Giuseppe Lo Schiavo vince il Premio Cairo celebrando l’impotenza di fronte ai cambiamenti climatici

Mentre il Premio Cairo tende sempre di più verso la neutralità climatica, l’opera vincitrice esprime tutte le preoccupazioni di una generazione.

Un’enorme finestra affacciata su un mare che tende al minaccioso, con onde che lambiscono un davanzale dove sono collocati dei bellissimi fiori, ma anche un hand sanitizer e una sfera che rivela il luogo in cui è ambientata l’opera: Kyoto International Conference Centre. Di fronte all’opera un cartello riportante l’encefalogramma dell’artista: Giuseppe Lo Schiavo. “Self Neural Portrait è un’opera intima, un ritratto personale che ha come obiettivo quello di inquadrare questo senso di impotenza che vivo e che credo sia anche parte integrante della vita delle persone della mia generazione”. L’artista trentottenne si è infatti concentrato sul mettere insieme tutti gli elementi generatori di ansia degli ultimi anni e sul raccontarne le reazioni. “Il senso di impotenza nei confronti delle guerre, della pandemia e dei cambiamenti climatici, che sono eventi che noi possiamo solamente guardare, è enorme. Nemmeno l’arte riesce a raccontare bene questa situazione in un periodo storico in cui siamo bombardati di informazioni, ad esempio dai social network, non riusciamo ad interpretare e a gestire quello che succede intorno a noi e mettiamo in atto, per difenderci, delle strategie di coping – ovvero la serie di comportamenti che aiutano gli individui a tenere sotto controllo o a minimizzare conflitti e situazioni o eventi stressanti. Per questo a fare da contraltare all’onda che arriva c’è questo interno perfetto: noi possiamo decidere se posare la nostra attenzione sull’onda minacciosa che arriva o su questo interno così decorato e superficialmente arricchito”.

GIUSEPPE LO SCHIAVO
Giuseppe Lo Schiavo ha vinto questa edizione del Premio Cairo @Premio Cairo

La consegna del Premio Cairo e la motivazione

Sul palco di questa ventitreesima edizione del Premio Cairo per annunciare il vincitore c’era il presidente e ideatore del premio nel 2000, Urbano Cairo, insieme al direttore del magazine Arte Michele Buonomo, che ha fatto gli onori di casa poiché è stata la sua redazione a selezionare le opere. Con loro, la presidente della giuria Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e il presidente del Museo della Permanente Emanuele Fiano. “Per il complesso e rigoroso lavoro che si pone come punto d’incontro tra pratica artistica e sapere scientifico realizzando un’immagine sintetica e innovativa in cui alle onde del mare, il mondo esteriore, fanno da contrappunto quelle cerebrali, il mondo interiore. Onde entrambe ingovernabili. Il vincitore della ventitreesima edizione del Premio Cairo è Giuseppe Lo Schiavo”. Con queste parole il presidente Urbano Cairo ha consegnato il premio nelle mani dell’artista calabrese, che ha realizzato un’opera tanto potente quanto complessa nel suo accostare estetica e scienza.

La tecnica della fotografia sintetica e la poetica di Giuseppe Lo Schiavo

L’opera Self Neural Portrait è stata realizzata con una tecnica cara all’artista, ovvero quella della fotografia sintetica: si tratta di una fotografia generata a computer che lavora con immagini 3D. “È come se andassi ad inserire una scultura all’interno della fotografia: inserisco l’elemento tridimensionale e poi, grazie all’utilizzo di un software di simulazione, ricreo una realtà molto realistica, ma non si tratta di immagini generate con l’intelligenza artificiale. Il mio processo, al contrario, è molto simile a quello pittorico: io creo qualsiasi dettaglio dell’opera, come l’etichetta del flacone o il design dell’interno”. L’immagine è stata stampata su carta cotone Hahnemuhle. “Si tratta di una carta di produzione tedesca che è 100 per cento cotone: questo tipo di materiale assorbe la luce totalmente, senza rifletterla, in modo da non creare riflessi fastidiosi quando di guarda l’opera”.

Il background di Giuseppe Lo Schiavo d’altra parte è variegato come le sue opere: architetto di formazione, ha lavorato per la UCL – London’s Global University, nel dipartimento di microbiologia e ha condotto anche ricerche in ambito scientifico con il Muse di Trento lavorando tra arte e biologia sintetica. “L’encefalogramma, che è il mio, è stato invece realizzato con l’aiuto di Alberto Sanna, che è il direttore delle nuove tecnologie del San Raffaele di Milano. Volevo creare una sorta di parallelismo tra l’onda del mare e l’onda dell’encefalogramma perché l’EEG analizza cinque onde cerebrali, che sono le cinque onde che fanno in modo che le informazioni all’interno dei neuroni siano più efficaci. Nel nostro cervello ci sono infatti cinque frequenze diverse, che si alternano proprio per fare in modo che i neuroni siano più efficienti e le informazioni viaggino in maniera più efficiente”.

La nostra impotenza, e quella del protocollo di Kyoto

“Quando stavo lavorando all’interno della finestra mi trovavo in viaggio in Giappone, dove sono andato a visitare il Kyoto International Conference Centre, che è il luogo dove è stato firmato il Protocollo di Kyoto“, un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, è stato pubblicato l’11 dicembre 1997. “In quel momento stavo cercando un luogo dove ambientare questa finestra e quello mi è sembrato perfetto perché è un luogo legato alla storia degli anni Novanta, ma anche un luogo di impotenza: il primo protocollo vincolante per i paesi aderenti rispetto al riscaldamento globale si è rivelato a tutti gli effetti un po’ un simbolo di una promessa andata in decadimento”.

Sulla confezione dell’hand sanitizer modificata dall’artista si legge la scritta “Soul Wash: uccide il 99 per cento dei batteri, ma lo 0,1 per cento dei tuoi problemi”, un altro chiaro riferimento al sentimento di impotenza che attanaglia la nostra generazione, ma anche a un problema sperimentato durante l’infanzia dall’artista. “Quando ero piccolo avevo questa patologia per cui avevo delle cose irrisolte dentro di me, e mi lavavo le mani incessantemente e per tantissimo tempo. Credo sia per questo che negli ultimi anni mi sono molto avvicinato alla neuroscienza: in questo caso volevo capire se ci fosse una sorta di legame dal punto di vista delle risposte cognitive a quello che sperimentiamo. Quindi ho cercato di associare il mio encefalogramma, i miei dati neurali, all’opera che volevo realizzare. Volevo capire se quelle sensazioni che cercavo di ricreare nell’opera potessero anche avere un fondamento scientifico”.

L’altro feticcio radicato nell’infanzia e diventato ormai firma dell’artista riguarda l’elemento estetico delle finestre. “Mio padre era un serramentista, quindi sono cresciuto in un logo dove si creavano finestre, e infatti l’opera presenta il logo dell’azienda di mio padre, che avevo creato io quando avevo 14 anni. Nelle mie finestre c’è sempre la firma Domenico Lo schiavo Serramenti, che ora non esiste più perché quando è andato in pensione nessuno di noi fratelli ha voluto continuare a lavorare nell’azienda di famiglia. A conti fatti l’unico che in qualche modo porta ancora avanti la tradizione sono io”.

PREMIO CAIRO
Giuseppe Lo Schiavo insieme ad Urbano Cairo, il presidente del Museo della Permanente Emanuele Fiano, la presidente della giuria Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e il direttore del magazine Arte Michele Buonomo @Premio Cairo

Il Premio Cairo e la neutralità climatica

Uno degli aspetti centrali per gli artisti, in particolare per quello che ha vinto il premio, è l’importanza di trasmettere un messaggio riguardante temi ambientali. Da parte sua, Cairo Editore ha mostrato una sensibilità simile nell’organizzare il premio, cercando di minimizzare l’impatto ambientale dell’evento. Anche per questa ventitreesima edizione infatti è stata confermata la collaborazione con il progetto Climate Action di LifeGate. In questo modo, le emissioni legate alla serata inaugurale sono state preventivamente calcolate e ridotte dove possibile. Le emissioni inevitabili, invece, sono state compensate.

Un evento come il Premio Cairo comporta infatti diverse fonti di impatto ambientale, tra cui il consumo energetico, gli spostamenti dei partecipanti, i materiali promozionali, i rifiuti generati e i pasti serviti durante la cena di gala. Poiché non è sempre possibile ridurre preventivamente tutte le emissioni, quelle inevitabili sono state compensate attraverso la partecipazione a uno dei progetti di Climate Action, che in questo caso vede la partecipazione a progetti certificati per la salvaguardia del clima e dell’ambiente e l’implementazione della produzione di energia rinnovabile e solare in India. In questo caso l’energia pulita viene generata attraverso l’installazione di pannelli solari fotovoltaici in diverse aree del paese asiatico, tra cui gli stati di Gujarat, Karnataka, Madhya Pradesh, Rajasthan e Telangana. Questo tipo di attività non provoca inquinamento dell’aria o rumore e non ha impatti ambientali o socioeconomici negativi legati alla realizzazione del progetto. Al contrario, crea opportunità di lavoro sia durante la fase di costruzione che durante quella operativa. Gli impianti, inoltre, contribuiscono allo sviluppo delle infrastrutture locali, come la costruzione di strade, e la produzione di energia promuove la crescita di altre attività economiche nella regione.

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