La regina delle Dolomiti. È così che viene chiamata la Marmolada, un gruppo montuoso delle Alpi al confine tra la provincia di Trento e quella di Belluno la cui vetta più alta è punta Penia, che raggiunge un’altitudine di 3.343 metri. Sul versante settentrionale si trova il più esteso apparato glaciale delle Dolomiti, lo splendido ghiacciaio della Marmolada. Un’opera d’arte cui forse rimangono soltanto quindici anni di vita.
Lo temono i glaciologi dell’università di Padova: “Se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi dieci anni (cinque ettari l’anno), la morte del ghiacciaio è prevista nel 2045. Ma il trend degli ultimi tre anni è ancora più allarmante (nove ettari l’anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio in tempi decisamente più rapidi”, spiega il professor Mauro Varotto, che dal 2008 coordina il gruppo Terre alte del Comitato scientifico centrale del Club alpino italiano. La superficie, non a caso, è passata dai circa 500 ettari stimati da Richter nel 1888 ai 123 ettari del 2018.
Il ghiaccio è più sottile, quindi più vulnerabile
La colpa è senz’altro dell’aumento delle temperature, quindi del riscaldamento globale, ma la fusione purtroppo innesca un circolo vizioso che peggiora le cose: più il ghiacciaio si assottiglia, più velocemente si scioglie. Negli ultimi settant’anni quello della Marmolada ha perso oltre l’80 per cento del proprio volume, passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali, mentre lo spessore della fronte si è ridotto dai quasi 50 metri dell’inizio del secolo scorso ai pochi metri di oggi.
La Marmolada, sentinella dei cambiamenti climatici
“La particolare natura di ghiacciaio di pendio fa poi sì che il corpo glaciale reagisca con estrema rapidità alle piccole mutazioni climatiche, tanto da essere utilizzato come termometro naturale, anche rispetto alle minime variazioni di temperatura e precipitazioni”, spiega Aldino Bondesan del Comitato glaciologico italiano che, insieme a Legambiente, dal 17 agosto al 4 settembre ha monitorato lo stato di salute dei più importanti ghiacciai alpini per sensibilizzare le persone sugli effetti dei cambiamenti climatici.
Durante l’osservazione sono state riscontrate anche le conseguenze di valanghe, crolli e colate detritiche rapide, risultato della recente denudazione dei versanti e dei fenomeni meteorologici estremi che hanno colpito la regione dolomitica, in particolare la tempesta Vaia del 2018.
Per impedire che la regina delle Dolomiti sia costretta a rinunciare al suo trono, o meglio al suo ghiacciaio, serve l’impegno dell’intera comunità internazionale. Di fronte alla crisi sanitaria, il mondo si è mobilitato. È ora che si mobiliti anche di fronte all’emergenza climatica perché, se una volta poteva sembrare un pericolo distante, ora ce l’abbiamo proprio di fronte a noi.
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