A Gaza gli ospedali non ce la fanno più

I raid di Israele hanno danneggiato decine di strutture mediche a Gaza, altre non funzionano più a causa dell’assedio totale. Il sistema sanitario è al collasso.

  • L’Oms ha documentato 72 attacchi a strutture sanitarie a Gaza dall’inizio dell’offensiva di Israele.
  • L’assedio totale ha costretto 12 ospedali su 35 a chiudere i battenti per mancanza di energia e acqua.
  • Gli ospedali rimasti non riescono a curare gli oltre 14mila feriti. Chi è in condizioni disperate perde la priorità di cura.
  • “Il personale sanitario sta lavorando in situazioni drammatiche”, spiega a LifeGate Monica Minardi, presidente Msf.

Gli ospedali della Striscia di Gaza stanno smettendo di funzionare, uno dopo l’altro. Per ora ha già chiuso i battenti un terzo degli ospedali. L’offensiva israeliana sul territorio palestinese dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre non sta facendo distinzione tra obiettivi militari e civili e anche gli ospedali ne stanno risentendo. Da una parte ci sono i bombardamenti dell’esercito israeliano, che hanno colpito decine di presidi medici. Dall’altra c’è l’assedio totale, che sta privando Gaza di beni di prima necessità come l’acqua e l’energia, rendendo in molti casi impossibile il lavoro dei medici.

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Un medico ferito a Gaza © Abed Zagout/Anadolu via Getty Images

Una situazione di questo tipo si è già tradotta in una grave emergenza umanitaria, dal momento che il bilancio provvisorio dell’offensiva israeliana su Gaza è tragico: oltre 5mila morti, di cui il 40 per cento bambini. E almeno 14mila feriti. Per questi ultimi i medici si trovano costretti a fare una cinica ma necessaria selezione, perché garantire le cure a tutti non è possibile. Chi è ormai in una condizione disperata viene lasciato morire, così da concentrarsi su chi potrebbe ancora sopravvivere. E i medici si trovano a lavorare in condizioni estreme.

“Senza un cessate il fuoco e se non vengono permessi dei corridoi umanitari che possano permettere di portare all’interno di Gaza sufficiente farmaci, equipaggiamenti medici, cibo e beni essenziali, la situazione non potrà fare altro che peggiorare”, spiega a LifeGate Monica Minardi, presidente di Medici senza frontiere.

Bombe sugli ospedali a Gaza

Il 7 ottobre l’esercito israeliano ha dato il via a una pesante offensiva militare sulla Striscia di Gaza, dopo che un attacco dell’organizzazione estremista palestinese Hamas in suolo israeliano aveva causato circa 1.400 morti, con la presa in ostaggio di oltre 200 persone. Il governo di Israele ha detto di voler distruggere Hamas e di puntare a obiettivi militari, ma nel corso di poche ore l’offensiva ha assunto i tratti della punizione di massa, tanto da portare a dichiarazioni di condanna da parte dell’Onu e di alcuni leader internazionali. 

Per ora i raid israeliani su Gaza hanno colpito oltre 50mila case, causando lo sfollamento di un milione di persone – la metà della popolazione della Striscia. Le bombe hanno colpito vie di fuga come il valico di Rafah, campi profughi, moschee e chiese. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari ha registrato 206 attacchi a scuole. E poi ci sono gli ospedali.

L’attenzione mediatica e politica in questo senso si è concentrata sull’esplosione avvenuta il 17 ottobre nel cortile antistante l’ospedale Al-Ahli Arab, attribuita dal ministero della Salute palestinese, controllato da Hamas, a una bomba israeliana, con quasi 500 morti. In realtà sono emersi molti dubbi su questa versione, sia per quanto riguarda il numero di vittime, che sarebbe stato di alcune decine, sia per quanto riguarda la responsabilità, che resta non chiarita del tutto. L’intelligence israeliana e statunitense, oltre che alcune analisi indipendenti come quella del Royal United Services Institute, hanno detto che l’esplosione è stata causata da un razzo palestinese. Altre analisi indipendenti, come quella del team pluripremiato Forensic Architecture, hanno invece espresso forti dubbi sulla responsabilità palestinese. 

Gaza
La situazione a Gaza © MOHAMMED ABED/AFP via Getty Images

L’Al-Ahli Arab era già stato colpito da un’esplosione pochi giorni prima, che aveva causato il ferimento di quattro operatori sanitari e il danneggiamento di alcuni reparti, come quello di ostetricia. In quell’occasione si era trattato di un raid israeliano. Dall’inizio dell’offensiva del 7 ottobre, l’Oms ha raccolto 72 casi di attacchi a strutture sanitarie. Gli ospedali danneggiati dai raid israeliani finora sono stati 19, le ambulanze distrutte 24. E molte strutture stanno smettendo di funzionare, mentre il bilancio della Striscia di Gaza è di oltre 5mila morti, tra cui oltre 2mila bambini. E almeno 14mila feriti.

Mancano acqua ed energia

I raid israeliani sulle strutture sanitarie spiegano solo in parte l’emergenza medica che sta vivendo la Striscia di Gaza. Se le esplosioni hanno messo fuori uso alcune strutture, così come altre nella parte Nord del territorio sono state sgomberate per gli ultimatum di evacuazione dell’esercito israeliano, per il resto degli ospedali il problema ha a che fare con l’assedio totale.

A poche ore dall’inizio dell’offensiva su Gaza, Israele ha tagliato le forniture di acqua, energia elettrica, cibo e carburante verso i territori della Striscia. Se qualcosa in termini di cibo sta ora arrivando con i camion umanitari attraverso il valico di Rafah, il problema energetico e idrico rimane. Senza energia elettrica, molti ospedali hanno dovuto chiudere i battenti per l’impossibilità di far funzionare i macchinari. Secondo gli ultimi dati dell’Oms, circa due terzi delle strutture sanitarie di Gaza hanno smesso di funzionare. Per quanto riguarda gli ospedali, sono 12 su 35 – circa un terzo – quelli non più operativi. 

Negli ospedali ancora in funzione la situazione è critica. Oltre a interi reparti messi fuori uso dai bombardamenti, il problema energetico obbliga a razionare la poca elettricità rimasta e gli ospedali ancora aperti hanno dichiarato di avere poche ore di manovra. Il materiale sanitario poi scarseggia e l’assedio totale in cui si trova Gaza non permette nuove importazioni, mentre il personale dell’Onu ha detto che non ci sono le condizioni securitarie necessarie per portarle di persona negli ospedali nel nord della Striscia – dall’inizio dell’offensiva i raid israeliani hanno già ucciso 35 membri dell’Onu. Infine, c’è il problema che la chiusura di molti ospedali, assieme al bilancio sempre più drammatico dell’offensiva israeliana, stanno riversando sui centri sanitari ancora operativi un numero di feriti impossibile da accogliere.

Sistema sanitario al collasso

Nelle scorse ore Ashraf al-Qudra, portavoce del ministero della Salute di Gaza, ha detto che il sistema sanitario nella Striscia di Gaza è “totalmente collassato”. E questo sta obbligando i medici a condizioni di lavoro estreme, pur di riuscire a garantire in qualche modo la cura alla popolazione.

Per risparmiare sull’elettricità, i medici si trovano a operare al buio, illuminati solo da piccole torce in testa. In interi reparti ad alto consumo energetico è stata staccata la corrente, come per esempio per i frigoriferi mortuari: gli ospedali non possono così trattenere le vittime. Altri reparti, come quelli di dialisi, non riescono a funzionare per lo stesso motivo. La situazione è talmente drammatica che le indicazioni per i medici sono di non accogliere in ospedale chi si trova in condizioni critiche, con possibilità di sopravvivenza molto basse. Una sorta di darwinismo sanitario obbligato. “In questa fase non curiamo per primo chi si trova in condizioni più critiche, ma chi è più probabile possa sopravvivere”, racconta un chirurgo.  Tra le persone che non sono state più curate per lasciare posto ad altri pazienti, un bambino di 10 anni in stato di morte cerebrale.

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Protesta contro i bombardamenti sugli ospedali a Gaza © JAAFAR ASHTIYEH/AFP via Getty Images

Le testimonianze che arrivano dal personale sanitario a Gaza parlano di condizioni di lavoro molto complicate. “Dormiamo pochissimo, non c’è molto cibo disponibile, mangiamo sporadicamente”, racconta un medico d’urgenza. “Ci occupiamo dei feriti sul pavimento, non ci sono più letti”, denuncia un altro medico. Un’altra persona spiega che i turni di infermeria “possono durare anche 24 ore”, vista la necessità di prestare soccorso a quante più persone possibili. E il personale sanitario ormai vive negli ospedali da giorni, alternando il soccorso a qualche ora di riposo su giacigli di fortuna creati per terra. 

Secondo i dati del ministero della Salute di Gaza, sono già 65 gli operatori sanitari morti sotto i colpi dell’offensiva israeliana. Un costo umano altissimo, nonostante il diritto internazionale consideri l’attacco agli ospedali un crimine di guerra

Il rischio epidemia all’orizzonte

“Il personale sanitario a Gaza sta lavorando in situazioni drammatiche, impensabili per noi medici e infermieri che siamo qui in Italia o in altri paesi non coinvolti in questo tipo di conflitti. La motivazione , l’attaccamento al lavoro e l’etica medica di questi colleghi e colleghe palestinesi resta incredibile”, spiega a LifeGate Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere. “Abbiamo la testimonianza in questi giorni di un nostro chirurgo che sta lavorando all’ospedale di Al-Shifa in condizioni oltre al limite: non hanno farmaci, non hanno abbastanza equipaggiamento medico per eseguire la chirurgia di urgenza. Ci ha raccontato del caso di un ragazzino di 13 anni a cui hanno dovuto amputare una parte del piede in quasi assenza di sedativo e anestesia, nel corridoio davanti agli occhi della sorellina e della madre”.

Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere, sulla situazione negli ospedali a Gaza

Nelle scorse ore anche l’Unicef ha fatto sentire la propria voce. Adele Khodr, direttore regionale dell’organizzazione per il Medio Oriente e il Nord Africa, ha detto che la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è una macchia crescente sulla nostra coscienza collettiva, denunciando in particolare la strage di bambini.

“Questa è la situazione”, conferma Minardi, “purtroppo non pensiamo che migliorerà se non ci sarà un cessate il fuoco e se non verranno assicurati spazi sicuri senza attacchi e bombardamenti, dove poter offrire cure mediche di un certo livello e in un ambiente sicuro. È stato aperto il passaggio di Rafah in Egitto ma il nostro personale internazionale non ha avuto la possibilità di lasciare il paese mentre per il nostro team di emergenza pronto a entrare Gaza e dare supporto e il cambio a chi sta lavorando lì non c’è ancora stata ancora la possibilità di entrare”.

Monica Minardi, presidente di Medici Senza Frontiere, sul rischio epidemia

Come sottolinea Minardi, se oggi il problema sono le emergenza sanitarie legati ai bombardamenti, domani la situazione potrebbe precipitare ulteriormente. “C’è la potenzialità per lo sviluppo di epidemie vista la mancanza di acqua potabile, elettricità e la situazione di alta vulnerabilità di queste persone, che vivono raggruppate e ammassate“. L’unica soluzione è un cessate il fuoco immediato.

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