In vista della sfida tra Kamala Harris e Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa, ripercorriamo i grandi temi aperti in materia di clima.
Giovanna Pancheri, gli Stati Uniti d’America e la voglia di “rinascita”
Giornalista, corrispondente da Bruxelles prima e dagli Stati Uniti poi per Sky Tg24. Dopo i quattro anni di presidenza Trump, Giovanna Pancheri ha scritto un libro per ricordare un periodo che ha segnato la sua carriera: Rinascita americana.
Dopo quattro anni da corrispondente negli Stati Uniti di Donald Trump non puoi più essere quello che eri prima. Nel bene o nel male, gli anni della presidenza più schizofrenica che gli americani abbiano mai vissuto hanno cambiato hanno chiunque. E così Giovanna Pancheri, giornalista e corrispondente dagli Stati Uniti per Sky Tg24 dal 2016 al 2020 ha pensato bene che questa esperienza personale e professionale, questa storia, questa parentesi della storia meritasse di essere raccontata. Perché è stata una rivoluzione. Finita bene o male, giudicate voi. Il risultato è un libro dal titolo Rinascita americana. La nazione di Donald Trump e la sfida di Joe Biden edito da Sem. Per chi se la fosse persa, di seguito potete ascoltare l’intervista realizzata sul canale Instagram di LifeGate.
La sua esperienza da corrispondente negli Stati Uniti d’America per Sky Tg24 si è trasformata in un libro. Come le sono sembrati questi quattro anni?
Sono stati quattro anni molto intensi. Prima sono stata sette anni a Bruxelles come corrispondente per l’Europa, arrivando poi negli Stati Uniti nel periodo delle convention dei partiti del 2016, quando Donald Trump, dopo la nomination, cominciò la sua campagna elettorale fino alla vittoria. Per un corrispondente straniero questa è stata una presidenza veramente interessante da seguire perché è stata unica nel suo genere, comunque la si pensi. Ed è una presidenza che segnerà la storia degli Usa. Questo perché ha comportato il doversi confrontare con un’anima americana che non era stata ascoltata a sufficienza. E poi perché Trump è stato un presidente-protagonista. L’America è tornata a fare notizia quotidianamente anche in Europa. La sede Sky negli Stati Uniti è a New York, però da New York non si può raccontare pienamente l’America di Trump. Quindi sono stati quattro anni, per me, di grande scoperta e molti viaggi che sono riportati nel mio libro. Ho avuto l’opportunità di avvicinare, di conoscere persone che hanno segnato e segneranno la mia carriera.
Ha iniziato a scrivere gli appunti di questi viaggi già con l’idea di scrivere un libro?
Sin dall’inizio della presidenza Trump abbiamo deciso di viaggiare molto e non soltanto seguendo gli eventi di cronaca. Abbiamo passato lunghi periodi in alcuni stati, i cosiddetti fly-over states, ovvero stati noti solo perché ci si vola sopra, stati in cui nessuno si ferma. Ci abbiamo passato tre settimane, un mese, come nel caso dell’Indiana, del Kentucky, dell’Ohio perché avevamo questo desiderio di andare aldilà della cronaca, cercando di capire che cosa stesse accadendo in questi stati. Mentre realizzavo questi reportage, mi rendevo conto che le storie che raccontavo, in cui incappavo stando sul posto, avevano tutte qualcosa di incredibile e soprattutto di poco conosciuto in Italia. Da un paio d’anni avevo iniziato a “sbobinare”, come si dice in gergo [trascrivere, ndr], le varie interviste che poi finivano nei reportage. Ma i reportage televisivi hanno una durata che va dai tre ai cinque minuti, quindi io mettevo il materiale migliore, ma molte altre cose rimanevano nel cassetto. Così ho iniziato a tradurle in italiano, a metterle su un file e poi negli ultimi due anni ho pensato che valesse la pena scriverci qualcosa. Questa presidenza, indipendentemente da tutto, rimarrà un evento storico.
Nel titolo usa la parola “rinascita”. Ha anticipato che con Trump gli Stati Uniti sono tornati sulle prime pagine di quotidiani e telegiornali europei. In un certo senso, quindi, è stata una rinascita in termini di popolarità, ma la parola “rinascita” non sempre si sposa con quello che racconta.
Molte persone mi chiedono se ho usato la parola “rinascita” perché ha vinto Joe Biden, ma non è per questo che ho scelto questo termine. Il titolo ha innanzitutto radici storiche perché uno dei presidenti più citati da Trump è stato Abramo Lincoln. Trump diceva spesso: “Io sono il più bravo presidente dopo Lincoln”. Riconosceva che forse c’era stato qualcuno più bravo di lui. E Abramo Lincoln fu un presidente famoso per la sua capacità di leadership, anche perché ha governato in un periodo storico particolare, quello della Guerra civile. Dopo la famosa battaglia di Gettysburg dove gli unionisti misero il timbro su quella che sarebbe poi diventata la loro vittoria della guerra, Lincoln – che capeggiava quel fronte – invece di fare un discorso da vincitore, fece un discorso in cui aprì agli sconfitti dicendo: “Se vogliamo onorare i morti, questo è il momento di unirci”, di lavorare insieme per una “rinascita di libertà”. Quindi l’ispirazione nasce lì, ma poi la scelta è dovuta anche al fatto che il libro si apre con il giorno di inaugurazione di Donald Trump, il 20 gennaio 2017. Le persone che hanno votato per lui, che lo hanno scelto avevano davvero l’impressione di aver scelto il condottiero di una rivoluzione che avrebbe portato a una rinascita dell’America. Ovviamente lascio al lettore il giudizio finale.
Che effetto le fa oggi citare nel libro dei messaggi che non esistono più, visto che l’account Twitter di Donald Trump è stato sospeso? Qualcosa, quindi, che è già storia perché non è più “online”…
Il suo profilo Twitter è stato l’incubo per i giornalisti perché ogni giorno ti svegliavi e lui aveva twittato qualsiasi cosa e ti impostava il lavoro della giornata. Il fatto di inserirli nel libro è stato per me ineludibile perché Twitter ha rappresentato parte di questa “rivoluzione trumpiana”. L’utilizzo di questo social da parte sua rimarrà nella storia perché ha portato all’estremo, all’eccesso la disintermediazione, cercando di sminuire il valore e il lavoro di noi giornalisti. Che abbiamo proprio il compito di fare questo, di mediare, di essere una lente di ingrandimento sul potere, di essere quelli che devono verificare la credibilità. Invece Trump ha completamente oltrepassato questo livello non rispondendo alle domande dei giornalisti, licenziando collaboratori, indicando linee politiche. Tutto su Twitter. In qualche modo ha cambiato il ruolo stesso del politico e il suo modo di rapportarsi con l’opinione pubblica, non più considerati cittadini, ma follower.
Gli Stati Uniti sono rientrati nell’Accordo di Parigi. In questi quattro anni cosa ha rappresentato la questione climatica per gli americani?
Trump ha portato avanti una narrativa, anche in campagna elettorale, che gli ha permesso di vincere in alcuni stati, fondamentali per la sua ascesa. Ad esempio quegli stati del Midwest dove il carbone era fonte primaria di lavoro, di occupazione. La verità è che pur essendo usciti dall’Accordo di Parigi, pur avendo eliminato buona parte di quelle regolamentazioni che in qualche modo avrebbero dovuto frenare l’espansione dei combustili fossili, gli Stati Uniti sono andati comunque in un’altra direzione. Nel libro racconto di come negli anni di Trump – il Kentucky è l’esempio principe – siano state chiuse numerose miniere e molti minatori hanno perso il loro posto di lavoro. Questo perché molti stati hanno continuato a seguire le regolamentazioni, le leggi per l’efficienza energetica e perché, bisogna essere chiari, i combustili fossili non convengono più! Anche per un imprenditore senza scrupoli, l’energia fossile non è più vantaggiosa da un punto di vista economico.
Mentre Trump smantellava le leggi per l’ambiente, Mike Bloomberg ha dato vita al movimento We are still in.
Esattamente, la California ha adottato varie leggi in questi anni, ma anche lo stesso Kentucky – dove ha vinto di nuovo Trump, seppure con un distacco inferiore – sta portando avanti un cammino di efficienza energetica grazie all’elezione nel 2019 di un governatore democratico. Per fare un esempio emblematico: sono stata in una cittadina dove c’è un museo del carbone e una vecchia miniera che puoi visitare con un trenino, ti porta a vedere come vivevano i minatori. Bene, questo trenino è alimentato ad energia solare.
L’Accordo di Parigi è sempre stato visto come qualcosa di lontano. Sia nel libro che in alcuni commenti che ci sono stati dopo la vittoria di Biden viene citata la contrapposizione tra Pittsburgh e Parigi. Lo stesso Donald Trump, dopo l’uscita dal trattato, affermava: “Ci interessa più dell’aria di Pittsburgh che di quella di Parigi”, come se l’accordo riguardasse solo la Francia o l’Europa, ignorando il fatto che Parigi è solo il luogo della firma. Ci credevano davvero o era una mossa politica per arrivare alla pancia degli elettori?
Una cosa che loro dicevano spesso e che diceva anche Trump è che non dovevano rispondere ai parigini, ma dovevano rispondere agli elettori di Pittsburgh. In realtà fa parte di quello che dicevamo prima, cioè del grande problema che è nato in questi quattro anni con la disinformazione e con questa smania di non avere filtri rappresentati dalla stampa e dalla verifica dei fatti. Un modo studiato per avere la libertà fungere da megafono o persino dar vita alle fake news. Anche per un italiano può fare più effetto dire “io non mi occupo dei parigini, ma mi occupo degli abitanti di Macerata” rispetto a spiegargli per bene cosa prevede l’Accordo di Parigi. Questo è sempre stato il problema di chi cerca di fare le cose “a modo”. Spiegare è faticoso, per questo – purtroppo – spesso vince lo slogan finto, ma d’effetto.
Prima parlava di come occuparsi di clima e sostenibilità sia diventato anche conveniente dal punto di vista economico. Un dato che mi ha colpito è quello relativo ai danni causati dalla crisi climatica. Nel libro cita la cifra di 1.027 miliardi di dollari, ce la può spiegare?
Sì. Tra l’altro quella cifra comprende solo i danni calcolati tra il 2017 e il 2019, tra incendi e uragani. Questi sono stati anni in cui stiamo assistendo a fenomeni climatici che non avevamo mai visto prima; certo, la stagione degli incendi in California esisteva anche prima, ma fino a dieci anni fa durava quattro mesi, adesso ne dura sei. Io mi interrogo su questo. Molti politici repubblicani affermano che con queste leggi si perdono soldi, ma la “perdita” nel breve non sarà mai paragonabile ai soldi che si spendono per riparare i danni della mancata azione.
Nel libro racconta l’esperienza del “primo uragano”, com’è andata?
Ero in Florida, era Irma, se non sbaglio. È stata un’esperienza molto particolare perché arrivo dall’Europa. Gli Stati Uniti ti impressionano per la vastità degli spazi, per come percepisci la grandezza della natura. In alcuni luoghi è qualcosa che ti soverchia. La stessa cosa la provi con un uragano, ti fa subito capire la tua fragilità come essere umano di fronte alla maestosità della natura. Quindi ti senti piccola, ma ti senti anche molto rispettosa nei confronti della sua potenza.
Nel libro racconto le vicende di quei giorni, di come abbiamo dovuto prenotare l’albergo non capendo perché costasse così poco o perché molti fossero chiusi: si trovavano nel cuore della zona che sarebbe andata completamente distrutta. Dopo aver trovato il posto dove alloggiare, che fosse munito di generatore, abbiamo affrontato i venti sempre più impressionanti. Poi, infine, c’è stato il momento in cui siamo andati a constatare i danni, notando come in pochissimo tempo il grado di devastazione avesse raggiunto livelli impressionanti.
Forse chi vive in quelle zone è abituato a queste situazioni. Nel libro racconto di quando abbiamo visitato un campo di roulotte andato completamente distrutto dall’uragano. Il mare era arrivato ovunque e il ragazzo che ci accompagnava, ci ha fatto vedere come non ci fosse più niente della sua casa, dicendo: “La ricostruirò esattamente com’era”. Io fossi stata in lui, dopo una cosa del genere, l’unica cosa che avrei pensato era di andare da un’altra parte. Lui no. Gli americani hanno un grande spirito di resistenza, un po’ pioneristico, che sicuramente li aiuta in queste situazioni. Per un’europea come me, invece, è impressionante.
Nel libro racconta che ha sentito pronunciare molte volte l’espressione “non avevo mai visto”, “non si era mai vista una cosa del genere”. Una conferma del clima che sta cambiando?
Sì, come dicevamo parliamo di persone che vivono in zone soggette a questo tipo di fenomeni. La costa sudorientale degli Stati Uniti è più soggetta agli uragani, mentre gli incendi interessano la costa occidentale. Ci sono certe zone della Florida dove tutti hanno un generatore di corrente in casa. Tutti sanno quando è il momento di fare le scorte. Ci sono persone, però, che a volte decidono di non lasciare la propria casa, anche quando ci sono gli ordini di evacuazione. Si barricano in casa con le assi di legno, hanno il loro rifugio domestico, magari la stessa cantina dove mettono le scorte o hanno il generatore di corrente. Eppure ho sentito dire frasi – anche da queste persone – del tipo “questa volta ce ne andiamo, perché l’ultima volta abbiamo sottovalutato l’allarme e ci siamo trovati in una situazione assurda”. Anche per chi è abituato, dunque, i fenomeni recenti sono una novità per intensità.
Parlando di soluzioni, il 2018 è stato un anno particolare. Il 20 agosto 2018 è stato il giorno in cui l’attivista svedese Greta Thunberg ha scioperato per la prima volta, mentre dall’altra parte dell’oceano Alexandria Ocasio-Cortez ha deciso di candidarsi al Congresso. Come queste due donne hanno cambiato secondo lei il racconto della questione climatica negli Stati Uniti?
Nel libro le definisco le spine ambientaliste nel fianco di Donald Trump. Hanno trovato un linguaggio trasversale, ma soprattutto hanno avuto un grande impatto sui giovani, mobilitando una generazione. Una cosa che mi dà molta fiducia nel futuro è vedere questi ragazzi, molto spesso bambini di undici, dodici o tredici anni, andare alle manifestazioni con i genitori. Io mi ricordo che a undici o dodici anni ero una grande lettrice, avevo le mie passioni, però non passavo il mio tempo a convincere i miei genitori sull’importanza di una tematica che mi stava a cuore. Questo mi dà molta speranza rispetto a quello che ci dobbiamo aspettare per il futuro. Avere una generazione consapevoli e soprattutto che cerca il suo posto nel mondo per cambiare le cose ti fa pensare che la classe dirigente che ne scaturirà sarà migliore. Personalità come Greta Thunberg, Ocasio-Cortez, pur essendo molto giovani, hanno una voce potente e hanno portato alla mobilitazione e a un cambio di politiche. Quindi credo che il loro sforzo sia ammirevole.
A me ha colpito Ocasio-Cortez quando ha fatto delle storie su Instagram in cui parlava dello stress della sua nuova vita da politica, sempre in primo piano. Era molto interessante perché parlava sia dei problemi mentali, dei disagi, dello stress, che della soluzione che aveva trovato. Il suo psicologo le aveva detto di trovarsi un’attività che la distraesse, ma che la obbligasse ad avere continuità: la difesa dell’ambiente. Nel suo palazzo all’ultimo piano c’era la possibilità di coltivare degli orti, quindi ha deciso di prendersi delle piante raccontando su Instagram di come tutto ciò le avesse in qualche modo cambiato la vita. Curare le piante era un obbligo, altrimenti morivano. Era una cosa che le consentiva di distrarsi per un’ora al giorno. La chiave che aveva trovato per comunicare questa sua passione è stata sicuramente innovativa.
Stiamo parlando di persone giovanissime, ma che allo stesso tempo – mi è piaciuta un’espressione che ha usato in riferimento a Thunberg – hanno una “statura morale”. Qualcosa che ci si aspetterebbe da chi ci governa.
Questo aspetto dipende anche dall’età. Noi che abbiamo qualche anno in più diciamo molto spesso che i ragazzi sono idealisti, hanno una visione bianca o nera delle cose. Quando hai tutta una vita davanti sei più propenso a sognare. Ma Thunberg ha avuto la grandissima abilità di unire l’idealismo all’attivismo. Credo sia stata quella la sua forza. Un conto è avere una posizione e portarla avanti in modo cieco, come magari l’età ti spingerebbe a fare, un altro è cercare di cambiare le cose proprio grazie a questa posizione di vantaggio.
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