Fusione dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, cicloni tropicali sempre più violenti, ondate di siccità e caldo estremo. Le manifestazioni dei cambiamenti climatici sono tante e ormai, nostro malgrado, abbiamo imparato a conoscerle. A questa lunga lista dobbiamo aggiungere un’altra voce: una maggiore frequenza dei fulmini. Anche in un territorio, come l’Artico, dove storicamente se ne sono sempre abbattuti pochi. È quanto emerge da uno studio scientifico pubblicato su Geophysical research letters.
Artico, fulmini triplicati in dieci anni
I ricercatori hanno passato in rassegna i dati del World wide lightning lotation network, una rete di stazioni disseminate in tutto il mondo che rilevano le onde radio emesse dai fulmini. Nello specifico si sono concentrati nei mesi di giugno, luglio e agosto (quelli in cui se ne verificano di più) a una latitudine superiore ai 65 gradi nord.
Di per sé i dati sono eclatanti: si è passati dai 35mila fulmini del 2010 ai 240mila del 2020. È anche vero, chiariscono però gli autori, che nel frattempo la rete si è espansa da 40 a 60 stazioni di rilevazione. Il numero di fulmini inoltre varia parecchio di anno in anno e proprio nel 2020 è stato eccezionalmente elevato. Robert Holzworth dell’università di Washington a Seattle, primo autore dello studio, propone una stima più veritiera: “Direi che abbiamo prove davvero valide del fatto che il numero di fulmini nell’Artico è aumentato, diciamo, del 300 per cento”.
The Arctic is not usually a hotbed for lightning — the air is simply not warm enough for thunderstorms to usually occur. But as the Arctic warms at an alarming rate, Arctic lightning has tripled in just the last decade, according to a new study. https://t.co/Yg0VauX7kv
Preoccupa la velocità del riscaldamento globale nell’Artico
Il motivo è presto detto. L’Artico storicamente è sempre stato caratterizzato da temperature talmente basse da non creare condizioni favorevoli per i temporali; ora, però, si sta riscaldando a un ritmo doppio rispetto a quello del resto del mondo. Nel 2010 infatti le medie estive superavano di 0,65 gradi centigradi quelle dell’era preindustriale, dieci anni dopo di ben 0,95 gradi centigradi. I fulmini sono una delle tante conseguenze.
La Nasa fa sapere l’estensione minima del ghiaccio marino, che si raggiunge nel mese di settembre, diminuisce a un ritmo del 13,1 per cento ogni decennio rispetto alla media registrata tra il 1981 e il 2010. Nel 2020 è scesa è scesa al di sotto dei 4 milioni di chilometri quadrati per la seconda volta dal 1979; solo nel 2012 i satelliti avevano registrato una superficie più piccola.
Un tempo il ghiaccio marino proteggeva l’isola sulla quale sorge il villaggio di Kivalina, in Alaska. Ora che il ghiaccio si sta sciogliendo, il mare la sta lentamente cancellando dalle carte geografiche. Ma gli abitanti resistono, e con loro le tradizioni.
Dopo un mese di razionamenti, sono stati completati i lavori per la condotta provvisoria che porterà l’acqua dal fiume alla diga di Camastra, ma c’è preoccupazione per i livelli di inquinamento.
Il livello di inquinamento supera di 60 volte il limite fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il governo ha chiuse le scuole e ha invitato gli anziani a stare a casa.
Il primo agosto in Groenlandia si è sciolto così tanto ghiaccio che avrebbe potuto riempire 4,4 milioni di piscine olimpioniche. Un documentarista ha scattato delle foto che lo dimostrano.
Gli Stati Uniti non hanno voluto inserire alcun riferimento alla gravità dei cambiamenti climatici nella dichiarazione finale del Consiglio artico, che pertanto non c’è stata. È la prima volta che accade dal 1996.