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Futura classe dirigente. Cosa pensano i giovani della sostenibilità
I giovani sono particolarmente attenti alla sostenibilità, ma continuano a concepirla come semplice tutela dell’ambiente. Lo dimostra una ricerca.
La sostenibilità è ormai entrata a far parte delle aziende come valore aggiunto alla loro competitività sul mercato. In ambito imprenditoriale, però, assume significato non solo in relazione alla salvaguardia dell’ambiente, ma anche all’interno di variabili sociali, economiche e relazionali.
L’istituto di ricerche Astarea, attraverso una ricerca condotta su 160 studenti universitari di quattro atenei d’Italia (Milano, Padova, Roma e Napoli), ha voluto indagare sulle reali conoscenze della futura classe dirigente in termini di sostenibilità aziendale per comprendere come potrebbe prospettarsi il futuro delle aziende. Soprattutto di quelle che hanno fatto della responsabilità sociale e ambientale il loro punto di forza.
Presentata il 7 novembre al CicloSfuso di Milano, con la partecipazione di Andrea Farinet dell’Università LIUC e Ylenia Esther Yashar, responsabile CSR del Credito Valtellinese, la ricerca ha permesso di mettere in luce il livello di informazione e istruzione in materia nelle università italiane, offrendo ottimi spunti di riflessione da cui poter partire per creare maggiore consapevolezza.
Sostenibilità significa rispetto per l’ambiente
Nelle imprese si sta gradualmente sviluppando un nuovo modo di concepire la sostenibilità e di integrarla all’interno delle dinamiche aziendali e del processo produttivo. Ma i giovani, come la interpretano? Dalla ricerca è emerso che la sostenibilità viene ancora vista in ottica green: tra il 60 e il 70 per cento degli intervistati ha ritenuto che un’azienda è da considerare sostenibile se rispetta l’ambiente, impiegando fonti di energia rinnovabili e materiali riciclati per la realizzazione dei prodotti e degli imballaggi.
Nonostante una certa sensibilità alle tematiche ambientali, riscontrata anche nelle risposte inerenti le loro abitudini in casa, i giovani hanno dimostrato di essere comunque disinformati su alcune pratiche aziendali necessarie per ridurre l’impatto del processo produttivo. A confermarlo è stato il dato relativo al reimpiego di tutte le risorse residue: solo la metà degli intervistati l’ha catalogato come elemento importante all’interno di un’azienda sostenibile.
“La regeneration è stata posta all’ultimo posto – ha spiegato Laura Cantoni di Astarea – perché solo la metà sa che è importante non avere sprechi, non soltanto in termini di raccolta differenziata, ma anche di ciclo produttivo pulito, a residuo zero”.
Futura classe dirigente e nuove modalità di business
Parlando di sharing economy, gli studenti universitari si sono mostrati particolarmente favorevoli allo sviluppo del bike sharing, car sharing, flat sharing e co-working, tutti fenomeni molto vicini alla loro realtà quotidiana.
L’incremento di crowdfunding e reti d’impresa, però, non ha prodotto risultati altrettanto positivi. Rispettivamente, soltanto il 29 e l’11 per cento hanno considerato importante lo sviluppo di questi nuovi modelli di business. Soprattutto nel secondo caso, si tratta di un segnale preoccupante dal momento in cui questa formula rappresenta uno dei principali strumenti per ridurre l’impatto di un’azienda.
Istruire i giovani è la soluzione
Nonostante la disinformazione riscontrata rispetto al concetto di sostenibilità, al termine del questionario, il 66 per cento degli intervistati ha ritenuto che tutte le attività rispettose dell’ambiente e delle persone rappresentano una grande opportunità per le imprese garantendogli un ritorno economico in termini di competitività e immagine.
La sostenibilità è dunque un’idea concreta che i giovani hanno già assunto nelle loro azioni quotidiane. Mancano, però, gli strumenti necessari che permettano alla futura classe dirigente di passare dalla presa di coscienza alla messa in pratica di questo valore anche nella realtà imprenditoriale.
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