Un robot ha scattato alcune immagini immerso nel liquido di raffreddamento tra le macerie del reattore nucleare numero 1 di Fukushima.
Le immagini scattate da un robot a controllo remoto “spedito” nel cuore del reattore nucleare distrutto a Fukushima sono in ogni caso straordinarie. Non è infatti certo, benché molto probabile, che quello fotografato dalla sonda sia il residuo del combustibile nucleare fuso nel reattore numero 1, uno dei tre danneggiati a seguito del terremoto e dello tsunami che colpì la costa giapponese nel marzo del 2011.
A Fukushima 900 tonnellate di combustibile nucleare fuso
Le foto scattate dal robot utilizzato dalla Tokyo Electric Power Company (Tepco), azienda che gestisce il sito nucleare, sono state diffuse dall’Associated Press. Dopo l’incidente, ricorda l’agenzia di stampa, “la maggior parte del combustibile nucleare altamente radioattivo è scivolato in fondo alla struttura di contenimento, rendendone estremamente difficile il recupero”.
Secondo la stessa Ap, sarebbero circa 900 le tonnellate di combustibile fuso presenti nella centrale, di cui 280 nel reattore numero 1. La Tepco ha fatto sapere di prevedere un tempo di 30-40 anni necessario per riuscire a recuperarlo, ma numerosi critici indicano come si tratti di previsioni troppo ottimistiche.
Le immagini serviranno per ipotizzare una strategia di recupero del combustibile
Ora le immagini scattate dal robot consentono di ottenere un quadro più chiaro della situazione a Fukushima. “Un precedente tentativo di inviare un piccolo robot con fotocamere nell’unità non aveva avuto successo. Gli scatti del robot ROV-A, stavolta, mostrano le strutture distrutte, tubi e accumuli di materiale che sembra essere il combustibile fuso, assieme ad altri detriti immersi nell’acqua di raffreddamento”, ha affermato la Tepco.
La centrale di Fukushima © Christopher Furlong/Getty Images
Un portavoce della compagnia elettrica ha tuttavia precisato che occorreranno ulteriori analisi per confermare la natura dei cumuli di macerie fotografati. Si sa inoltre che in un’area il robot ha misurato un tasso di radioattività pari a 2 sievert, il che rappresenta un livello letale per l’uomo. L’esposizione massima annua ammessa per chi lavora nel sito è di 50 millisievert all’anno.
Verranno inviati altri cinque robot nei prossimi mesi
“Se davvero si tratta del cosiddetto ‘corium’, ovvero una specie di lava costituita da combustibile fuso e altri materiali presenti nel nocciolo, parliamo, purtroppo, di qualcosa di previsto e che si stava cercando – spiega Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia -. È il primo passo per cercare di recuperare quello che è uno dei principali problemi per iniziare la bonifica del sito, che durerà decenni”.
Nei prossimi mesi si prevede l’utilizzo di altri cinque robot, co-sviluppati dalla Hitachi e da Hitachi-GE nuclear energy e dall’Istituto di ricerca internazionale sul decomissioning nucleare (consorzio governativo). Le immagini e i dati che verranno ricavati saranno quindi utilizzati per immaginare una strategia per il recupero del combustibile. Undici anni dopo l’incidente, dunque, ancora si cerca di raccogliere informazioni per concepire una soluzione, per la cui attuazione serviranno in ogni caso numerosi decenni.
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