Finalmente, il Giappone e la Corea del Sud sono al passo con altre economie avanzate come quelle dell’Unione europea e con la superpotenza regionale, la Cina, nella lotta ai cambiamenti climatici. Entrambi i paesi dell’Asia orientale hanno dichiarato, a due giorni di distanza l’uno dall’altro, l’obiettivo di riduzione delle emissioni nette di gas serra a zero entro il 2050, un impegno più ambizioso rispetto a quello Pechino, che punta alla “carbon neutrality” entro il 2060.
Le nuove politiche di Tokyo e Seul sono un passo avanti importante per entrambe le nazioni. Benché siano in ritardo rispetto ai molti stati che hanno già dichiarato di volere decarbonizzare l’economia entro metà secolo, l’importante ora è che mettano in pratica questo obiettivo. Le sfide sono molte, alcune comuni a entrambi i paesi, come una dipendenza marcata dai combustibili fossili in generale e soprattutto dal carbone, e l’utilizzo ancora limitato di fonti rinnovabili.
Giappone, zero emissioni entro il 2050
“Puntiamo alla decarbonizzazione della società”, così ha detto il neo-primo ministro SugaYoshihide, il successore di Abe Shinzo che si è dimesso a settembre scorso, nel suo primo discorso sulle politiche di governo che si è tenuto il 26 ottobre. Fin da subito, dunque, ha deciso di alzare l’asticella per quanto riguarda l’impegno del paese a favore del clima, finora deludente.
Nella terza economia globale, quinta per emissioni di gas serra, l’utilizzo di combustibili fossili è aumentato, infatti, da quando la produzione di energia nucleare è stata interrotta nel 2011 in seguito al disastro alla centrale di Fukushima. Alla Cop 25 di Madrid, il governo di Abe si è rifiutato sia di rinunciare al carbone che di rafforzare i suoi Contributi nazionali volontari (Ndc) per la riduzione delle emissioni, nonostante tutti i paesi fossero chiamati a farlo entro la fine di quest’anno per rispettare gli impegni dell’Accordo di Parigi.
L’obiettivo stabilito da Suga sostituisce quello precedente di ridurre le emissioni dell’80 per cento entro il 2050. “Agire contro i cambiamenti climatici non significa più mettere un freno alla crescita economica”, ha detto nel suo discorso, riconoscendo dunque i vantaggi economici della green economy e delle rinnovabili e alludendo alla preoccupazione principale del suo governo, ovvero la ripresa economia in seguito alla crisi causata dalla pandemia da Covid-19.
Il primo ministro, però, non ha dato alcuna indicazione su come verranno azzerate concretamente le emissioni. L’ultimo piano energetico nazionale risale al 2018. Oltre a un utilizzo dell’energia nucleare pari al 20-22 per cento del fabbisogno e dei combustibili fossili del 56 per cento, il piano prevede un aumento delle rinnovabili al 22-24 per cento, una soglia che probabilmente è già stata raggiunta visto che le stime dell’Agenzia internazionale per l’energia indicano che nella prima metà di quest’anno, il Giappone ha soddisfatto il 23 per cento della sua domanda energetica con fonti rinnovabili. In seguito alla nuova dichiarazione, è probabile (e necessario) che questi obiettivo vengano rivisti.
Poi c’è la questione del carbone, da cui il paese dipende per il 30 per cento della sua energia. Suga si è limitato a dire di volere “cambiare fondamentalmente la politica nazionale sul carbone”, senza dare dettagli aggiuntivi, e che vuole investire di più in tecnologie innovative come il riciclo della CO2 e nell’energia nucleare. Quest’ultimo punto è stato duramente criticato da organizzazioni come WWF e Greenpeace Giappone, il cui direttore esecutivo, Sam Annesley ha commentato: “a quasi dieci anni dal disastro nucleare di Fukushima, stiamo ancora affrontando le conseguenze disastrose dell’energia nucleare, che non ha alcun ruolo in un futuro sostenibile”.
Benché in ritardo, il fatto che il Giappone abbia stabilito un obiettivo a lungo termine per raggiungere gli impegni dell’Accordo di Parigi è un passo avanti. Azzerare le emissioni non significa solo decarbonizzare la società, ma promuovere l’autosufficienza e la sicurezza energetica, e non dovere più importare combustibili fossili a un costo di 10 trilioni di yen (oltre 80 miliardi di euro) l’anno.
Anche la Corea del Sud mira alla carbon neutrality
“Puntiamo alla neutralità in termini di emissioni entro il 2050 per rispondere attivamente alla sfida dei cambiamenti climatici al passo con la società internazionale”. Queste le parole del presidente della Corea del Sud Moon Jae-in in un discorso al parlamento, che a settembre scorso aveva dichiarato l’emergenza climatica a livello nazionale. “Sostituiremo il carbone con le energie rinnovabili e creeremo un nuovo mercato, nuove industrie e nuovi lavori”, ha detto due giorni dopo le dichiarazioni analoghe del capo di governo giapponese.
Seul, dunque, sembra essere pronta a rivoluzionare la sua economia, la quarta d’Asia e la dodicesima a livello globale. Attualmente, infatti, deriva solo il 5 per cento della sua energia da fonti rinnovabili, il tasso più basso tra le economie avanzate secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, contro il 40 per cento dal carbone, ed è il settimo paese al mondo per emissioni di gas serra.
Rispetto a Suga, il presidente Moon ha dato più dettagli riguardo alle misure per concretizzare l’impegno per il 2050. Ha promesso 8 trilioni di won (6 miliardi di euro) per un Green new deal coreano, puntando alla crescita sostenibile all’interno del programma per la ripresa economica in risposta alle perdite causate dalla pandemia.
Ha detto anche che il paese mira ad abbandonare l’energia nucleare entro il 2060, un obiettivo che va a rafforzare l’impegno preso nel 2017, quando il presidente Moon era da poco salito al potere, per bloccare tutti i progetti di costruzioni di nuovi reattori. Una scelta importante considerando che la Corea del Sud è il quinto produttore di energia nucleare al mondo. Il Green new deal prevede anche di aumentare l’approvvigionamento energetico del paese da fonti rinnovabili fino al 20 per cento nell’arco del prossimo decennio, l’interruzione dei finanziamenti per le centrali a carbone in paesi esteri, l’introduzione di una carbon tax e investimenti per la creazione di foreste urbane.
Bisogna mettersi subito al lavoro su molti fronti per far sì che la dichiarazione venga attuata. Realisticamente, per azzerare le emissioni nette entro il 2050, è essenziale rafforzare gli obiettivi per il 2030, che al momento non sono sufficiente robusti.
Per raggiungere gli obiettivi per il 2050 è fondamentale stabilirne di nuovi e più ambiziosi per i prossimi dieci anni. Questo è il commento espresso da associazioni e organizzazioni ambientaliste sia coreane che giapponesi. “Il governo deve stabilire un programma per rafforzare immediatamente le sue azioni, puntando a una riduzione significativa delle emissioni già entro il 2030”, secondo Takejiro Sueyoshi, rappresentante del Japan climate initiative, una rete che riunisce più di cento amministrazioni locali (che comprendono oltre la metà della popolazioni nazionale), aziende, istituti di ricerca e ong giapponesi che avevano già adottato l’obiettivo della carbon neutrality entro i prossimi trent’anni.
“È grazie alla pressione esercitata da attori della società civile e dal mondo delle aziende che il governo giapponese ha preso questa decisione”, ha dichiarato il Renewable energy institute, che promuove l’adozione dell’energia rinnovabile in Giappone. Secondo l’organizzazione, l’impegno attuale di riduzione delle emissioni del 26 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2013 dev’essere aumentato al 45 per cento rispetto ai livelli del 2010, quindi in linea con le raccomandazioni del rapporto Sr15 dell’Ipcc. Per raggiungerlo, le energie rinnovabili dovrebbero crescere fino al 45 per cento dell’approvvigionamento energetico e il carbone andrebbe abbandonato del tutto.
18 months ago, no major economies had pledged net-zero emissions by 2050. Look how far we've come.
❌ United States ✅ China (by 2060) ✅ Japan ✅ Germany ❌India ✅ United Kingdom ✅ France ✅ Italy ❌ Brazil ❌ Canada ❌ Russia ✅ South Korea ✅ Spain ❌ Australia ❌ Mexico
“Potremo celebrare la dichiarazione del governo per il 2050 solo se verranno migliorati gli obiettivi per il 2030 e se verrà avviata la transizione energetica necessaria per raggiungerli”, si legge nella nota dell’istituto giapponese. Queste raccomandazioni non riguardano solo il Giappone ma anche la Corea del Sud e tutti gli altri paesi chiamati a dimostrare che il loro impegno per il clima non è fatto solo di belle dichiarazioni di intenti ma, soprattutto, di azioni concrete.
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