Ai giornalisti palestinesi il premio per la libertà di stampa dell’Unesco
Dall'Unesco un premio al coraggio e alla memoria dei giornalisti palestinesi
Nel World press freedom day, l’Unesco premia il coraggio e la memoria dei reporter locali a Gaza: oltre 100 di loro sono stati uccisi dal 7 ottobre.
Dall'Unesco un premio al coraggio e alla memoria dei giornalisti palestinesi
Assegnato al sindacato dei giornalisti palestinesi il premio annuale per la libertà di stampa dell’Unesco: un riconoscimento al coraggio e alla memoria degli oltre 100 cronisti uccisi dal 7 ottobre.
Il rapporto di Reporter senza frontiere, pubblicato per il World press freedom day, mette in guardia dalle pressioni politiche sui mezzi di informazione, nell’anno delle elezioni di massa.
Tra le categorie maggiormente in pericolo ci sono i giornalisti ambientali: il 70 per cento di loro ha subito minacce o violenze.
I giornalisti palestinesi – tutti, senza distinzioni – hanno ricevuto il premio mondiale per la libertà di stampa, intitolato a Guillermo-Cano e assegnato annualmente dall’Unesco in occasione del World press freedom day, la giornata mondiale della libertà di stampa. Un premio collettivo, ritirato dal Sindacato dei giornalisti palestinesi, che premia tutti i cronisti locali impegnati con sforzi immani a documentare gli attacchi in corso a Gaza e in Cisgiordania, ma anche e soprattutto in memoria degli oltre 100 di loro, tra operatori e giornalisti palestinesi, che sono stati uccisi dagli attacchi israeliani a Gaza dal 7 ottobre. Senza contare tutti gli altri che sono rimasti feriti, sfollati, o che hanno perso dei parenti.
"I feel joy and pride, but it's a joy mixed with a sadness for the loss of the martyrs of the Palestinian press," said @InfoPJS president and #IFJ vice-president Nasser Abu Baker. https://t.co/Vbo3wKr1yL
Il volto simbolo di questo stillicidio, e insieme dell’eroismo indefesso, dei giornalisti palestinesi rimane probabilmente quello di Wael Al-Dahdouh, reporter di Al Jazeera a Gaza, le cui immagini commosse e dignitose dopo la morte di sua moglie e di due figli minori occorsa lo scorso 25 ottobre a causa dei bombardamenti dell’aviazione israeliana, avevano fatto il giro del mondo. L’Unesco ha voluto premiare anche tutti gli altri Wael (che nel frattempo ha perso anche il figlio maggiore, anche lui giornalista, all’inizio dell’anno) impegnati nel documentare l’assedio.
A febbraio la Federazione internazionale dei giornalisti, la più grande organizzazione professionale di giornalisti al mondo, aveva nominato per il premio il Sindacato dei giornalisti palestinesi. È stato quindi il suo presidente, Nasser Abu Baker, a ritirare il premio, (intitolato a un giornalista colombiano ucciso nel 1986 a Bogotà durante gli anni della guerra civile), in occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa a Santiago del Cile, il 2 maggio, a nome di tutti i giornalisti di Gaza.
Dall’inizio del conflitto, 7 mesi fa, Israele ha chiuso i confini di Gaza ai giornalisti internazionali, e da allora a nessuno è stato consentito il libero accesso all’enclave. Allo stesso tempo, all’inizio della guerra lavoravano un migliaio di giornalisti di Gaza e più di un centinaio di loro sono stati uccisi: un tasso di mortalità superiore al 10 per cento.
Tale tasso, fa notare la Federazione internazionale dei giornalisti, è circa sei volte superiore al tasso di mortalità della popolazione generale di Gaza e circa tre volte superiore a quello degli operatori sanitari: il che induce a pensare che, come minimo, l’esercito israeliano non abbia fatto nulla finora per impedire queste morti, ovviamente sempre derubricate come accidentali. Secondo iAbu Baker, infatti, “i giornalisti di Gaza hanno sopportato un attacco prolungato da parte dell’esercito israeliano di ferocia senza precedentim ma hanno continuato a fare il loro lavoro, come testimoni della carneficina intorno a loro. È un premio meritato: quello a cui abbiamo assistito a Gaza è sicuramente l’attacco più prolungato e mortale alla libertà di stampa della storia”. Il segretario generale dell’IFJ, Anthony Bellanger, ha ricordato che i giornalisti a Gaza “muoiono di fame, sono senza casa e corrono un pericolo mortale. Il riconoscimento da parte dell’Unesco di ciò che stanno ancora sopportando è un enorme e meritato impulso”.
Il posto più pericoloso per i giornalisti
Anche Reporter senza frontiere, nel suo rapporto annuale sulla libertà di informazione nel mondo, ricorda che “la Palestina è il Paese più pericoloso per i giornalisti, che stanno pagando un prezzo elevato”, sottolineando che dall’inizio della guerra, Israele ha cercato di sopprimere le notizie provenienti dall’enclave assediata.
Anne Bocandèp, direttore editoriale della Rsf, sottolinea che “a livello internazionale, quest’anno è degno di nota per una chiara mancanza di volontà politica da parte della comunità internazionale di far rispettare i principi di protezione dei giornalisti, in particolare la Risoluzione 2222 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”: vale a dire quella, approvata nel 2015, che condanna le violenze e i crimini commessi contro i giornalisti nelle zone di guerra. Più in generale, afferma Reporter senza frontiere, nell’anno in cui va al voto metà della popolazione mondiale, l’influsso della politica sulla stampa si fa sempre più soffocante, e anche in paesi democratici e occidentali l’autonomia dei media vacilla. E in questo contesto l’Italia non va controcorrente, anzi: nella classifica mondiale della libertà di stampa, il giornalismo di casa nostra perde ben 5 posizioni, scendendo al 46esimo posto. Anche la narrazione del conflitto in corso a Gaza, del resto, in tutto l’Occidente sembra sin dall’inizio soggetta a pressioni non indifferenti.
A rischio anche i giornalisti ambientali
Tra le pressioni politiche più insistenti ci sono anche quelle relative agli interessi economici legati allo sfruttamento delle risorse energetiche e naturali. Al punto che sempre l’Unesco, in un altro rapporto pubblicato oggi, rivela che in tempo di transizioni energetiche ed ecologiche neanche i giornalisti che si occupano di ambiente e cambiamenti climatici se la passano tanto bene: in tutto il mondo, infatti, il 70 per cento dei giornalisti ambientali sono stati attaccati per il loro lavoro, con violenza fisica o intimidazioni. Negli ultimi 15 anni, assicura l’Unesco, almeno 749 giornalisti o mezzi di informazione che si occupavano di questioni ambientali sono stati attaccati e la disinformazione online è aumentata drammaticamente in questo periodo.
A cry of despair reminding us that the fight for the planet's future is a dangerous one.
— UNESCO 🏛️ #Education #Sciences #Culture 🇺🇳 (@UNESCO) May 3, 2024
L’Osservatorio dei giornalisti uccisi dell’Unesco registra l’uccisione di almeno 44 giornalisti che indagavano su questioni ambientali negli ultimi 15 anni, di cui solo 5 hanno portato a condanne: un tasso di impunità scioccante di quasi il 90 per cento.
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