G7 ambiente, cosa chiede la società civile rimasta fuori dalla Reggia di Venaria

Alla Reggia di Venaria, dove si è svolto il G7, non è stata invitata la società civile. Che ha protestato nelle piazze. Ecco cosa hanno chiesto.

Che la Reggia di Venaria sia un luogo bellissimo lo sappiamo tutti e ce lo ha ricordato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, alla prima occasione utile con i giornalisti, durante il G7 su clima, energia e ambiente. E questo lo sanno molto bene anche gli attivisti che in questo periodo hanno “imbrattato” chi un quadro e chi un edificio storico. Ed è proprio su questo “senso del bello” che fa leva una parte della società civile, per dire che queste opere, tutta questa bellezza rischia di squagliarsi sotto il peso del riscaldamento globale, se non agiamo davvero.

Società civile che ancora una volta non è stata invitata nei “palazzi del potere” e che quindi ha dovuto “arrangiarsi” per far sentire la propria voce durante il vertice del G7 in scena tra Venaria, appunto, e Torino. Tra le piazze e le vie delle due città erano molte le forze dell’ordine dispiegate ma ciò non ha impedito alle associazioni, ai centri sociali e agli studenti di manifestare. E le proteste sono state diverse: alle 700 persone che hanno sfilato lungo le vie di Venaria, bruciando le immagini dei leader politici, si sono aggiunte le manifestazioni di Extinction rebellion i cui attivisti hanno prima occupato la hall del grattacielo di Intesa Sanpaolo, dove è stato srotolato uno striscione con su scritto “sette governi decidono, mentre il mondo brucia” e poi occupando il tetto della facoltà di Biologia dell’università di Torino con un altro striscione: “The king is naked, G7 is a scam” (Il re è nudo, il G7 è una presa in giro).

Non sono mancate le proteste organizzate dai centri sociali e dai collettivi studenteschi, sfociate in scontri con le forze dell’ordine. Infine, i momenti di assemblea popolare, momenti di partecipazione aperti alla cittadinanza, come quella organizzata di Ultima generazione davanti alla Reggia o quella di Recommon al campus universitario Einaudi.

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Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin al G7 di Venaria Reale, Torino © Maurizio Bongioanni/LifeGate

Al G7 non si parla di gnl e non è una buona notizia

Al G7 si è parlato di transizione energetica e sono stati annunciati diversi impegni, che vanno dagli obiettivi temporali legati all’abbandono del carbone a quelli legati al nucleare. Eppure, non ci sono veri e propri passi in avanti, solo richiami a obiettivi già sentiti. Anzi, secondo alcuni c’è stato anche qualche passo indietro: “Si è parlato di un phase-out dal carbone al 2035 ma questo è un impegno al ribasso rispetto a quelli presi a livello internazionale in passato, che parlavano di 2030 per i paesi Ocse e 2040 nel resto del mondo”, ha spiegato Simone Ogno, campaigner di Recommon.

E poi c’è il gas naturale liquefatto (gnl), che sebbene non sia stato oggetto di dibattito “diretto” durante il G7 c’è il rischio concreto che si riconfermi a livello mondiale come combustibile fondamentale per la sicurezza energetica e su cui i governi concentreranno investimenti di capitali privati e pubblici. Un regalo al Giappone, secondo gli attivisti, che già nello scorso G7, tenutosi proprio a Hiroshima, aveva insistito sul Gnl come risorsa necessaria alla transizione.

La testimonianza dei nativi americani contro il gnl

Il rischio che però non viene preso in considerazione è l’impatto che il gnl ha sulle comunità dove viene estratto. Come racconta la testimonianza di Juan Mancias, capo della tribù di nativi americani Carrizo Comecrudo, che ha parlato davanti agli studenti universitari di Torino. La sua comunità si trova nel territorio texano al confine con il Messico, la Rio Grande valley, dove si intendono costruire due nuovi mega-terminal per il gas naturale liquefatto: Rio Grande Lng (che ha già ricevuto un finanziamento di 1,08 miliardi di dollari da Intesa Sanpaolo), un mastodontico progetto che prevede torri alte 19 piani, e il Texas Lng. Nei pressi dell’ipotetico sito di costruzione di Rio Grande troverebbe posto anche una base spaziale SpaceX di Elon Musk, altro elemento che pone dubbi sulla sicurezza, oltre che sui sicuri impatti socio-ambientali legati alla realizzazione dell’opera.

Nella Rio Grande valley si trovano i villaggi e i cimiteri ancestrali della comunità Carrizo Comecrudo. Per tutelare la sua comunità e il suo territorio, Mancias è impegnato da anni in una campagna volta a dissuadere gli istituti di credito internazionali dal finanziare i progetti: “il mio popolo ha avuto contatto con i colonizzatori nel 1560, e dopo 500 anni il genocidio ancora va avanti. Non si può parlare di transizione giusta senza rappresentanza: noi non siamo riconosciuti dagli Usa e secondo il governo federale non abbiamo nessun diritto su una terra in cui viviamo da secoli. Stiamo acquistando le nostre terre, ettaro dopo ettaro, secondo le legge americana per cui tutto ha un costo. Ma appena saranno nostre, ci libereremo da questa mentalità di sfruttamento”.

E ancora: “quello che vorrei spiegare ai capi del G7 è che la nostra scienza funziona, la loro no. La nostra rispetta la natura e l’acqua e l’aria rimangono pulite. La scienza dello sfruttamento, invece, ha prodotto molti danni. C’è qualcosa che non va. Non c’è più connessione con il nostro Pianeta, che è uno solo”. Mancias sostiene che negli ultimi anni ha assistito a terremoti e voragini nel terreno mai visti prima: “continuano a dirci che l’estrazione del gas è necessaria. Ma a chi?”. Ora uno dei progetti è fermo grazie a una causa in tribunale: Macias e gli altri nativi sono ora impegnati a fermare la base di SpaceX: “la base ci impedisce di accedere alla nostra terra sacra, dove sono sepolti i nostri antenati: un sito storico, dove gli scavi portano in superficie i resti degli antichi 32 villaggi di pescatori”.

Insomma, il gas passa le frontiere, ma le persone no. Come sostiene un’altra attivista, Cyndy Valdes, la cui casa si trova proprio davanti al canale di Corpus Christi bay, dove partono le navi cariche di gnl “che arrivano anche in Italia”, precisa Cyndy, “navi dalle carene enormi, che stanno distruggendo l’intero ecosistema marino e costiero”. Il principale esportatore si chiama Cheniere, che trasporta gas liquefatto in tutto il mondo estratto dal bacino del Permiano, uno dei bacini di estrazioni più grandi del mondo: “il flaring del gas che arriva in superficie è una pratica continua: da casa mia posso sentire il calore e sentirne l’odore. Il gnl non può essere il futuro, nemmeno l’idrogeno blu prodotto a partire dall’ammoniaca, verso cui stanno andando le industrie petrolifere di quest’area, come la Elbridge. Siamo sempre punto a capo e continuano a costruire nuovi gasdotti”.

Juan Mancias è il capo della tribù di nativi americani Carrizo Comecrudo © Maurizio Bongioanni/LifeGate

La protesta contro il G7 non si ferma

Sebbene, quindi, al G7 si sia parlato di un decisivo passo la decarbonizzazione, mancano le prove concrete di questa intenzione: il Piano Mattei, che non coinvolge la società civile africana – come ci hanno tenuto a sottolineare gli attivisti – prevede la realizzazione di progetti pilota legati sì all’idrogeno del futuro, ma che nel presente sono indissolubilmente legati al gas fossile tra Algeria, Tunisia e Italia (il progetto si chiama South H2 corridor). E intanto l’Italia continua a puntare sull’importazione di Gnl, come dimostra il rigassificatore di Vado Ligure, che dovrebbe sostituire quello in progetto a Piombino.

Infine il Pnrr: ancora non c’è trasparenza su cosa verrà finanziato con i soldi europei destinati alla transizione e alla resilienza. “L’accordo tra l’Italia e Bruxelles è stato rinegoziato a novembre”, dicono da Recommon, “ma nemmeno i parlamentari sanno cosa è stato modificato”. Rimane il timore che i fossili continuino a ricevere sostegno. E finché gli impegni annunciati non si trasformeranno in azioni, la società civile continuerà a richiedere a gran voce più concretezza da parte dei governi. A partire da quelli del G7.

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