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Un tuffo nelle profondità oceaniche con Giovanni Chimienti di National Geographic
Giovanni Chimienti, esploratore National Geographic, studia gli organismi marini che vivono in profondità. Così ha scoperto la foresta di coralli neri delle Tremiti.
Atlantide, in un certo senso, esiste davvero. Non sappiamo fino a che punto sia vera la storia del continente che, secondo il mito, sprofondò nell’oceano, ma possiamo ammirare qualcosa di simile. Parliamo delle “città sommerse” fatte di coralli. Nelle profondità oceaniche, dove la luce non arriva, i coralli sostituiscono le piante. Diventano alti e ramificati, proprio come gli alberi, e intorno a loro si sviluppano comunità di altri organismi viventi.
A raccontarcelo è Giovanni Chimienti, ricercatore in zoologia presso il dipartimento di biologia dell’Università di Bari e National Geographic explorer. Oltre a studiare gli ambienti marini profondi, è membro della Commissione mondiale sulle aree protette dell’Iucn e si occupa di conservazione degli oceani. A lui si deve la scoperta di un patrimonio naturalistico unico nel Mediterraneo: una lussureggiante foresta di corallo nero nelle acque intorno alle isole Tremiti, nel mar Adriatico.
Immergiamoci allora in un mondo simile allo spazio illuminato dalle stelle, dove l’unico modo di sapere dove sono l’alto e il basso è guardare la direzione in cui si muovono le bolle. Un mondo che sembra inospitale, così buio e freddo, ma che in realtà brulica di vita: gli abissi.
Cos’è per lei l’oceano?
Per me il mare è sempre stato qualcosa di sconosciuto perché, in realtà, io sono cresciuto in un piccolo paesino dell’entroterra e ho anche imparato a nuotare relativamente tardi, quando ero già un adolescente. Di fatto, quindi, per me il mare non ha mai rappresentato un luogo sicuro, un luogo confortevole. Questo, alla lunga, ha alimentato una certa curiosità nel voler scoprire chi, cosa vive nelle profondità, tant’è che sono diventato biologo marino e, soprattutto, studio il fondale marino profondo che è ancora più difficile da raggiungere e che ancora conosciamo poco.
Cosa sono i coralli di profondità?
Sono dei coralli che, a differenza di quelli più famosi della barriera corallina, vivono in profondità, laddove l’uomo non può arrivare. Là formano degli ambienti paragonabili a quelli delle barriere coralline di superficie. Non ci sono vegetali perché non c’è luce, ovviamente, perciò le comunità sono dominate dagli animali.
Non essendoci piante, i coralli svolgono il ruolo di “creatori” di un habitat. Proprio come gli alberi formano le foreste sulla terraferma, nell’ambiente profondo i coralli hanno un aspetto “arborescente”, cioè diventano alti e ramificati, proprio come degli alberi, e formano queste foreste di corallo. Sono loro, quindi, che costruiscono gli habitat, come delle città sommerse, come un’Atlantide sommersa che non ha rapporti diretti con la superficie, ma con la quale noi abbiamo un rapporto indiretto, perché la nostra sopravvivenza sulla superficie è legata anche allo stato di salute di questi ambienti profondi.
Le profondità oceaniche sono ancora intatte o subiscono anch’esse gli effetti dei cambiamenti climatici e delle attività umane?
Sebbene l’uomo non ci sia ancora arrivato direttamente, in realtà indirettamente i segni della sua presenza si vedono. Sul fondale marino profondo, ad esempio, è dove arriva tutta la plastica. Già rimaniamo piuttosto inorriditi per le isole di plastica o quando vediamo la plastica galleggiante: in mare, alla lunga, tutti i rifiuti diventano pesanti e vanno a finire sul fondo. La maggior parte del mare è mare profondo, che diventa così una vera e propria discarica.
L’altro impatto visibile è quello della pesca. Da noi, nel Mediterraneo, si pesca fino a mille metri di profondità con le reti a strascico, e anche a profondità maggiori con i palangari. Stiamo poi cominciando a vedere anche le conseguenze dei cambiamenti climatici: l’ambiente profondo è un ambiente molto stabile, dove la temperatura dell’acqua di solito è fredda e gli organismi sono abituati; basta un aumento di un solo grado per far sì che questi organismi muoiano.
Cos’ha scoperto alle isole Tremiti?
Io studio coralli neri un po’ in tutto il mondo. Alle nostre latitudini vivono soltanto in profondità, sotto i 50-60 metri. Avevo individuato le isole Tremiti come un possibile “punto caldo”, anche grazie alla segnalazione di un subacqueo del posto (Adelmo Sorci, Laboratorio del mare) che durante le sue immersioni aveva trovato un ramo di corallo spezzato probabilmente da qualche attrezzo da pesca. Noi abbiamo messo a punto un progetto, finanziato dall’Ente parco nazionale del Gargano e dalla National Geographic society, per andare a cercarli. Abbiamo utilizzato, oltre a una subacquea tecnica, un veicolo filoguidato, cioè un robot che io piloto dalla superficie della barca e che ci permette di osservare il fondale in tempo reale.
Siamo andati per vedere se c’erano i coralli neri, ed è andata a finire che abbiamo trovato una delle foreste di corallo nero più grandi mai viste. Di fatto le Tremiti si sono rivelate un posto molto ricco di questi organismi, con una popolazione lussureggiante dai 60 ai 90 metri di profondità circa e piena di vita. Abbiamo documentato la presenza di questo ambiente così importante e, in particolare, tutta la fauna associata, tutti gli organismi che beneficiano di questa oasi di biodiversità.
Questo per noi ha chiuso un cerchio, perché le isole Tremiti sono ricche di vita, sono anche molto pescose, e quindi da qualche parte lì sotto doveva esserci un habitat capace di sostenere tutta quella ricchezza. Ora stiamo lavorando insieme all’ente parco affinché questa foresta di coralli neri venga protetta in maniera adeguata proprio perché è presente al limite dell’area protetta, si può pescare lì sopra. Se evitiamo di distruggerla, questa foresta può produrre risorse per tutti.
Cosa significa essere un ricercatore in Italia? È stata dura farsi strada?
Lo stai chiedendo a un ricercatore che adesso è sotto concorso in Italia e sta lavorando all’estero [ride, ndr]. Scherzi a parte, la trovo una sfida difficile ma stimolante. Io nutro un fortissimo senso di appartenenza nei confronti del mio paese e quindi sto cercando in tutti i modi di restare. È molto difficile per il sistema accademico, perché ci sono pochissime risorse destinate alla ricerca, nonostante sappiano tutti che investire nella ricerca sia una soluzione per il futuro, una soluzione sostenibile. Noi, spesso, facciamo ricerca in Italia con fondi americani, piuttosto che di altri paesi, ed è un peccato.
Sicuramente essere ricercatori in Italia è difficile, però c’è bisogno di continuare a impegnarsi, nel mio ambito ma credo anche negli altri, dalla fisica all’ingegneria, alla chimica. Io continuerò a provarci perché sono innamoratissimo del mio territorio e, nonostante mi trovi a viaggiare molto spesso per lavoro, sono sempre felice di tornare nel Mediterraneo. È un mare estremamente affascinante.
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