La finanza ha la fondamentale responsabilità di traghettare i capitali verso la transizione energetica. Se ne è discusso al Salone del Risparmio 2022.
Il Giappone ha puntato troppo sul carbone, e ora fa marcia indietro
Il carbone riveste ancora un ruolo troppo importante per l’energia giapponese. È il momento di cambiare, e i primi segnali concreti arrivano dalle banche.
Il Giappone è ancora pericolosamente legato a doppio filo al carbone, la fonte d’energia più sporca in assoluto. La catastrofe nucleare di Fukushima, avvenuta a marzo 2011, ha fatto sì che l’opinione pubblica si scagliasse contro l’energia nucleare, ma questo non è bastato per avviare una transizione lungimirante e sostenibile: il governo e le big dell’energia infatti hanno preferito scommettere sui combustibili fossili, invece che sulle rinnovabili. Ma iniziano a emergere diversi segnali positivi, tant’è che (a sorpresa) le prime a ricredersi sul carbone sono proprio le banche. È quanto svela una lunga analisi scritta da Marie Tanao, esponente di 350.org, per il magazine Diplomat.
Japan’s banks are finally starting to turn away from coal – thanks in no small part to great divestment campaigning. Expect more to come in September for #RiseforClimate: https://t.co/tPCMHhrRzE #NotAPennyMore
— Fossil Free (@GoFossilFree) 1 agosto 2018
Il carbone, una scelta miope per l’ambiente e l’economia
Questo inspiegabile amore per il carbone si spinge anche al di fuori dei confini nipponici. Il Natural resources defence council ad esempio fa sapere che il Giappone è, tra tutti gli stati del G7, il più grande finanziatore di progetti legati al carbone. Nel mondo, è secondo soltanto alla Cina. Da Tokyo ad esempio arrivano milioni e milioni per la centrale Nghi Son 2, in Vietnam, talmente inquinante che la banca londinese Standard Chartered ha deciso di tirarsi indietro.
From @FoEJapan : @JBIC should revoke the finance for Nghi Son 2 coal fired power plant immediately! #FossilFree https://t.co/W2dq6PHD2q pic.twitter.com/54Fr3AhpkB
— 350 East Asia (@350EastAsia) 2 maggio 2018
Anche lasciando da parte per un attimo le terribili conseguenze ambientali, chi crede che il carbone sia un investimento sicuro va completamente fuori strada. Il mondo infatti va nella direzione opposta, quella tracciata dall’Accordo di Parigi sul clima. Secondo Climate Analytics, per riuscire a rispettare gli impegni presi il Giappone non avrebbe altra scelta se non quella di spegnere tutte le sue centrali a carbone entro il 2030.
L’accordo sottolinea anche l’importanza di indirizzare correttamente i flussi finanziari verso un futuro resiliente e a basse emissioni. Cosa significa tutto questo, tanto più se messo in relazione con le innovazioni tecnologiche nel campo delle rinnovabili, con le regolamentazioni sempre più severe sulle emissioni e con il crollo dei prezzi delle energie pulite? Significa che il carbone e le altre risorse altamente inquinanti presto diventeranno, per usare il gergo finanziario, stranded assets: cioè risorse che sono state pagate a caro prezzo, ma a un certo punto diventano letteralmente inservibili.
Banche e assicurazioni iniziano a cambiare rotta
L’analisi pubblicata su The Diplomat, però, punta l’attenzione sugli istituti finanziari del paese asiatico. Perché sembra che stiano iniziando a osservare questi rischi da vicino e a prendere le adeguate contromisure.
A maggio, la compagnia assicurativa Dai-ichi Life Insurance ha annunciato che non finanzierà più nuovi impianti a carbone all’estero. Tre colossi bancari – Mizuho Financial Group, Mitsubishi Ufj Financial Group e Sumitomo Mitsui Banking Corporation – hanno promesso di seguire quest’esempio (pur lasciando la porta aperta per i nuovi impianti ad alta efficienza). Stiamo parlando delle banche che stanno rispettivamente al primo, al secondo e al quinto posto nella classifica dei finanziatori dei 120 colossi globali del carbone.
Nel suo report annuale, Sumitomo Mitsui Trust Bank fa un passo in più, promettendo di ridurre i finanziamenti ai nuovi impianti a carbone indipendentemente da dove si trovano. Potenzialmente, è la scelta più coraggiosa e restrittiva mai fatta da una banca asiatica. Segue le sue orme anche Nippon Life, la più grande compagnia assicurativa giapponese per fatturato.
Certo, è possibile dimostrarsi ancora più risoluti. Per esempio, ricorda l’analisi di 350.org, cancellando ogni legame con le big del carbone (indipendentemente dai fondi per il singolo progetto) e spingendosi fino a disinvestire, proprio come accade sempre più spesso in Europa.
Giappone, saranno i flussi finanziari a tracciare la via?
Leggendo l’ultimo piano per l’energia approvato di recente dal governo di Tokyo, la transizione energetica sembra ancora lontana. Ma i segnali positivi non mancano. A luglio, una rete che riunisce oltre cento aziende ed enti locali ha lanciato la Japan Climate Initiative, l’equivalente nipponico della campagna statunitense We are still in. Tutti questi indizi fanno pensare che proprio gli istituti finanziari, insieme alle aziende private, possano prendere la guida del cammino verso l’energia del futuro.
Foto in apertura © Chris Lewis / Flickr
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