A piazza Jemaa el Fna, nel centro di Marrakech, pochi minuti prima del fischio d’inizio della partita degli ottavi di finale dei mondiali di calcio in corso in Qatar, bambini con disegni di stelle verdi sulle guance e donne dai vivaci djellaba, tipiche tuniche femminili, sventolano piccole bandiere e palloncini rossi vendute dai tanti ambulanti in piazza.
La vittoria con la Spagna
La festa a Marrakech è già iniziata, nonostante l’esito della partita contro la Spagna data per strafavorita, sia ignoto. L’aria fresca della sera e la luce violacea dell’imbrunire fanno brillare il maxischermo a cui sono attenti gli sguardi profondi di un popolo speranzoso, che riversa tutta la propria fede calcistica, ripetendo numerosi “Inshallah”. Si arriva ai calci di rigore e mentre il Marocco segna e la Spagna sbaglia i rigori, la piazza esplode. Nella Medina, vero e proprio teatro all’aperto e nella Qasba, parte interna della città, si scatenano grida ancestrali, rimbombano ossessivamente trombette da stadio e clacson. Il cielo si addensa di fumogeni rossi mentre folli corse in motorino, che attraversano gli stretti vicoli, sfiorano le persone.
La vittoria con il Portogallo
Nei giorni successivi l’atmosfera nel paese rimane densa di gioia, speranza, fiducia. L’aria più turistica della città imperiale cambia scendendo verso Dakhla, in Sahara occidentale. Ad ogni partita di questi leoni dell’Atlas, inferociti e tecnicamente preparatissimi, alcuni luoghi di aggregazione urbana si fermano per riempirsi altrove. Durante la sfida con il Portogallo, le torride strade di Dakhla e i bar sulla corniche si riempiono formicolando di ragazze che cantano e ragazzi che a più riprese le accompagnano percuotendo piccoli tamburi tradizionali, i Darabouka. Il match, tra incredibili parate di Yassin Bonou e il decisivo gol di En-Nesyri, alla fine piega la squadra portoghese, scrivendo un pezzo di storia: il Marocco è infatti la prima squadra araba e africana a qualificarsi in semifinale, superando le cavalcate ai quarti di Camerun del ’90, Senegal nel 2022 e Ghana nel 2010.
In attesa di Marocco-Francia
Un’altra città esplode, una città in cui molti expat francesi e spagnoli hanno investito in attività alberghiere con una manovalanza a maggioranza sub-sahariana. Vittorie, queste ultime due, simbolicamente molto forti. Lungo le strade della città, in piena esultanza, si incrociano decine di scooter su cui sventolano drappi scarlatti. Alcuni giovani salmodiano canzoni nazionaliste marocchine, incrociati da altrettanti drappelli che dalle macchine inneggiano al fronte Polisario e alla liberazione del popolo Saharawi. A dividerli, in questi attimi concitati, solo la striscia bianca al centro della carreggiata e quarantasei anni di conflitto interno. Ma qui, ora e in tutti questi istanti di preziosa autenticità esiste solo un territorio che esulta insieme, i cui occhi brillano di incredulità come le stelle dell’Hamada.