Discendente di una delle famiglie simbolo della borghesia e dell’imprenditoria tessile ed editoriale lombarda, appassionata d’arte e natura, Giulia Maria Crespi è morta a Milano ieri, 19 luglio 2020, all’età di 97 anni.
Nata il 6 giugno 1923 a Merate, in provincia di Lecco, ha vissuto per quasi un secolo da protagonista e oggi viene ricordata da molti per la sua volontà di ferro e per le sue pionieristiche battaglie sociali e imprenditoriali. In primis la fondazione del Fai (Fondo ambiente italiano).
Sempre alla ricerca del bello e del vero, come amava ripetere lei, nelle sue tante “vite” mise sempre in prima linea la responsabilità sociale e il rispetto per l’ambiente, mettendosi concretamente al servizio dei propri ideali, convinta del fatto che “chi ha avuto molto, deve dare molto”.
La scomparsa di #GiuliaMariaCrespi, fondatrice e Presidente Onoraria del #FAI segna un momento cruciale nella storia della Fondazione che a lei con unanime riconoscenza dedica il più commosso tributo.
Istruita da piccola da Fernanda Wittgens (soprintendente artefice della rinascita di Brera dopo la seconda guerra mondiale), Giulia Maria Crespi sviluppò presto l’amore per l’arte e maturò negli anni quello per l’ambiente. Da qui la consapevolezza della necessità di tutelarli entrambi che, nel 1975 la portò a fondare, insieme a Renato Bazzoni, il Fai, ispirato al National Trust britannico.
Un progetto amato quasi come un figlio e che la Crespi non si limitò a fondare, donandogli personalmente i primi 500 milioni di lire e il suo primo bene: il Monastero romano-longobardo di Torba (Va), nel 1976.
L’impresa visionaria oggi è ricordata come il primo esempio italiano di alleanza pubblico-privato per la valorizzazione e la tutela del patrimonio e oggi può contare su oltre 210 mila iscritti, più di 500 aziende sostenitrici e 7.800 volontari.
In poco tempo progettai insieme ad altri qualcosa che coinvolgesse tutto ciò che era bello in Italia, ma all’inizio non fu facile passare l’idea che le cose belle si potessero donare.
Così racconta Giulia Maria Crespi la fondazione del Fai nel suo unico libro autobiografico Il mio filo rosso (2015, Einaudi), pubblicato alla veneranda età di 92 anni.
Il ricordo del Fai
Oggi la fondazione, di cui era diventata presidente onoraria, la ricorda come “una figura impegnativa per chiunque avesse a che fare con lei, ma al tempo stesso un esempio inimitabile e senza sfumature di ideali civici e di passione per la vita, per la cultura e per l’ambiente”.
Nel ripercorrere la sua lunga vita, la fondazione sottolinea alcuni dei temi e degli impegni più sentiti dalla donna: “la cura e la salute della Terra come fondamento per la salute dell’Uomo”, così come “lo strenuo impegno per una agricoltura senza veleni, insegnata e praticata nella sua grande azienda agricola della Zelata sulle rive del Ticino (è stata tra i fondatori dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica) e la passione per la tutela dell’ambiente, inteso nel suo inscindibile legame con la Storia”.
Sono numerosissimi i messaggi di affetto, cordoglio e stima per la scomparsa di #GiuliaMariaCrespi. 💚
Ecco il ricordo di alcuni rappresentanti delle più importanti istituzioni: https://t.co/qdfJ2ouiBg
In una nota il presidente del Fai Andrea Carandini ha commentato:
Il Fai soffre per la scomparsa della fondatrice Giulia Maria Crespi. Rassicurata dallo sviluppo della Fondazione in tema di beni gestiti, paesaggio e patrimonio, si era riservata la delega per l’Ambiente, preoccupata per la salute della natura e dell’uomo. Il Fai ha tradotto le sue indicazioni in pratiche virtuose nei Beni e nell’educazione al costume della sostenibilità e sempre avvertirà ai suoi fianchi questo suo ultimo sprone.
Il decennio al Corriere della Sera
Dopo la scomparsa degli zii, dalla metà degli anni ’60, Giulia Maria Crespi sostituì il padre Aldo, gravemente malato, al Corriere della Sera, di cui all’epoca era proprietaria la sua famiglia, e dove fu ribattezzata “la zarina del Corsera” per il suo atteggiamento definito “arrogante”.
Di quegli anni si ricorda la virata verso sinistra del giornale, con la sostituzione del direttore Giovanni Spadolini con Piero Ottone e l’allontanamento del giornalista Indro Montanelli. Fu lei ad assumere al Corriere Antonio Cederna, chiamato proprio per occuparsi di temi ambientali e considerato padre dell’ambientalismo italiano, che dedicò tutta la sua vita a sensibilizzare il paese, per uno sviluppo rispettoso della qualità di vita delle persone e verso la tutela dei vincoli paesaggistici e storico artistici.
L’avventura di Giulia Maria Crespi al Corriere si concluse nel 1973 quando, a causa dei passivi di bilancio, la famiglia dovette cedere parte delle sue quote prima a Gianni Agnelli e Angelo Moratti e, l’anno seguente, ad Andrea Rizzoli.
La passione per l’agricoltura biodinamica, condivisa col figlio Aldo
Come spesso accade a chi vive a lungo, anche Giulia Maria Crespi, in quasi un secolo, si è trovata a sopravvivere a molti dei suoi affetti. Rimasta vedova, dopo soli quattro anni di matrimonio, del suo primo marito Marco Paravicini, si era risposata nel 1965 con l’architetto di nobile discendenza Guglielmo Mozzoni, scomparso nel 2014 all’età di 99 anni.
Solo due mesi fa, nel maggio 2020, la donna aveva dovuto però sopportare anche la scomparsa di uno dei suoi due figli, Aldo (fratello gemello di Luca). Seguendo l’esempio della madre, l’uomo era stato un pioniere delle coltivazioni biologiche e biodinamiche, gestendo con passione l’azienda agricola Cascine Orsine, vera e propria oasi di biodiversità presso la Zelata di Bereguardo (Pavia), ispirata ai principi steineriani e conosciuta in tutta Italia fin dalla metà degli anni ’70.
Anche negli ultimi anni, Giulia Maria Crespi aveva mantenuto un’invidiabile lucidità e coscienza del presente, dimostrata anche nelle ultime interviste. Come quella uscita su La Repubblica il 27 ottobre 2019, dove alla domanda: “Lei ama la politica?”, aveva risposto: “La mia politica è il Fondo Ambiente Italiano. Che vuol dire fare, investire, restituire, anziché chiacchierare. Il premio è migliorare di un millimetro la vita di tutti noi”.
Una consapevolezza ora lasciata in eredità non solo alla fondazione, ma a tutti noi.
Roma ha una meraviglia in più entrata a far parte dei patrimoni dell’umanità dell’Unesco: è la via Appia. Il Lazio arriva a sei meraviglie, 60 in tutta Italia.