Si tratta di un’area di 202 chilometri quadrati nata grazie agli sforzi durati 16 anni delle comunità locali e nazionali a Porto Rico.
Il futuro dell’Appennino, tra conservazione e integrazione
Nel corso del Festival della soft economy, organizzato da Symbola, una giornata è stata dedicata all’Appennino, per fare il punto a 20 anni dal progetto Ape, Appennino Parco d’Europa.
L’Appennino è molto più di una catena montuosa, è la spina dorsale del nostro Paese, non ha forse la marmorea perfezione né le cime acuminate delle Alpi, è però un luogo di incontri, dove uomini, animali e boschi convivono, e ha giocato un ruolo determinante durante la Resistenza. All’Appennino è stata dedicata un’intera giornata organizzata da Fondazione Symbola, Federparchi e Legambiente svoltasi nel corso del Festival della soft economy, a Macerata e Treia dal 5 al 9 luglio.
A 21 anni dal progetto Ape
Sono passati ventuno anni dalla nascita del progetto Ape, acronimo di Appennino Parco d’Europa, iniziativa nata nel 1995 per coniugare progetti di conservazione con le politiche di sviluppo territoriale e rurale, riconoscendo la montagna come risorsa strategica. In occasione del festival, a cui hanno partecipato tutti i principali rappresentanti del mondo dei parchi e numerose istituzioni, è stata varata una sorta di versione 2.0 del progetto Ape, per tirare le somme e prepararsi ad affrontare le sfide del futuro.
Lo sviluppo sostenibile delle montagne
Nel secondo dopoguerra numerose aree montane e pedemontane hanno assistito ad un intenso spopolamento, in particolare nelle zone appenniniche. Gli investimenti e le risorse sono state concentrati nelle pianure e nei grandi centri urbani condannando così le comunità montane. Il territorio montano corrisponde quasi ai tre quinti della superficie nazionale e ospita attualmente solo un quinto della popolazione. Il progetto Ape è nato anche per favorire lo sviluppo sostenibile delle montagne, aree troppo a lungo emarginate. La nuova fase del progetto parte proprio da qui, dalle esperienze virtuose che, in questi anni, hanno visto le comunità, gli enti, le amministrazioni locali e i parchi dialogare e crescere.
Montagne di integrazione
Dopo la fase di abbandono gli Appennini si stanno gradualmente popolando di nuovo, grazie agli immigrati. Visti troppo spesso come una minaccia o quantomeno un problema, nelle comunità montane gli immigrati sono diventati un’inestimabile risorsa, demografica economica e sociale. “Negli ultimi venti anni sull’Appennino si è integrato il 21,3 per cento degli immigrati arrivati in Italia”, ha dichiarato Alessandro Rinaldi di Unioncamere. Gli immigrati si sono spinti sull’Appennino attirati dai bassi costi delle abitazioni e con la loro presenza hanno contrastato il degrado dei boschi, dei pascoli e dei borghi, salvando un patrimonio di incalcolabile ricchezza. È però necessario continuare ad alimentare l’integrazione, ha ricordato Carlo Cambi, giornalista e scrittore, e far sì che “diventino i nuovi appenninici”.
Il valore dei parchi
“L’Appennino ha in sé un immenso valore dicotomico fatto di tradizione e innovazione – ha affermato Rossella Muroni, presidente di Legambiente. – Credo che i parchi possano rappresentare per il Paese un laboratorio di innovazione economica, vinceranno questa sfida se riusciranno a fare sistema in questa fase di crisi economica. È il momento di passare alla definizione e all’attuazione di una strategia nazionale in grado di assicurare una più efficace governance dell’Appennino e di proiettarsi sullo scenario euromediterraneo attraverso un accordo istituzionale tra il governo, le regioni, gli enti locali e quelli di gestione delle aree protette, aperto al protagonismo e al coinvolgimento delle associazioni, delle imprese e delle tante organizzazioni della società, in particolare del territorio”.
I successi della conservazione
Nell’ultimo ventennio sono stati raggiunti straordinari obiettivi per quanto riguarda la conservazione delle specie animali e vegetali italiane. “L’orso marsicano e il pino loricato sono simboli di specie salvate dai parchi. – ha spiegato Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi – Ricordiamo inoltre il camoscio appenninico, che era prossimo all’estinzione e oggi è diffuso in cinque parchi appenninici. Abbiamo un incredibile patrimonio fatto di boschi, foreste e animali, dobbiamo farlo fruttare con un sistema. La diversità tra le aree rappresenta un valore aggiunto, ma il modello di sviluppo da perseguire deve essere unico”.
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