La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Lo scorso 14 marzo, all’età di 75 anni, se n’è andato il grande primatologo, che con il suo sguardo curioso e peculiare ci ha insegnato a guardare le altre specie senza le lenti deformanti dell’antropocentrismo.
Quando andava al ristorante Frans de Waal era solito sedersi in posti che gli permettessero di osservare la gente che mangia, era infatti un osservatore curioso e compulsivo, che non smetteva mai di fare comparazioni tra i primati. Ci sono, in tutte le discipline, persone rivoluzionarie, in grado di adottare una nuova prospettiva e di tracciare una nuova strada. Frans de Waal era uno di questi. Etologo, primatologo e divulgatore scientifico, de Waal ha contribuito a ridefinire l’essenza della natura umana e a mettere in discussione le certezze circa la presunta superiorità della nostra specie sulle altre.
“Per gran parte del secolo scorso, la scienza è stata estremamente cauta e scettica rispetto all’intelligenza degli animali”, ha scritto nel libro Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?. “Ma i tempi stanno cambiando. Ormai non si esclude più niente, nemmeno quella razionalità che una volta era considerata il marchio distintivo dell’umanità. In tutto questo, amiamo mettere a confronto e a contrasto l’intelligenza animale e quella umana, prendendo noi stessi come pietra di paragone. È bene, però, rendersi conto che questo è un modo un po’ antiquato di presentare le cose”.
Lo scienziato olandese sottolineava dunque la continuità dell’evoluzione, a scapito dei dualismi tradizionali, e si inseriva nel solco tracciato dal maestro dell’osservazione naturalistica, Konrad Lorenz.
Quest’ultimo si fece promotore di quella che chiamò la Ganzheitsbetrachtung (ossia la contemplazione olistica), e ci raccomandò di comprendere l’animale nella sua interezza, studiandolo con amore e rispetto, prima di focalizzarsi sulle sue varie parti.
Fransiscus Bernardus Maria de Waal, noto come Frans de Waal, è morto il 14 marzo 2024, all’età di 75 anni, a causa di un cancro allo stomaco.
De Waal ha dedicato la sua esistenza allo studio del comportamento sociale dei primati, partendo dai comportamenti aggressivi nei macachi, protagonisti della sua tesi di dottorato in biologia presso l’Università di Utrecht, fino ad arrivare a dirigere il Centro nazionale di ricerca sui primati di Atlanta, Georgia, e a concentrarsi sulle due specie più simili a noi, ovvero scimpanzè e bonobo.
“Il confronto non è fra gli esseri umani e gli animali, ma fra una specie animale, la nostra, e una grande varietà di altre. Non stiamo confrontando due categorie separate di intelligenza bensì variazioni all’interno di una singola categoria. Io considero la cognizione umana una varietà della cognizione animale”.
Grazie alle sue ricerche, e alle sue spiccate doti di divulgatore, de Waal nel 2007 è stato inserito nella lista delle cento persone più influenti del mondo, redatta dalla rivista statunitense Time, mentre nel 2011 la rivista Discover lo ha giudicato tra i 47 scienziati più brillanti di tutti i tempi.
Il primo libro di divulgazione, pubblicato nel 1982 con il titolo La politica degli scimpanzé. Potere e sesso tra le scimmie, metteva subito in chiaro il pensiero di de Waal e il suo costante tentativo di sfumare i confini tra noi e gli altri animali. Non tanto per sminuire l’uomo, quanto per rendere giustizia alle altre specie.
“Quando ci paragoniamo agli animali lo facciamo sempre in senso negativo, ha affermato in un’intervista rilasciata a Pikaia nel 2006, se siamo violenti diciamo che ci comportiamo come animali, se siamo altruisti o tolleranti diciamo che è frutto della cultura o della religione. Invece io dimostro, facendo esempi di empatia, altruismo e cooperazione negli scimpanzé, e ancora di più nei bonobo, che l’intero nostro lato positivo è anche parte della biologia dei primati”.
Grazie a decenni di studi, condotti in cattività e in natura, il primatologo ci ha insegnato che alcuni tratti che ritenevamo esclusivi della nostra specie, come la capacità di elaborare strategie, tramandare la cultura e agire in base a sentimenti morali, sono invece da condividere con altri animali, dai corvi ai polpi, certamente con scimpanzé e bonobo, con cui condividiamo buona parte del codice genetico e da cui ci siamo separati appena cinque o sei milioni di anni fa. La moralità umana affonda dunque le sue radici nella nostra natura, “l’evoluzione ha prodotto il collante che tiene insieme le comunità, ha affermato de Waal. Prendiamo delle decisioni che derivano da istinti sociali che sono più antichi della nostra specie”.
A causa della sua tendenza a cercare di comprendere il comportamento e le emozioni degli animali, e a utilizzare per descrivere i loro stati d’animo i termini che usiamo per parlare delle emozioni umane, de Waal fu più volte accusato dalla comunità scientifica di antropomorfismo.
Il primatologo, dal canto suo, sosteneva che il problema era opposto e che la nostra superbia ci imponesse di rifiutare persino la possibilità di comportamenti simili a quelli umani in altri animali. “Avendo bisogno di un nuovo termine per presentare in modo più chiaro la mia argomentazione, inventai una nuova parola, antropodiniego, definita come il rifiuto a priori di riconoscere tratti simili a quelli umani in altri animali o di tratti simili a quelli di animali in noi”.
Con il suo lavoro e il suo sguardo curioso Frans de Waal ha contribuito ad ampliare la nostra conoscenza degli altri animali, e inevitabilmente di noi stessi, evidenziando il bias che ci vede incapaci di condividere con altre specie quelle caratteristiche che riteniamo fondanti del nostro essere umano. Perché, in fondo, per usare le sue parole, “si può strappare la scimmia dalla giungla, ma non la giungla dalla scimmia”.
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