Due iraniani sono stati impiccati in una prigione dell’Azerbaigian per il reato di sodomia. 47 le condanne a morte eseguite nel paese solo nel mese di gennaio.
I giovani Mehrdad Karimpour e Farid Mohammadi sono stati giustiziati dalle autorità iraniane con l’accusa di “sodomia forzata”.
Nel regime degli Ayatollah, i minori non eterosessuali vengono costretti a trattamenti sanitari come la somministrazione di psicofarmaci, terapia ormonale e sedute di elettroshock.
Il presidente ultra conservatore Ebrahim Raisi, eletto nel giugno 2021, ha confermato e inasprito la legge del terrore.
L’esecuzione di Mehrdad Karimpour, 32 anni, e Farid Mohammadi, 29, è avvenuta il 30 gennaio scorso, dopo sei anni trascorsi nel braccio della morte con l’accusa di “sodomia forzata”. Lo riporta la Human rights activist new agency (Hrana); nessuna conferma ufficiale è arrivata dalle autorità iraniane. Spesso, infatti, le condanne vengono eseguite in forma segreta. L’Iran è uno dei paesi del mondo in cui le relazioni tra persone dello stesso sesso vengono punite anche con la pena di morte. Gli altri sono Yemen, Arabia Saudita, Mauritania, Brunei e alcuni stati della Nigeria.
Dalle cento frustate alla pena di morte
A partire dalle cento frustate in caso di rapporti tra donne, persecuzioni, torture e violenze di vario genere sono le pene comminate nel regime degli Ayatollah per qualsiasi attività sessuale al di fuori del matrimonio etero. Anche per i minori.
Alla condanna spesso si arriva con un processo che dura una manciata di minuti e in cui la confessione rilasciata sotto tortura è ammessa dalla corte come prova regolare.
Elettroshock e terapie ormonali per i minori identificati come Lgbt
Nel 2018 la Commissione per i diritti del fanciullo delle Nazioni Unite ha denunciato in un report che, nella Repubblica Islamica dell’Iran, i minori riconosciuti come Lgbt vengono costretti a trattamenti sanitari come la somministrazione di psicofarmaci, terapia ormonale e sedute di elettroshock, per “correggere la devianza”.
La notizia reale complessiva, però, è che tali “pratiche riparative” vengono ancora applicate in ottanta paesi del mondo, Italia compresa. A dare questo allarme, qualche giorno fa, è stata la Società italiana di andrologia: secondo la stima, infatti, una persona Lgbt su dieci è ancora vittima di questi trattamenti.
Anche gay e lesbiche sono costretti a ricorrere alla chirurgia di genere per sopravvivere
L’Iran riconosce la chirurgia per la riassegnazione di genere, ovvero permette gli interventi necessari per il cambio di sesso e la conseguente modifica del nome sui documenti. È considerata la via per la redenzione concessa dal regime.
Aram Bolandpaz, giornalista e attivista iraniana scappata in Gran Bretagna, ha riportato in un’intervista che “il 40 per cento degli interventi chirurgici di riassegnazione di genere in Iran sono compiuti su persone, uomini e donne, che sono gay, lesbiche o bisessuali. Loro non ricorrono alla chirurgia perché lo vogliono, ma solo a causa della pressione che subiscono da una società che li marchia come devianti e che usa la legge per minacciarli”.
Per il codice penale iraniano la pena di morte è applicabile per crimini commessi a partire dai nove anni
Oltre alle relazioni sessuali proibite, i crimini per quali la legge iraniana prevede la pena capitale sono l’omicidio, il traffico di droga, la rapina a mano armata, la pedofilia, il terrorismo, la dissidenza politica, l’adulterio, la prostituzione e un’altra ventina di reati. Il limite d’età per l’applicazione della pena di morte è per i crimini commessi a partire dai nove anni lunari (8,7 anni) per le bambine e quindici anni lunari (14,6 anni) per i bambini.
Il presidente ultra conservatore Ebrahim Raisi, eletto nel giugno 2021, ha confermato e inasprito la legge del terrore come forma di controllo di una popolazione che, all’80 per cento, vive sotto la soglia di povertà.
Sono circa trecento le condanne eseguite nel 2021; spesso avvenute in forma segreta, senza alcuna comunicazione ufficiale, né prima, né dopo. Conoscere il dato esatto è quindi impossibile. Di certo però è che ci sono anche donne, minori e persone appartenenti a minoranze etniche, per la maggior parte prigionieri kurdi.
C’è anche chi non arriva a processo perché giustiziato in strada
Il regime del terrore è così dilagante che basta trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato per perdere la vita per mano delle forze dell’ordine. Come Sajjad Ka’ibi, ucciso recentemente dalla polizia mentre stava festeggiando i suoi 22 anni con gli amici in un parco vicino alla municipalità di Shus, nel sud-ovest del paese. E il ventiduenne di origine curda, Mohammad Ahmadi Matin, a cui un agente ha sparato due colpi di pistola in strada di fronte alla madre mentre tornavano da un funerale nella provincia di Kermanshah, nell’Iran occidentale.
Nel primo caso, la polizia ha ucciso per avere rilevato “atteggiamenti pericolosi”, nel secondo perché il ragazzo si era rifiutato di pagare una bustarella.
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