È di almeno 48 morti il bilancio del violento sciame di terremoti che ha colpito il Giappone lunedì 1 gennaio. L’agenzia meteorologica giapponese (Jma) ha riferito di più di cinquanta scosse di magnitudo uguale o superiore a 3,2 gradi della scala Richter, avvenute in sole quattro ore nella penisola di Noto, nella porzione settentrionale della prefettura costiera di Ishakawa. Il sisma più potente ha raggiunto i 7,6 gradi: un terremoto particolarmente forte, che ha provocato danni e vittime anche nelle vicine prefetture di Niigata, Fukui e Gifu.
Scongiurato il rischio di incidenti nucleari dopo il terremoto
Secondo quanto riportato da fonti locali, il bilancio potrebbe aggravarsi ulteriormente nelle prossime ore, dal momento che numerose persone sarebbero ancora sepolte sotto le macerie. È invece rientrata la minaccia di uno tsunami: benché il rischio fosse stato immediatamente paventato dalle autorità, fortunatamente le onde, alte al massimo un metro e venti centimetri, non hanno provocato inondazioni. E già in serata il Centro dall’allerta per gli tsunami nel Pacifico, agenzia statunitense con sede alle isole Hawaii, aveva escluso conseguenze per il territorio giapponese.
Così, anche il rischio di un nuovo incidente nucleare come quello che nel marzo del 2011 colpì la centrale di Fukushima è stato scongiurato. All’epoca, infatti, il sisma di magnitudo 9 provocò onde particolarmente alte che inondarono gran parte del territorio antistante l’epicentro. Stavolta, invece, le nove centrali che affacciano sul mar del Giappone non hanno subito allagamenti. I due reattori presenti nel sito di Shika, il più vicino all’area colpita dal sisma, erano inoltre fermi per manutenzione.
Il primo ministro del Giappone Kishada: “Una corsa contro il tempo”
A limitare il numero di morti, in ogni caso, è stato certamente il sistema di allerta nipponico, che sin dall’inizio ha permesso di mettere in guardia la popolazione più esposta, disponendo anche l’evacuazione degli abitanti della costa. Il primo ministro Fumio Kishada ha inoltre inviato sul posto uomini delle forze armate al fine di soccorrere la popolazione colpita, nonostante le difficoltà di accesso causate dalle numerose strade rese impraticabili dal terremoto. Lo stesso capo del governo di Tokyo ha confermato che il sisma ha provocato “danni materiali molto importanti, compresi edifici crollati e incendi. Quella che stiamo operando è una corsa contro il tempo”.
In particolare la principale città della prefettura di Ishakawa, Kanazawa, il movimento tellurico ha provocato uno scivolamento del terreno che ha aggravato ulteriormente i danni. Nella penisola di Noto, attorno al porto di Wajima un incendio a distrutto una cinquantina di edifici, compreso uno di sei piani. L’ospedale della città, saturo, avvisto i medici costretti a curare parte dei pazienti sul parcheggio di fronte alla struttura.
I black-out hanno costretto più di 35mila famiglie a rimanere prive di energia elettrica. Un problema non di poco conto, tenuto anche delle temperature particolarmente rigide: nella notte il termometro è sceso al di sotto dello zero.
Sono passati dieci anni dal disastro dell’11 marzo 2011, ma questo capitolo si è tutt’altro che concluso. Viaggiando a Fukushima si percepiscono rinascita e distruzione, a volte separate soltanto da una strada.
Paura nella prefettura giapponese di Fukushima: un violento terremoto avvertito anche a Tokyo ha causato almeno 12 feriti. Non è stato diramato l’allarme tsunami.
Lo scenario non è post-apocalittico come ci si potrebbe aspettare. Fukushima, ora, sembra un posto normale – sottopopolato ma normale. Nel 2016 abbiamo visitato la prefettura sulla costa nordorientale del Giappone, oltre 200 chilometri a nord della capitale Tokyo, per parlare con chi è impegnato a ripartire dopo il terremoto, lo tsunami e il disastro nucleare che l’11 marzo
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