Nuove immagini in un allevamento di maiali di un fornitore di Lidl rivelano condizioni inadeguate e violenze sugli animali. Dopo il caso dei polli, cosa ci vorrà per fermare la sofferenza?
Germania, primo caso di peste suina africana trasmessa dai cinghiali ai maiali
La Germania ha confermato casi di peste suina africana negli allevamenti. È la prima trasmissione dai cinghiali selvatici ai maiali nel paese europeo.
Tre allevamenti di maiali in Germania hanno confermato casi di peste suina africana. Si tratterebbe del primo caso di trasmissione dai cinghiali selvatici ai maiali nel paese, secondo quanto riportato da Bloomberg.
La situazione in Germania
La peste suina africana (psa) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali. È altamente contagiosa e spesso letale per gli animali e non esistono vaccini o cure. Almeno fino adesso, non sembrerebbe essere trasmissibile agli esseri umani, ma gli scienziati esortano a considerare le similitudini genetiche tra suini e umani, che potrebbero rendere le future mutazioni del virus pericolose.
Il virus è stato individuato vicino a Brandeburgo, in prossimità del confine con la Polonia, e i veterinari si sono immediatamente recati in loco per cercare di contenere il focolaio che coinvolge minimo 200 maiali, stando alle prime cifre riportate. La zona settentrionale del paese, che ospita gli allevamenti di maggiori dimensioni, non sembrerebbe essere stata toccata dall’epidemia.
Dall’autunno dello scorso anno, la Germania ha già registrato oltre 1.200 casi di psa nei cinghiali che popolano la zona circostante a Brandeburgo. Allo stesso modo, la vicina Sassonia ha denunciato oltre 300 casi, ma il problema riguarda tutta Europa.
La peste suina africana in Italia e nel mondo
Sono più di 200 milioni i maiali allevati sul territorio europeo che potrebbero potenzialmente essere esposti a questo virus. Nel 2014 è esplosa un’epidemia di psa in alcuni paesi dell’Est Europa e da allora la malattia si è diffusa in dieci Stati membri, tra cui Belgio e Germania. In Italia è presente solo in Sardegna.
A livello internazionale è presente in India, nelle Filippine e in diverse aree del Sud-Est asiatico, raggiungendo anche l’Oceania (Papua Nuova Guinea). È poi drammatico il caso della Cina, dove milioni di maiali sono morti proprio a causa di questo virus in quella che è stata definita da Dirk Pfeiffer, epidemiologo veterinario della City university di Hong Kong, “la più grande epidemia di malattie animali che abbiamo mai avuto sul pianeta”.
Allevamenti, antibiotici e virus
La circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più rilevanti di diffusione della malattia, secondo quanto riportato dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa).
“I focolai di malattie sono piuttosto diffusi negli allevamenti intensivi, perché si tratta di luoghi in cui convivono ammassati migliaia, a volte milioni, di animali vivi. In generale la biosicurezza è un problema molto rilevante lì e l’Efsa proprio recentemente ha richiamato sulla necessità di garantire maggiore bio-sicurezza per gli allevamenti di maiali (in particolare quelli all’aperto) per il contenimento della peste suina”, spiega Chiara Caprio, communications manager di Animal equality. “Stiamo parlando di posti con un’altissima concentrazione di animali, motivo per cui negli allevamenti si utilizzano così tanto gli antibiotici, un fattore molto pericoloso perché crea antibiotico-resistenza anche nell’essere umano”.
Abbiamo parlato del problema dell’antibiotico resistenza anche con Martina Scalini, responsabile della comunicazione di Essere animali. “L’Italia è il secondo paese nell’Unione europea per utilizzo di antibiotici in zootecnia e il 70 per cento di quelli venduti sono destinati agli animali negli allevamenti che vengono spesso trattati prima di sviluppare una malattia, quindi in maniera del tutto preventiva”, spiega. “Questo mette a rischio l’intera comunità e difatti deteniamo il triste primato europeo per numero di morti legati all’antibiotico-resistenza: ogni anno in Italia diecimila persone muoiono perché i batteri resistono ai farmaci e questo dato non potrà che peggiorare. Spesso abbiamo documentato nelle nostre indagini un uso massiccio di antibiotici a scopo preventivo, anche in allevamenti legati ai grandi marchi del made in Italy”, conclude.
Nessuna difesa per i suini
Malgrado questo virus non sia contagioso per l’essere umano, causa una grande sofferenza ai suini e molto spesso ne causa la morte. All’interno degli allevamenti intensivi, gli animali hanno una genetica uniforme. Come spiega Sabrina Giannini, nella seconda puntata del nostro podcast Oltre, “manca loro la resilienza nel caso arrivi un patogeno esterno. La natura di solito è in grado di reagire: se arriva qualcosa di esterno e c’è una biodiversità, tanti elementi reagiscono per contrastare l’invasione. Ma se entri in un allevamento con tutti animali uguali, non c’è nessuno che contrasta: sono tutti uguali”.
L’attuale sistema degli allevamenti – che non comprende solamente gli animali destinati al consumo alimentare, ma anche quelli allevati per la loro pelliccia – ha creato le condizioni perfette perché virus come questi si diffondano. La pandemia di coronavirus dovrebbe averci insegnato qualcosa.
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