Nel campo profughi di Burj al-Barajneh, le donne palestinesi preparano pasti e distribuiscono aiuti alle persone in difficoltà nella città di Beirut.
Germania, l’enorme mattatoio Tönnies nuovo focolaio di Covid-19
Dopo che oltre 1.500 lavoratori sono risultati positivi, nuovi blocchi sono stati imposti nello stato della Renania Settentrionale-Vestfalia.
Il mattatoio Tönnies, nella città di Rheda-Wiedenbrück, nello stato tedesco della Renania Settentrionale-Vestfalia, è il più grande impianto di macellazione e trasformazione della carne d’Europa. Ogni giorno nel mattatoio 20mila maiali vengono uccisi per essere venduti ed esportati in molte nazioni, tra cui l’Italia. L’enorme struttura non rappresenta più un “pericolo” solo per i suini, ma anche per l’uomo. È infatti risultata essere l’epicentro di un nuovo focolaio di Covid-19.
Lavoratori positivi
Pochi giorni fa la stessa società proprietaria del mattatoio ha infatti annunciato che 1.553 lavoratori dell’impianto sono risultati positivi al coronavirus. Il mattatoio è stato chiuso a tempo indeterminato, mentre il numero dei contagiati sembra destinato a crescere ulteriormente, si attendono gli esiti dei tamponi a tutti i dipendenti e ai loro familiari. Tutti i dipendenti dell’impianto, che impiega circa 7mila persone, sono in quarantena dalla scorsa settimana.
Armin Laschet, premier della della Renania Settentrionale-Vestfalia, ha definito l’epidemia scoppiata del mattatoio Tönnies, il “più grande incidente di infezione” in Germania.
Le cause del contagio
Si sospetta che il sovraffollamento dello stabilimento sia tra le cause di questa nuova ondata di coronavirus. Come in altre strutture analoghe, i lavoratori operano a stretto contatto, senza possibilità di rispettare il distanziamento e in condizioni igieniche inadeguate. Non è un caso che, in tutto il mondo, numerosi mattatoi siano stati costretti a chiudere per via del crescente numero di dipendenti risultati positivi al coronavirus.
I mattatoi si avvalgono inoltre prevalentemente di lavoratori appartenenti alle fasce più povere della popolazione, come i migranti, costretti spesso a vivere in abitazioni comuni. L’impianto di proprietà della famiglia Tönnies non fa eccezione, anzi. La maggior parte dei lavoratori è straniera, proveniente soprattutto da Romania e Bulgaria, e, secondo il sindacato tedesco Ngg, lavora dalle 12 alle 14 ore al giorno, macellando mille animali all’ora. Lo scoppio di questa nuova ondata di Covid-19 non ha fatto altro che evidenziare le preesistenti pessime condizioni di lavoro e di vita che devono affrontare i numerosi lavoratori stranieri del settore.
Nuovo lockdown
Per contenere l’epidemia, il premier Laschet ha imposto un nuovo lockdown nella circoscrizione di Gütersloh, dove sorge l’impianto, che durerà fino al 30 giugno. Il provvedimento è stato poi esteso al vicino distretto di Warendorf. Le nuove restrizioni, complessivamente, colpiscono circa 560mila persone, ed è la prima volta che vengono reintrodotte in Germania dallo scorso maggio.
Sono stati dunque nuovamente chiusi asili e scuole, ristoranti, bar, musei, cinema e palestre e sono state ripristinate misure rigorose di allontanamento sociale, il che significa che le persone possono incontrare solo una persona al di fuori del proprio nucleo familiare, e rigorosamente all’aria aperta.
Per far rispettare le misure, specie la quarantena imposta ai dipendenti dell’impianto Tönnies, sono state schierati esercito e polizia. Le autorità hanno inoltre installato recinzioni metalliche intorno agli edifici residenziali in cui vive il personale del mattatoio, cui vengono distribuiti alimenti.
Perché gli amministratori del macello sono colpevoli
Clemens Tönnies, amministratore delegato della società, ha dichiarato su Twitter che la società si accollerà le spese dei tamponi eseguiti in tutta la circoscrizione di Gütersloh, per risarcire la comunità locale, e si è scusato per l’epidemia. Sembra tuttavia evidente che la società abbia deliberatamente accettato il rischio dello scoppio di un nuovo focolaio di Covid-19 pur di non scalfire i propri profitti.
I vertici della società non potevano ignorare che i propri dipendenti, così come molti altri nel settore della lavorazione della carne, erano particolarmente vulnerabili a un potenziale focolaio di coronavirus. Eppure non hanno adottato contromisure per ridurre il rischio, lo scoppio di un nuovo focolaio era pertanto solo una questione di tempo.
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