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Il nostro futuro vive nel mar Mediterraneo
In occasione della Giornata internazionale del Mediterraneo, abbiamo parlato con Andrea Morello dell’importanza di proteggerlo.
La parola “Mediterraneo” deriva dal termine latino mediterraneus, che significa “in mezzo alle terre”. È una delle prime cose che ci viene insegnata da bambini quando impariamo la storia delle imprese che si sono svolte nelle sue acque. Sono racconti fatti di grandi gesta e celebri protagonisti che ancora oggi nutrono la nostra immaginazione. Quello che però non sempre ci viene insegnato, è ciò che accade sotto la superficie del Mediterraneo, in quel mondo quasi sconosciuto che si cela sottacqua. Anche qui, ogni giorno, vanno in scena grandi battaglie con coraggiosi eroi che proteggono i più deboli. Per questo, in occasione della giornata internazionale del Mediterraneo, abbiamo parlato con una delle persone che stanno facendo la differenza nelle nostre acque. Si tratta di Andrea Morello, presidente di Sea Shepherd Italia, una costola di Sea Shepherd global che da 44 anni si occupa di proteggere, difendere e conservare i nostri mari.
Il respiro del mare
“Noi dipendiamo dal mare per poter vivere in questo Pianeta”. È la prima cosa che ci ha detto Morello quando gli abbiamo chiesto che ruolo avesse il Mediterraneo nelle nostre vite. “Due dei tre respiri che facciamo ci vengono donati dal mare”, ci spiega. Questo succede grazie al fitoplancton, una microalga responsabile della fotosintesi acquatica. Funziona proprio come per le foreste, che trasformano la CO2 in ossigeno e ci permettono di respirare.
Oggi però il fitoplancton è in pericolo. Negli ultimi anni, ne è spartito quasi il 50 per cento dalle nostre acque. “Questo perché per vivere dipende dai cetacei, dalle balene, dai delfini e persino dagli uccelli marini che portano i minerali in zone dove altrimenti non ci sarebbero”, ci dice. “Dobbiamo capire che noi dipendiamo dal mare per sopravvivere. Quindi difenderlo significa difendere noi stessi, dobbiamo imparare che siamo interdipendenti dalle altre specie”.
Da cosa è minacciato il mar Mediterraneo
Il Mediterraneo è un mare tanto pieno di vita quanto di minacce. La parte orientale è ormai calda come un mare tropicale e per questo proliferano specie aliene invasive. Negli ultimi anni è poi stato registrato un crollo verticale delle popolazioni di vertebrati e il rischio di estinzione incombe su centinaia di specie animali e vegetali.
A questo quadro tracciato dal Wwf e dall’istituto di ricerca Tour du Valat, si sommano poi la minaccia della plastica e della pesca illegale. Il Mediterraneo, infatti, è il mare più sfruttato del mondo, dove sette specie su dieci sono sovrapescate, quello che in inglese viene chiamato overfishing.
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Plastica e pesca illegale. Due problemi da risolvere
Negli ultimi anni, Morello, insieme a Sea Shepherd, si è ritrovato a soccorrere diversi animali proprio per questi motivi. “Un giorno un’oscurità nel mare ha attirato la nostra attenzione. Ci siamo avvicinati ed era una tartaruga enorme che galleggiava. Siamo riusciti a soccorrerla e a portarla all’ospedale di Messina. Lì abbiamo scoperto che il suo secondo stomaco (le tartarughe hanno tre stomaci) era pieno di plastica, per questo non riusciva ad immergersi. All’ospedale sono riusciti a salvarla e quando si è ripresa l’abbiamo riportata in mare”.
Dobbiamo lasciare al mare la possibilità di riprendersi. Semplicemente lasciandolo vivere.
La minaccia dei Fad, i dispositivi di pesca illegali, poi, mette a rischio la vita marina, tanto quanto il problema della plastica. Nei giorni scorsi, infatti, Morello stava navigando alle Eolie, al nord dell’isola di Ustica, quando si è trovato di fronte a un’altra tartaruga in difficoltà. “Quando ci ha visti ha alzato le due pinne frontali, quasi a chiedere aiuto. Ci siamo accorti che stava lottando per stare a galla e respirare perché un amo, attaccato a un palangaro, la trascinava sott’acqua”, ci dice.
Queste attrezzature, se legali, vengono calate molto in profondità, in zone dove le tartarughe non arrivano. Ma nel caso di dispositivi illegali vengono posizionati vicino alla superficie. “Per fortuna l’abbiamo vista. Ci siamo fermati, l’abbiamo liberata dal filo e portata all’ospedale di Filicudi, un’altra isola delle Eolie, dove c’è un centro di veterinari e volontari che cercano di salvare questi animali”.
Reti da pesca come muri della morte
Il problema delle reti illegali non coinvolge solo le tartarughe, ma ogni forma di vita. “Le reti derivanti, le reti spadare, sono dette i muri della morte”, ci spiega. Per questo, uno degli obiettivi principali di Sea Shepherd è proprio rimuovere questi dispositivi. “Tre anni fa ero sulla Sam Simon [una delle navi della flotta, ndr], che solcava le acque del sud Tirreno. In quel mare abbiamo trovato una rete lunga sei chilometri e alta 42 metri, un muro gigantesco che si è portato a terra di tutto. L’abbiamo trovata e rimossa, ma al suo interno c’erano pesci spada, squali, delfini, ben 39 animali. Al quarantesimo, però, abbiamo liberato una verdesca di tre metri. Quando ha risentito l’acqua, ha cominciato a nuotare davanti alle nostre prue, quasi a segno che c’è ancora speranza se agiamo oggi”.
Possiamo agire adesso per salvare la nostra specie, con le nostre scelte, la nostra consapevolezza, con la curiosità di imparare e di non venire allevati dalle nostre abitudini.
Considerando la quantità di minacce che incombono sul mar Mediterraneo, è facile perdersi d’animo. Ma come testimonia il lavoro di Sea Shepherd, siamo ancora in tempo per fare di meglio. Perché la speranza di un futuro migliore vive nel respiro di un delfino, nel solido guscio di una tartaruga e nelle profondità segrete del mare.
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