La distruzione del patrimonio culturale di Gaza cancella identità e storia di un intero popolo

La distruzione di Gaza sta colpendo non solo il presente ma anche la storia e la cultura di un popolo. Centinaia tra siti storici e musei sono stati distrutti dai bombardamenti.

Dopo l’attacco condotto da Hamas il 7 ottobre 2023, il Gaza media office ha stimato che, a gennaio di quest’anno, Israele avesse sganciato oltre 65 mila tonnellate di bombe sul territorio della Striscia di Gaza. Circa il 30 per cento degli edifici e delle strutture nella Striscia è stata distrutta secondo le Nazioni Unite, come indicato da analisi satellitari acquisite all’inizio di gennaio 2024. Ma i pesanti e continui bombardamenti israeliani su Gaza non stanno distruggendo solo il presente della popolazione palestinese, ma anche il loro passato.

In mezzo a questa devastazione, infatti, circa duecento siti storici e culturali hanno subito danni o sono stati distrutti, come ha riferito un report del 2 febbraio pubblicato da Icomos, ong che si occupa della conservazione di siti e monumenti storici in tutto il mondo. Secondo quanto riportato dalla stessa organizzazione, la percentuale di distruzione sarebbe pari a circa il 60 per cento del patrimonio culturale di Gaza. Patrimonio che racconta una storia lunga e diversificata, testimone del passaggio di molte civiltà a partire dalla fine del Neolitico.

La cancellazione del patrimonio culturale di una comunità è anche una delle varie accuse di crimini di guerra sollevate dal Sudafrica, che ha imputato di genocidio Israele presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia. Nel documento si sostiene, tra le altre cose, che Israele abbia arrecato danni e distrutto numerosi centri di apprendimento e luoghi culturali palestinesi, comprese biblioteche, siti religiosi e luoghi di antica rilevanza storica, prendendo di mira la cultura palestinese.

Il patrimonio culturale è distrutto

Della moschea al-Omari, la prima costruita a Gaza nel settimo secolo, restano solo frammenti di muri e il minareto mozzato. Questo edificio, eretto sulle fondamenta di un antico tempio filisteo e successivamente di una chiesa bizantina, è stato gravemente danneggiato durante un bombardamento israeliano l’8 dicembre 2023. La sua biblioteca adiacente, che custodiva manoscritti rari risalenti al quattordicesimo secolo, ha subito lo stesso destino.

Allo stesso modo anche molti altri siti culturali a Gaza, come altre moschee, ma anche chiese, musei e biblioteche sono stati completamente distrutti o gravemente danneggiati. E ancora cimiteri greci, resti egiziani e mercati ottomani che raccontavano la storia di una delle aree abitate da più tempo al mondo, che ha per secoli ospitato un miscuglio di persone, almeno a partire dal quindicesimo secolo a.C., secondo gli storici.

Non si tratta solo di monumenti, edifici storici, siti archeologici, ma per queste persone i danni si misurano anche attraverso la perdita della continuità culturale, della loro identità.

Per i pochi palestinesi rimasti, e per il numero molto maggiore di sfollati che sperano prima o poi di tornare nella propria terra, la cultura e la storia sono state ridotte solamente a ricordi.

Isber Sabine, presidente di Heritage for peace, una ong con la missione di sostenere i Paesi in conflitto nei loro sforzi per proteggere e salvaguardare i beni culturali, ha dichiarato a LifeGate che “non si tratta solo di monumenti, edifici storici, siti archeologici, ma per queste persone i danni si misurano anche attraverso la perdita della continuità culturale, della loro identità”. Secondo Sabine, infatti, distruggere il patrimonio culturale di un intero popolo significa negare loro “simboli e conferme del fatto che sono stati in quel territorio, che hanno una storia legata proprio a quel luogo”. Israele, infatti, nel tempo ha usato proprio l’archeologia legata alla Bibbia per darsi la legittimità di stare in quel preciso territorio.

Dello stesso parere è anche Raymond Bondin, esperto maltese di patrimonio culturale nel mondo, che è responsabile in particolare del piano di conservazione e gestione del sito di Gaza del monastero di saint’Ilarione, che ha precisato a LifeGate che, dal suo punto di vista, Israele ha mirato ai siti storici e culturali perché “è un modo per distruggere il patrimonio e l’identità stessa di un intero popolo”.

E, secondo gli esperti, questo sta succedendo in modo palese e diretto a Gaza, ma non solo. Anche in Cisgiordania, infatti, ci sono dei siti che sono presi di mira e attaccati dall’esercito israeliano da prima del 7 ottobre.

La conservazione del patrimonio culturale era già preoccupante prima del 7 ottobre

Un portavoce di Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, ha confermato a LifeGate che lo stato di conservazione del patrimonio culturale di Gaza “era già preoccupante prima dell’inizio del conflitto a causa della mancanza di politiche e risorse di conservazione e degli impatti delle precedenti escalation militari”.

Come mostra un’indagine di Forensic architecture, la distruzione del patrimonio culturale palestinese da parte di Israele non è iniziata il 7 ottobre 2023, ma va avanti da molti anni. Ad esempio nel maggio 2021, le forze di occupazione israeliane hanno condotto un massiccio bombardamento sulla Striscia di Gaza, uccidendo più di 250 palestinesi, tra cui 66 bambini. Grattacieli sono stati abbattuti, strade principali e zone commerciali sono state devastate, e infrastrutture vitali come ospedali e scuole sono state colpite dai bombardamenti. Ma le bombe hanno colpito anche importanti siti culturali e archeologici, come il sito archeologico nell’area del campo profughi di al-Shati a Gaza.

Come ha raccontato Raymond Bondin a LifeGate, un altro esempio precedente al 7 ottobre 2023 è quello che riguarda il paesaggio collinare di Battir, in Cisgiordania a sud-ovest di Gerusalemme, che comprende una serie di valli coltivate con caratteristici terrazzamenti in pietra, il cui sviluppo è sostenuto da una rete di canali di irrigazione alimentati da fonti sotterranee. Nel 2014 l’Unesco ha inserito il paesaggio culturale di Battir e i suoi terrazzamenti agricoli nella lista del Patrimonio mondiale, riconoscendoli per la loro importanza storica, culturale e ambientale. Tuttavia, i residenti hanno espresso preoccupazione per la possibile minaccia al paesaggio, poiché il governo israeliano di estrema destra sta procedendo con un piano di insediamento su una collina nelle vicinanze che, secondo alcuni gruppi ambientalisti, potrebbe devastare le fonti d’acqua che alimentano i terrazzamenti agricoli e causare ingenti danni a un ecosistema già precario.

Secondo Isber Sabine, un’altro esempio molto chiaro, che ha giocato un ruolo molto importante nelle tensioni e nella violenza, è la moschea di al-Aqsa, situata nella parte orientale di Gerusalemme. Si tratta del terzo luogo più sacro per i musulmani di tutto il mondo e, negli anni, Israele ha compiuto diversi attacchi in questa moschea, consapevole di colpire un luogo sacro, ma anche parte della cultura e dell’identità del popolo palestinese.

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Bombe israeliane su Gaza © Jack Guez /AFP via Getty Images

Come vengono rilevati i danni

Definire con certezza quanti siano i siti danneggiati o distrutti a Gaza dal 7 ottobre è molto complicato, principalmente perché l’accesso alla Striscia è negato e la popolazione che si trova ancora all’interno del territorio ha come pensiero principale quello di sopravvivere. Ci sono quindi vari soggetti che stanno lavorando per monitorare lo stato del patrimonio culturale a Gaza, che possono fornire alcune informazioni a riguardo.

L’Unesco afferma di aver verificato, in coordinamento con i suoi partner internazionali e il suo ufficio a Ramalla, i danni ad almeno 22 siti, tra cui moschee, chiese, case storiche, università, archivi e il sito archeologico del porto di Anthedon, il primo porto marittimo conosciuto di Gaza. Un portavoce dell’organizzazione ha, infatti, spiegato a LifeGate che “dato l’alto rischio della situazione di sicurezza e le restrizioni di accesso a Gaza per l’Unesco, il monitoraggio dei danni si basa principalmente sulle immagini satellitari”. Al 21 febbraio 2024, sulla base dei dati satellitari forniti da Unosat, l’organizzazione “ha potuto verificare il danneggiamento di cinque siti religiosi, dieci edifici di interesse storico e/o artistico, due depositi di beni culturali mobili, un monumento, un museo e tre siti archeologici”. L’agenzia ha dichiarato di aver ricevuto segnalazioni di danni ad altri siti, ma di non essere stata in grado di verificarli con i mezzi a disposizione, principalmente le immagini satellitari, a causa del conflitto.

Altre organizzazioni e associazioni stanno lavorando per monitorare lo stato del patrimonio culturale di Gaza e l’Ong Icomos, in un report del 2 febbraio 2024, ha dichiarato che “più di duecento dei trecentocinquanta siti del patrimonio culturale della Striscia di Gaza sono stati presi di mira e gravemente danneggiati o addirittura demoliti”, nonostante venga sottolineato il fatto che quella in corso sia una “minaccia importante che non può essere quantificata prima della fine del conflitto a Gaza e in Cisgiordania”.

Anche Endangered archaeology in the Middle East and North Africa (Eamena), un progetto istituito nel 2015 in risposta alle crescenti minacce ai siti archeologici in Medio oriente e nord Africa, ha predisposto un sistema automatico di rilevamento dei cambiamenti per i siti archeologici e il patrimonio culturale.

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Definire con certezza quanti siano i siti danneggiati o distrutti a Gaza dal 7 ottobre è molto complicato © Mahmud Hams/AFP via Getty Images

La legge internazionale

La Convenzione dell’Aia del 1954, ratificata sia dalla Palestina sia da Israele, stabilisce che gli Stati si impegnano ad astenersi “da qualsiasi uso dei beni, culturali, e delle loro immediate vicinanze o delle attrezzature utilizzate per la loro protezione per scopi che possano esporli a distruzione o danno in caso di conflitto armato” e “da qualsiasi atto di ostilità, diretto contro tali beni”. L’Unesco, in conformità con il suo mandato, ha ripetutamente invitato tutti gli attori coinvolti a rispettare rigorosamente il diritto internazionale, che stabilisce che i beni culturali sono infrastrutture civili e come tali non devono essere né presi di mira né utilizzati per scopi militari. L’Organizzazione ha, inoltre, attivato alcuni dei suoi quadri di protezione specifici. Infatti, come dichiarato dal portavoce a LifeGate, su richiesta dell’Autorità palestinese, “il 14 dicembre il Comitato dell’Unesco per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato ha concesso una “protezione rafforzata provvisoria” alle rovine del monastero di Sant’Ilarione”. Si tratta del massimo livello di immunità dagli attacchi stabilito dalla Convenzione dell’Aia del 1954 e dal suo Secondo Protocollo.

Secondo Isber Sabine se i palestinesi saranno in grado, una volta terminate le violenze, di tornare nelle proprie case, “farà parte dei loro diritti umani sfruttare e godere del patrimonio culturale” anche se sarà distrutto, poiché si tratta di qualcosa che ha un valore fondamentale nella vita delle persone. “Non si tratta solo ed esclusivamente di edifici storici” ha sottolineato Sabine, “ma stiamo parlando di posti in cui per centinaia di anni le persone hanno costruito comunità, memoria e pratica culturale” e tutto questo è fondamentale per l’esistenza di una popolazione intera.

L’Unesco, come ha spiegato a LifeGate, ha preparato un programma di risposta all’emergenza che comprende un Piano d’azione di immediata attuazione che sarà attuato non appena la sicurezza, l’accesso e le risorse lo permetteranno. L’obiettivo è consolidare la valutazione dei danni, sostenere i costi di riabilitazione e la gestione delle macerie intorno agli edifici danneggiati, pianificando al contempo interventi di recupero a lungo termine del patrimonio culturale.

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