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La Corte di Cassazione dà ragione a una famiglia arcobaleno che aveva chiesto di reintrodurre la dicitura “genitori” nella carta d’identità dei minori.
Imporre di scrivere sulla carta d’identità di una persona minorenne “padre” e “madre”, invece di un più generico “genitori”, può avere un effetto “irragionevole” e “discriminatorio”. Perché, se quella persona minorenne ha due mamme o due papà, rischia di vedersi negare il diritto a una carta d’identità valida per l’espatrio. È quanto mette nero su bianco la Corte di Cassazione con una sentenza che, di fatto, demolisce un decreto del 2019 voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Nel 2015, quando il presidente del Consiglio era Matteo Renzi, è stato approvato il decreto legge che introduceva la carta d’identità elettronica. Seguito da un decreto attuativo che spiegava che, quando il titolare è minorenne, il documento deve riportare anche le generalità dei genitori o tutori. Contrariamente a quanto fanno credere alcune fake news circolate da allora, non è mai esistito alcun documento ufficiale con le voci “genitore 1” e “genitore 2”.
Nel 2019 un nuovo decreto ministeriale, firmato da Salvini e controfirmato dai ministri Giulia Bongiorno (Pubblica amministrazione) e Giovanni Tria (Economia), ha sostituito “genitori” con le diciture “padre” e “madre”. Una scelta che aveva incassato un parere negativo da parte del Garante della privacy, motivato dal fatto che – si legge – poteva impedire la richiesta del documento “da parte di figure genitoriali non esattamente riconducibili alla specificazione terminologica padre o madre” o costringerle a fare dichiarazioni non corrispondenti alla realtà.
Proprio per via di questo decreto, una coppia di donne che avevano fatto ricorso alla stepchild adoption – cioè l’adozione del figlio del partner – sono andate a rinnovare la carta d’identità del figlio e hanno scoperto che una delle due sarebbe risultata come “padre”. Di fatto, dichiarando il falso. Hanno così dato il via a una battaglia legale supportata da Rete Lenford, un’associazione composta da avvocati e giuristi a tutela della comunità Lgbtqia+, e Famiglie arcobaleno, che rappresenta in Italia i genitori omosessuali.
Hanno dato loro ragione prima il tribunale di Roma e poi nel 2024 la Corte distrettuale di Roma, in seguito all’appello presentato dal ministero dell’Interno. Con la Cassazione, che rappresenta il terzo e ultimo grado di giudizio, il caso è chiuso. Come spiega Pagella Politica, la sentenza in sé è sufficiente per annullare il decreto ministeriale del 2019. Si torna così alla dicitura “genitori”, più neutra e quindi più adattabile alle varie forme che può assumere una famiglia. Probabilmente saranno necessarie alcune indicazioni operative da parte del ministero, ma il principio è solido.
“La Cassazione ribadisce ancora una volta un punto fondamentale: il vero interesse dei minori è che la loro realtà familiare venga riconosciuta per ciò che è. Il vero danno sarebbe ignorarla o negarla”, commentano Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, e Vincenzo Miri, presidente di Rete Lenford.
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