Profilazione razziale, xenofobia nel dibattito politico e omofobia nel report dell’Ecri. Tra le sue richieste c’è quella di rendere indipendente l’Unar.
Negli occhi di Gino Strada
Gino Strada è morto all’età di 73 anni. Un uomo, un chirurgo, un pacifista che poteva guardare tutti negli occhi.
L’unica cosa che dobbiamo ricordare oggi sono le parole che Gino Strada ha sempre detto, ripetuto, urlato, a volte digrignato. Contro la guerra c’è solo una soluzione: non farla, abolirla. Solo così sarà possibile salvare l’umanità. E per non fare la guerra il chirurgo Strada intendeva un’altra semplice cosa: non si può rispondere alla violenza con altra violenza, non si può nemmeno immaginare che per porre fine all’uso delle armi ci vogliano altre armi. E nel dire queste cose, Emergency, l’organizzazione fondata da lui e dalla moglie Teresa Sarti nel 1994, aveva un solo obiettivo: curare tutti, vittime e carnefici. Colpevoli e innocenti. Gratis. Le cure mediche per Emergency devono essere accessibili a tutti e di qualità. Tutti devono avere il diritto di curarsi in luoghi “scandalosamente belli”, per usare le parole di Strada, “perché la bellezza diventa segno di rispetto verso persone profondamente segnate dalla guerra o dalla malattia”.
Per questo, negli ultimi anni, l’organizzazione aveva iniziato a curare non solo le vittime dirette delle guerre, ma anche le vittime “collaterali”. Le persone che – pur riuscendo a scappare da teatri di conflitti armati – si sono ritrovate in paesi, come l’Italia, senza protezione, senza assistenza, senza dignità. Da clandestini. Gino Strada voleva ed Emergency vuole tutto questo. Senza guardare in faccia a nessuno. O meglio guardando tutti negli occhi. Perché senza umanità, non si può intavolare alcun discorso politico o economico. E per questo si è spesso scontrato con ogni colore politico, con chi aveva l’arroganza di volerlo fare “ragionare”. Come se fosse lui quello “sbagliato”, quello che andava “addomesticato”. Per questo Emergency ha anche rifiutato – non senza polemiche – donazioni milionarie “sporche di sangue”. Perché non si può immaginare di accettare denaro da governi o istituzioni che avallano condotte belliche.
Gino Strada era tutto questo. Era un chirurgo di 73 anni, era una persona che aveva scelto di dare un senso a ogni secondo della propria vita. All’Afghanistan aveva dedicato sette anni. Quell’Afghanistan che oggi è di nuovo sulle prime pagine delle testate giornalistiche di tutto il mondo perché ancora alla mercé dei talebani. Gli stessi talebani del 2001, quelli che l’Occidente aveva tentato di “distruggere” dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre. La risposta, neanche a dirlo, fu “un fallimento da ogni punto di vista”. Vent’anni dopo, Strada aveva scelto di dare ancora il suo contributo dalle pagine del quotidiano La Stampa. Cosa è cambiato in tutti questi anni? “Oltre alle 241 mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, l’Afghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nell’area è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire l’inferno per arrivare in Europa”.
Nato, Onu, Ue, Usa. Se dietro queste sigle ci fossero persone con una testa e un cuore, dovrebbero ripartire dalle sue ultime parole. Da questo testamento che ci ha lasciato un uomo, un essere umano che poteva guardare tutti non dall’alto in basso, bensì negli occhi. Senza mai abbassare lo sguardo.
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