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Il tema della Giornata mondiale dell’alimentazione 2023 è l’acqua e la necessità di preservarla. L’aridocoltura insegna a farlo partendo dalla cura del suolo.
Il 16 ottobre si celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione: il tema scelto per il 2023, “L’acqua è vita, l’acqua ci nutre. Non lasciare nessuno indietro”, vuole porre l’attenzione sulla necessità di tutelare le risorse idriche del Pianeta da cui dipende la vita sulla Terra. Queste sono sempre messe più in crisi, infatti, dalla rapida crescita demografica, dall’urbanizzazione, dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento, dalla cattiva gestione.
Secondo i dati riportati dalla Fao, negli ultimi decenni le risorse di acqua potabile pro capite sono diminuite del 20 per cento e oggi 2,4 miliardi di persone vivono in Paesi soggetti a stress idrico, ma le previsioni stimano che entro il 2050 la domanda mondiale d’acqua aumenterà del 35 per cento.
È l’agricoltura il settore maggiormente responsabile del consumo di acqua mondiale, il 72 per cento rispetto al 16 per cento dell’industria e al 12 per cento dei Comuni per le abitazioni e i servizi. Il 95 per cento del cibo che consumiamo proviene dai campi, ma davanti all’esigenza di preservare le risorse e di adattarsi ai cambiamenti climatici in corso – dal 2000 le alluvioni sono aumentate del 134 per cento, mentre il numero e la durata delle siccità del 29 per cento – occorre trovare il modo di coltivare il cibo utilizzando meno acqua e garantendo al tempo stesso che questa venga distribuita equamente; la competizione per l’accesso alle risorse idriche, infatti, è sempre più causa di conflitti armati.
Le risposte a tutto questo sono molteplici e differenti, si va per esempio da soluzioni tecnologiche come l’irrigazione di precisione a pratiche virtuose di gestione del suolo. A proposito di queste ultime, l’aridocoltura è la dimostrazione di come si possa coltivare in zone con precipitazioni minime e scarsa disponibilità di irrigazione. L’aridocoltura si basa principalmente su tecniche di lavorazione del terreno che aumentano la sua capacità di trattenere l’acqua in profondità creando riserve idriche ed evitando la dispersione. Queste sono pratiche naturali come, ad esempio, l’aratura, la sarchiatura, la pacciamatura, che riducono la crescita di infestanti che rubano acqua alle colture, evitano l’evaporazione dell’acqua e ossigenano il suolo. L’aridocoltura è particolarmente adatta a coltivazioni come vite, olivo, cereali (specie grano e orzo), legumi (in particolare fave, ceci, lenticchie e piselli), patate, cipolla e aglio, pistacchi e nocciole, pomodoro.
Esempi concreti di questa pratica si trovano sull’isola di Lanzarote, in Spagna, dove si pratica l’enarenado, il metodo di coltivare la terra sotto un manto di sabbia così da prevenire l’evaporazione dell’umidità; in Senegal, dove il progetto Fruiting the deserts ha fatto crescere una food forest nella sabbia del deserto grazie all’utilizzo di alberi fertilizzanti che nutrono il suolo e fungono da ombrello per le altre piante, oltre a tecniche di thermocompost per evitare l’evaporazione; sull’isola di Pantelleria, in Sicilia, dove si coltiva la vite ad alberello, sfruttando l’umidità e la rugiada del terreno lavico e l’acqua piovana; sempre in Sicilia, la cooperativa Valledolmo coltiva il pomodoro Siccagno senza acqua, sfruttando le caratteristiche dei terreni, mentre la cooperativa Karadrà in Puglia coltiva il pomodoro Aradeo, legumi, grano, fichi attraverso la rotazione delle colture, il riposo dei campi e la lavorazione del suolo per sfruttare l’acqua e l’umidità presenti.
Ma l’idea che sta alla base dell’aridocoltura inizia a interessare anche il nord Italia nel processo di adattamento al mutato scenario climatico: solo per citare un caso, la scorsa primavera, in occasione della 16esima edizione della Sagra della nocciola del Monferrato si è discusso di “ragionare secondo le strategie di aridocoltura, esattamente come avviene nelle regioni del Sud Italia per gestire il cambiamento climatico”.
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