioso che attende i musicisti.
Un lavoro con pianoforte e computer affiancati?
Il pianoforte lo uso se ho bisogno proprio del suono del pianoforte. Di base, lavoro all’interno del computer. Da solo, io e il computer.
Com’è nata la collaborazione con i Krisma, storico gruppo degli anni ’70-80 a metà tra il punk e la new wave, formato da Maurizio Arcieri e Cristina Moser e ancora attivo in ambito techno?
È stato molto divertente, ci siamo rincontrati durante la lavorazione del mio film, Perduto Amor. Ebbi la buona idea di far fare a Maurizio Arcieri la parte che lui fece negli anni Sessanta, come se questi 40 anni non fossero passati. Quando poi ero già in chiusura del disco, mi vennero a trovare in sala di registrazione, per farmi sentire del loro materiale. Mi piacquero. Presi tre sequenze, ci lavorai al computer, e poi con Manlio abbiamo fatto tre pezzi, insieme con i Krisma.
Per quanti anni ha vissuto a Milano?
Vi ho vissuto dal ’64 all’88: ventiquattro anni. Ma la considero sempre casa mia. Non m’immagino di venire a Milano e andare in albergo.
Dopo quest’esperienza, cosa ne pensa di questa città, in relazione alla qualità della vita?
A me è sempre piaciuta, anche se qualcosa si è deteriorato anche a Milano: perché tutto in Italia, è peggiorato, il traffico, l’educazione… Tutto è peggiorato. Ma Milano è una città che ti dà la possibilità anche di un anonimato che è piacevole, una città che si fa gli affari suoi, di gente che pensa al lavoro e non a spettegolare o a occuparsi degli affari degli altri…
Perché nei suoi album canta spesso in lingue diverse, fra cui l’inglese, ma non solo?
Perché sono un viaggiatore. E’ il fascino delle lingue, non solo l’inglese (che non è quella che mi affascina di più), soprattutto le lingue di ceppo ungarico, le varie lingue europee… Mi intriga molto il fatto che in ogni lingua si possano dire delle cose adatte solamente a quella e dette bene in quella lingua. E poi, diceva bene una mia amica scrittrice, “bisogna imparare la lingua dei padroni”!
Non sono mussulmano nè induista
nè cristiano nè buddista
non sono per il martello
nè per la falce
nè tanto meno per la fiamma tricolore
perchè sono un musicista.
I’m that, 2004
Ha mai fatto un album tutto in un’altra lingua?
In spagnolo. Sì, l’ho fatto, negli anni passati. Fu un direttore artistico, molto simpatico, all’epoca lavorava alla EMI americana, appassionato di ciò che facevo. Stavo incidendo un disco alla Capitol Town di Los Angeles. Venne a trovarmi e mi disse “tu non esci da questa sala se non mi canti un disco in spagnolo”, io risposi “non voglio cantare in spagnolo, non m’interessa”, trovavo la lingua, come dire, ridicola. Poi ho dovuto ricredermi, ho fatto auto da fé. Anche se a me “busco un centro de gravidad” non mi veniva… Fu un boom in Spagna e nei Paesi sudamericani. Pazzesco. Gli devo essere grato.
È vero che lei è contrario dalla sparizione del latino dalla liturgia?
Certo. Il mistero di una lingua che non conosci bene si perde. La liturgia in sé perde fascino, diviene più quotidiana, si immettono vocaboli comuni che ti riportano a una confidenza che abbassa il livello del sacro.
Requiem aeternam dona eis Domine
et lux perpetua luceat eis
te decet hymnus deus in Sion
et tibi reddetur votum in Jerusalem
exaudi orationem meam ad te omnis
caro veniet.
Kyrie eleison, Christe eleison
Kyrie eleison, Khriste eleison.
Pasqua Etiope, 1979
Ci parla del secondo film, da regista, che ha in lavorazione?
Sono avanti. Dovremmo cominciare a girare a febbraio, marzo.
C’entra Beethoven?
Nella parte centrale del film.
Com’è nato l’incontro con Alejandro Jodorowsky?
L’ho cercato, stava presentando un libro in Italia. Cercavo non qualcuno che facesse la caricatura di Beethoven. Cercavo una personalità, un’eccellenza,non qualcuno che imitasse Beethoven.
Cosa ammira di Jodorowsky?
La personalità, la sua ricerca, il suo talento. Nei suoi film, che piaccia o no, ha espresso qualcosa di diverso.
Già nel 1979, nella canzone Magic Shop, ritraeva con un certo sarcasmo la ricerca di forme di spiritualità orientali in termini “da consumo di massa”. A partire dagli anni ’90 un fenomeno tornato, in un certo senso, col nome di New Age.
Pericolosissimo…
È cambiato qualcosa?
Uno non deve perdere tempo con le cose che non gli sono affini. Ognuno deve andare avanti per la sua strada, senza occuparsi e senza criticare le scelte altrui, affari loro, no?. Uno può dire “io non appartengo a quell’area, non m’interessa questo genere di manifestazione”. Mi è successo tante volte nella vita di andare d’accordo con un ateo e avere problemi con un credente. Non è la parrocchia che fa la cordata mistica.
C’è chi parte con un raga della sera
e finisce per cantare “la Paloma”.
E giorni di digiuno e di silenzio
per fare i cori nelle messe tipo Amanda Lear
vuoi vedere che l’Età dell’Oro
era appena l’ombra di Wall Street?
La Falce non fa più pensare al grano
il grano invece fa pensare ai soldi.
E più si cresce e più mestieri nuovi
gli artisti pop, i manifesti ai muri
i Mantra e gli Hare Hare a mille lire
l’Esoterismo di René Guénon.
Una Signora vende corpi astrali
i Budda vanno sopra i comodini
deduco da una frase del Vangelo
che è meglio un imbianchino di Le Corbusier.
Eterna è tutta l’arte dei Musei
carine le Piramidi d’Egitto
un po’ naifs i Lama tibetani
lucidi e geniali i giornalisti.
Supermercati coi reparti sacri che vendono
gli incensi di Dior
rubriche aperte sui peli del Papa.
Magic Shop, 1979
“Dieci Stratagemmi” è anche un album molto politico. Ci sono pezzi assolutamente espliciti in questo senso (“Ermeneutica”).
In un’intervista, Richard Gere – io sono stato abbastanza duro con questo presidente – ma gli artisti americani lo sono molto di più: ha definito Bush “una recluta dei terroristi”. Che mi sembra una definizione perfetta e indiscutibile.
Eiacula precocemente l’impero
Ritorna il circolo dei combattenti
gli stati servi si inchinano a quella scimmia di presidente
s’invade si abbatte si insegue si ammazza il cattivo
si inventano democrazie
Ermeneutica, 2004
C’è un verso di una sua vecchia canzone, che mi ha sempre colpito molto. Ci può spiegare il significato? È ancora d’accordo? È tratto da Up Patriots to Arms: “le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso”…
Oh, sì! Ne sono veramente ancora oggi fermamente convinto. Quando qualcuno fa così vuole sostituire il suo potere a quello dell’altro.
Va bene, ci piace il consumo, la televisione, non ho niente da criticare. Però una persona può anche vivere con poco. E vivere bene, se ne ha la capacità interiore. Anche mangiando poco. Un po’ di pane e latte la sera. Si può. Non è quello il problema. Basta un minimo di lavoro che possa garantire l’affitto, le cose essenziali e uno può vivere degnamente. Bob Dylan ha detto una cosa che ha scandalizzato tutti, ultimamente.
È uscito con un’autobiografia in cui dice che il suo desiderio era avere un lavoro fisso, dalle 9 alle 3 del pomeriggio, poi tornare a casa, in una piccola casetta. Sembra una cosa impiegatizia e mediocre, invece c’è dietro un concetto straordinario del vivere… come dire… l’abitudine e creare il proprio spazio interiore che è quello che conta.
Una domanda sul rapporto con il coautore. La persona che da alcuni anni scrive con Lei i testi dei suoi dischi. Parliamo del filosofo Manlio Sgalambro. Qual è il metodo di lavoro con lui?
Un metodo che ha varianti abbastanza fisse. La meccanica, pur cambiando, si ripete. Partiamo da un’idea musicale sulla quale sovrapporre un testo; posso partire da un’idea di testo io e poi lui la completa, e la si redige a quattro mani (ma sempre separati); oppure scrive un testo Sgalambro che io musico.
Prima di incontrarlo scriveva i testi sempre da solo. Non è stato difficile far entrare un’altra persona in questo processo?
No, meraviglioso! Perché non sono per la ripetizione. Mi è capitato di scrivere due o tre pezzi di musica, cosiddetta mistica, che trovo tra le vette della mia produzione, parlo di canzoni come ‘Oceano di Silenzio’ o di ‘Ombra della Luce’. Poi… non puoi fare la copia, di queste. Le hai già fatte.
Allora, arriva uno con un altro giardino, con un’altra vegetazione, che ti dà vocaboli che non appartengono al tuo vocabolario e cominci a lavorarci musicalmente, è un arricchimento sia per la musica, sia per la diversità del brano. Che piaccia o no poco conta, perché dopo quarant’anni di mestiere non dobbiamo andare a cercare “il successino”, non ne abbiamo bisogno…
Claudio Vigolo
(con l’aiuto di Stefano Carnazzi)
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