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Germania, concluse le trattative per formare il nuovo governo di coalizione
Angela Merkel è sollevata: grazie all’accordo con Schulz, finalmente in Germania sembra tornare la stabilità. Anche se all’insediamento del nuovo governo manca ancora uno step.
Finalmente, a quasi cinque mesi dalle elezioni del 24 settembre, la vincitrice Angela Merkel e il leader dell’opposizione Martin Schulz hanno raggiunto un accordo per formare il nuovo governo in Germania.
“Una lunga strada ci ha portato qui oggi. Abbiamo giornate di intense trattative alle spalle ma ci siamo riusciti, anche se qualche volta è costato molto a noi come ai nostri partner. Ne è valsa la pena”, ha dichiarato Merkel, che si avvia a diventare cancelliera per la quarta volta consecutiva. Alla sua Unione cristiano-democratica (Cdu) spetterebbero i i ministeri dell’Economia e della Difesa, mentre il Partito socialdemocratico (Spd) di Schulz avrebbe ottenuto Esteri, Finanze e Lavoro – un risultato che ha suscitato aspre critiche nei confronti di Merkel, accusata di aver “regalato il governo” all’Spd.
I negoziati sono stati lunghi e faticosi
La coalizione di Merkel, formata da Cdu e Csu, aveva vinto le elezioni ma non aveva ottenuto la maggioranza assoluta in parlamento; per formare il governo, era necessario accordarsi con altri partiti. I Verdi, i liberaldemocratici e gli stessi socialdemocratici si erano tirati indietro, ma alla fine gli ultimi hanno cambiato idea: 362 delegati su 642 si sono dichiarati favorevoli a un accordo.
Perché Martin Schulz ha voluto questa grande coalizione per la Germania
Martin Schulz ha sottolineato l’importanza di avere una parte del potere nel riformare l’Europa. Ha assicurato che questa volta il suo partito non verrà schiacciato dalla Cdu, ma “sarà visibile, udibile e riconoscibile” e ci sarà spazio per il rinnovamento. Tre sono i punti che vuole portare avanti: una riduzione significativa del numero di contratti di lavoro a tempo determinato, la riforma dell’assistenza sanitaria per renderla più equa e l’allentamento delle regole per il ricongiungimento familiare dei rifugiati.
Ha infatti commentato sul suo account Twitter: “Abbiamo negoziato un accordo di coalizione che migliora le nostre scuole, rende i nostri posti di lavoro più affidabili, ci salvaguarda nella vecchiaia e rafforza la nostra Europa. Abbiamo fatto tanto per le persone. Ecco di cosa si tratta ed è per questo che promuoverò questo trattato”.
Wir haben einen Koalitionsvertrag ausgehandelt, der unsere Schulen verbessert, unsere Jobs verlässlicher macht, uns im Alter absichert und unser Europa stärkt. Wir haben viel für die Menschen erreicht. Darum geht es und deswegen werde ich für diesen Vertrag werben.
— Martin Schulz (@MartinSchulz) 7 febbraio 2018
Non è ancora detta l’ultima parola
La speranza è di avere un governo stabile per Pasqua, agli inizi di aprile. La decisione finale, però, spetta ai circa 460mila iscritti al Partito socialdemocratico, che devono esprimere il loro parere riguardo all’accordo attraverso un referendum postale. Dopo le elezioni del 2013, il 76 per cento degli iscritti si era detto favorevole. Stavolta, però, è presto per cantare vittoria: l’organizzazione giovanile del partito, guidata da Kevin Kühnert, è fermamente contraria all’alleanza tra Merkel e Schulz e sta cercando di convincere gli ultimi tesserati, ben 24mila nel nuovo anno, a non approvarla. In quel caso l’alternativa sarebbe un governo di minoranza, ma se non dovesse funzionare i tedeschi dovrebbero tornare alle urne.
La grande coalizione non è una novità, anzi, ha governato la Germania negli ultimi quattro anni. I governi di larghe intese sono abbastanza diffusi in Europa, come nel caso di Spagna, Francia e Olanda (che per trovare un accordo per formare il governo ha impiegato ben 208 giorni). Uno scenario simile potrebbe presentarsi anche dopo le elezioni del 4 marzo in Italia.
La Germania è il paese europeo con il pil più alto e ha molto spazio di manovra a livello fiscale; l’anno scorso il surplus di bilancio è stato di 40 miliardi di euro. L’incertezza politica, tuttavia, minaccia di indebolire la sua leadership.
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