Drogata e stuprata per anni, Gisèle Pelicot ha trasformato il processo sulle violenze che ha subìto in un j’accuse “a una società machista e patriarcale che banalizza lo stupro”.
“Dominique P.”. Per qualche giorno, quando la storia agghiacciante di una coppia francese, nel dipartimento meridionale di Vaucluse, era appena stata svelata, i nomi dei protagonisti erano stati tenuti nascosti. In breve, però, la vicenda è diventata di dominio pubblico. Non solo i particolari atroci ma la battaglia che ne è sorta: per la verità, per la giustizia, per tutte le donne vittime di violenze. E soprattutto contro la banalizzazione. Un j’accuse a quel degrado culturale del quale ancora non riusciamo a liberarci.
Gisèle Pelicot arrive au palais de justice d'Avignon avant le verdict du procès historique des viols de Mazan #AFPTV ⤵️ pic.twitter.com/OALS8Akz7P
Dominique P. si è rivelato essere Dominique Pelicot, marito di Gisèle. Donna che ha ripetutamente drogato con dei preparati a base di potenti ansiolitici, al fine di farla stuprare da decine di persone. Per dieci anni – i fatti si sono svolti tra il 2011 e il 2020, principalmente nel comune di Mazan – l’uomo ha reclutato su internet degli sconosciuti a tale scopo. Settantadue persone in tutto che hanno commesso circa duecento aggressioni sessuali. Una cinquantina di loro è finita sul banco degli imputati in un processo che si è aperto il 2 settembre scorso presso il tribunale di Avignone e si è chiuso oggi, 19 dicembre.
Il verdetto: venti anni di reclusione per il signor Pelicot, il massimo della pena. E dichiarazioni di colpevolezza per tutti gli altri imputati (anche se le pene saranno pronunciate in un secondo momento). Una goccia di sollievo in una famiglia “totalmente annientata”, come hanno dichiarato i tre figli della coppia (una di loro è una donna, che teme di aver subito la stessa sorte della madre, benché non siano state rinvenute prove in questo senso).
#UPDATE A court on Thursday convicted a French man of aggravated rape for orchestrating the mass rapes of his now former wife Gisele Pelicot by dozens of strangers who he recruited online ➡️ https://t.co/DPe9vWAOkmpic.twitter.com/ifo629r02O
Una vicenda ultra-mediatizzata e diventata simbolica
Ma il processo rappresenta soltanto il passaggio giudiziario, per quanto importantissimo, del dramma vissuto da Gisèle Pelicot. La vicenda, in Francia e non solo, è stata infatti fortemente mediatizzata. L’incredibile numero di persone coinvolte, e soprattutto gli argomenti che da alcuni di loro sono stati avanzati per dimostrare la loro presunta innocenza, hanno fatto comprendere una volta di più quanto la nostra società sia arretrata e vergognosamente superficiale sul tema delle violenze contro le donne.
VIDEO: A street artist has covered walls in the northern French city of Lille with portraits of Gisele Pelicot, famous since her ex-husband went on trial for enlisting dozens of strangers to rape her. pic.twitter.com/qIlKIv5cFO
A sorprendere è anche il fatto che Gisèle Pelicot, fino a pochi anni fa, fosse totalmente ignara di cosa le accadesse. Incapace di ricordare, e dunque di reagire. Il 12 settembre 2020, nel pomeriggio, Dominique Pelicot, che all’epoca aveva 67 anni, viene sorpreso dalla vigilanza di un supermercato di Carprentras, mentre filma sotto le gonne delle clienti. Interviene la polizia, che lo arresta.
Viene aperta un’inchiesta e ispezionato il materiale informatico in possesso dell’uomo. Si scopre che dialogava online con delle persone attraverso un sito di incontri. Agli uomini “reclutati” venivano anche inviati filmati degli stupri precedenti per convincerli. È il 2 novembre dello stesso anno: il marito di Gisèle, con la quale era sposato da quasi 50 anni, viene a quel punto posto in custodia cautelare dalla polizia e subito dopo comincia a confessare la realtà mostruosa da lui ideata e realizzata. Solo in quel momento la donna e i figli vengono a sapere tutto.
“Questo è un processo a un società machista e patriarcale che banalizza le aggressioni sessuali”
Quando si è aperto il processo, quattro anni dopo, Gisèle è già il volto di una causa: quella che punta, per usare le sue stesse parole pronunciate durante un’udienza, “a un cambiamento nel modo in cui la società guarda agli stupri”. Perché al di là del suo dramma, “questo processo è a una società machista e patriarcale che banalizza le aggressioni sessuali”.
È per questa ragione che la donna ha rifiutato di far svolgere il processo a porte chiuse (cosa di cui avrebbe avuto diritto). E ciò, nonostante la corte l’avesse avvertita che i ripugnanti filmati sarebbero stati “necessariamente visionati” in aula. Per Gisèle, il processo era già diventato altro: “La vergogna deve cambiare campo”, aveva spiegato uno dei suo avvocati. I figli erano d’accordo, così il dibattimento è stato aperto in presenza del pubblico e della stampa. Un gesto eroico.
A monumental day.
Gisèle Pelicot waived her right to anonymity so that women who have been raped can know that “it’s not for us to have shame – it’s for them”.
Today I am thinking of Gisèle and every woman who has felt this shame, whether they spoke out or not. pic.twitter.com/cQobcHZ3ML
Le agghiaccianti difese degli imputati: “Avevamo l’autorizzazione del marito”
Il 5 settembre, nel corso della sua prima deposizione, la vittima ha ricordato quando il commissario di polizia la preparò, nel 2020, prima di raccontarle la verità: “Le sto per mostrare delle cose che non le faranno piacere”, disse. “Lì il mio mondo è crollato. Tutto è venuto giù. Ho visto delle scene insostenibili, con uomini alle prese con una donna esanime, anestetizzata. Insopportabile”. Ma ciò che è più importante, secondo Gisèle, è raccontare affinché altre donne siano preparate: “Il giorno in cui una di loro si sveglierà senza ricordarsi cosa abbia fatto la sera precedente, potrà pensare alla mia testimonianza. Non è per me che racconto, ma per tutte coloro che possono subire lo stesso trattamento”.
Le sue parole vengono riprese dai giornali di tutto il mondo. Tradotte, ripetute, diffuse ovunque. Così come quelle degli imputati che hanno provato a difendersi smascherando la sottocultura di cui sono permeati: “Avevamo l’autorizzazione del marito”, hanno spiegato ai giudici che chiedevano se mai, durante quegli atti efferati, fosse venuto loro in mente il fatto che fosse necessario il consenso della donna. “L’autorizzazione del marito”: come se bastasse, come se la moglie fosse sua proprietà. La banalità del male.
Un processo alla viltà e alla banalità del male, grazie alla forza di una donna
“Dall’inizio di questo processo – aveva risposto Gisèle durante il dibattimento – ho ascoltato molte cose inascoltabili. Ho visto sfilare davanti alla corte individui che negano di aver stuprato. Faccio molta fatica di fronte a tutta questa banalità. Ho voglia di dire a questi uomini: in quale momento la signora Pelicot vi ha dato il permesso di farlo? In quale momento avete preso coscienza di fronte a quel corpo inerte? Pochi tra loro hanno ammesso le loro colpe. Per me, questo è un processo alla viltà”.
Per punire tale abominio, la pubblica accusa ha chiesto circa 600 anni di reclusione complessivi. Ma la più puntuale sintesi di tutto è quella che ha pubblicato questa mattina il quotidiano L’Humanité: sul volto di Gisèle, in prima pagina, campeggia la semplice frase “Merci Madame”. “Grazie, signora”. A nome di tutte e tutti.
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