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Le parole di Gino Cecchettin e quelle del ministro Valditara
Alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, il padre Gino parla di “amore da diffondere nell’ecosistema”, il ministro no.
Questa è la storia di un uomo comune, Gino Cecchettin, che poteva lasciarsi trasportare dall’odio, e forse nessuno lo avrebbe potuto biasimare, e che invece ha scelto “di diffondere amore nel proprio ecosistema”. Nella nostra società, che ne ha tanto bisogno. Ed è anche la storia di un uomo non comune, Giuseppe Valditara, un ministro della Repubblica, che invece ha scelto di fare il contrario. Una tragedia in tre atti, con sullo sfondo il ricordo di Giulia, la figlia di Gino, vittima di un femminicidio che a volte sembra aver cambiato la percezione dell’urgenza di combattere la violenza di genere. Ma a volte, invece, ancora no.
Atto I: l’atto d’amore di Gino Cecchettin
Al primo dei due un anno fa, di questi tempi, veniva spezzata la speranza di rivedere viva la sua giovanissima figlia, Giulia Cecchettin, vittima di femminicidio. Un anno dopo, ieri, Gino Cecchettin ha presentato alla Camera dei deputati la Fondazione Giulia Cecchettin, che porta il nome della figlia, e che si propone di aiutare e dare una speranza alle tante donne vittime di violenze da parte del partner, o di un ex, o di un familiare. Perché “dal giorno in cui è mancata la mia Giulia sono state uccise altre 120 donne soltanto in Italia. Migliaia e migliaia nel mondo. Numeri inimmaginabili”.
Come sempre, Gino Cecchettin lo ha fatto con parole chiare, lucide, commoventi. E amorevoli. “In questi mesi mi sono reso conto di quanto concentrarsi su sentimenti positivi porti ad agire in modo costruttivo. Io l’ho fatto per la necessità di non farmi travolgere dall’odio che mi avrebbe annichilito come persona”. Così Gino Cecchettin ha scoperto un modo nuovo di vivere, più rivolto a capire come contribuire “a migliorare il mondo in cui vivo”.
C’è un momento esatto in cui Gino Cecchettin spiega di aver raggiunto piena consapevolezza di questo stato d’animo: durante l’udienza con Filippo Turetta, l’assassino di Giulia. Il momento più difficile. “Provavo un dolore straziante per quello che Giulia aveva subito, ma non riuscivo a provare il benché minimo sentimento di rabbia, sdegno, risentimento o ira verso il carnefice di mia figlia. La sera dell’udienza, tornando a casa “ho avuto modo di riflettere e immaginare il nostro mondo come un ecosistema dove ogni individuo ha la capacità e il libero arbitrio di iniettare nella società odio o amore”. Ebbene: nel nome di Giulia io posso solo scegliere di far crescere l’amore, perché questa è l’unica scelta che le assomiglia, l’unica possibile se voglio mantenere viva una parte di lei”.
Atto II: La Fondazione Giulia Cecchettin
L’altro protagonista di questa storia è Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito. Un anno fa, sempre di questi tempi, pochi giorni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, il ministro presentava in Senato, il piano Educare alle relazioni, che sarebbe dovuto partire a settembre 2023 ma tuttora mai decollato, e che prevede semplicemente incontri extra-curricolari nelle sole scuole superiori, per un totale di 12 appuntamenti (e 30 ore, sembrerebbe spalmate nel corso dell’anno scolastico) e si basa su sedute di “autoconsapevolezza” tra studenti condotte saltuariamente con esperti del settore e docenti come eventuali mediatori.
Magari farà meglio la Fondazione Giulia Cecchettin, la cui missione è quella di promuovere una cultura del rispetto e dell’affettività, con particolare attenzione ai giovani, atraverso progetti educativi e campagne di sensibilizzazione. La Fondazione offrirà anche supporto legale, consulenza psicologica e assistenza socio-economica, in collaborazione con altre organizzazioni e istituzioni.
Atto III: le dichiarazioni di Valditara su femminismo e migranti
Intervenuto con un videomessaggio alla stessa presentazione della fondazione, ieri Valditara ha dapprima dichiarato ormai defunto il patriarcato: “abbiamo due modi” per sconfiggere la violenza di genere, ha detto: “una è concreta e ispirata ai valori costituzionali, l’altra è la cultura ideologica. E la visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”. Patriarcato che “come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975” e tutt’al più “ci sono ancora residui di maschilismo e machismo che vanno combattuti, che si manifestano nella discriminazione sul posto di lavoro, cat calling, nella violenza vera e propria, e ovviamente nel femminicidio”.
Poi ha fatto l’opposto di quanto sta cercando di fare Gino Cecchettin, ovvero alimentando risentimenti sociali, prendendosela con l’immigrazione in un contesto, come il caso Cecchettin, che non ha nulla a che vedere con questo. “Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale. Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso”, ha concluso Valditara, smentito però dai dati ufficiali dell’Istat secondo cui l’80 per cento delle violenze sessuali sono compiute da uomini italiani, compagni o ex delle vittime. Molti però finiranno per credere alle suo parole, rinforzando uno stigma sociale già fortemente presente.
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