Finora sono morte almeno sette persone. Le forze di polizia stanno investigando per capire se gli incendi siano dolosi e hanno arrestato sette persone.
Il gas flaring avvelena l’Amazzonia, una spedizione italiana ne studierà l’impatto
L’obiettivo della spedizione, che si svolgerà nell’Amazzonia ecuadoriana, è di analizzare e mappare gli impatti socio-ambientali del gas flaring.
L’Ecuador occupa appena lo 0,02 per cento della superficie del pianeta ma ospita circa il 10 per cento della biodiversità mondiale. Questo straordinario patrimonio naturalistico si concentra in particolare nella Riserva della Biosfera Yasuní, nell’Amazzonia ecuadoriana. Quest’area, che oltre a uno stupefacente numero di specie animali e vegetali ospita la popolazione indigena Waorani, è sempre più minacciata dalle attività di estrazione di petrolio e gas. A queste attività si associa una pratica industriale tanto diffusa quanto poco nota: il gas flaring.
Cos’è il gas flaring
Con il termine gas flaring, letteralmente “combustione di gas”, si indica la combustione in situ di gas “di scarto” associati all’estrazione e produzione di idrocarburi. Questa pratica, particolarmente diffusa nei paesi in via di sviluppo, comporta lo spreco di enormi quantità di gas, a causa di vincoli tecnici, normativi o economici, e ha un grave impatto ambientale. Secondo il rapporto Zero Routine Flaring by 2030 della Banca Mondiale, ogni anno in tutto il mondo vengono bruciati 140 miliardi di metri cubi di gas, provocando l’emissione di oltre 300 milioni di tonnellate di CO2 nell’atmosfera. Per comprendere l’entità dello spreco energetico basti pensare che tale quantità di gas sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno di energia elettrica dell’intero continente africano.
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Come il gas flaring minaccia persone e ambiente
Il gas flaring, oltre ad emettere grandi quantità di gas serra e accelerare dunque i cambiamenti climatici, ha un grande impatto sugli ecosistemi e le popolazioni locali, inquinando il suolo e le falde acquifere e provocando piogge acide in grado di alterare la vegetazione e la composizione del terreno, con inevitabili ricadute sulla salute dei nativi.
Mappando gli impatti socio-ambientali del gas flaring
Per comprendere i reali effetti socio-ambientali del gas flaring, da oltre quindici anni il gruppo di ricerca Territori delle diversità ecologiche e culturali, guidato da Massimo De Marchi, professore del dipartimento di Ingegneria civile, edile e architettura dell’università di Padova, sta portando avanti uno studio geografico, da remoto e sul campo. Da questo gruppo di ricerca è nato il progetto “Esplorazione A.M.A.Z.O.N.Y.A. – Monitoring gas flaring impacts in the Yasuní Biosfere Reserve” che prevede una spedizione nell’Amazzonia ecuadoriana per mappare vecchi e nuovi siti industriali di gas flaring.
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Lasciare gli idrocarburi nel sottosuolo
Il progetto, supportato dal National Geographic, sarà presentato pubblicamente in occasione della Notte europea della geografia (#GeoNight2019) che si terrà a Padova il prossimo 5 aprile. L’obiettivo della spedizione è di censire i siti di gas flaring nella Riserva della Biosfera Yasuní e di comprendere gli impatti di questa pratica sui nativi e sull’ambiente. La ricerca, che prevede la combinazione di immagini satellitari e di un lavoro di mappatura sul campo, coinvolgendo anche le comunità locali, mira inoltre ad identificare aree ad elevata diversità ecologica e culturale dove sarebbe consigliabile lasciare gli idrocarburi nel sottosuolo, sulla base di diversi criteri geografici.
Amazzonia sotto attacco
In Amazzonia si trova la più vasta foresta pluviale al mondo, l’ultimo grande polmone verde della Terra. Quest’area, la cui conservazione è di vitale importanza per la nostra e per una miriade di altre specie, è assediata dal settore estrattivo. Le concessioni per la produzione di energia fossile, come riportato in uno studio pubblicato dal gruppo di ricerca Territori delle diversità ecologiche e culturali, coprono il 10,5 per cento dell’Amazzonia, il 67 per cento del territorio amazzonico dell’Ecuador e il 35 per cento dei territori amazzonici di Bolivia e Colombia. L’obiettivo dei ricercatori dell’università di Padova, dopo aver evidenziato la spropositata diffusione delle concessioni di petrolio e gas, è di creare “un Atlante mondiale del carbonio non utilizzabile, per l’attuazione di politiche territoriali inclusive a scala locale e globale per il clima, la tutela della biodiversità e il rispetto dei diritti umani”.
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