Abyss Clean Up, diretto da Igor D’India, segue quattro anni di lavoro di un gruppo di esperti alla ricerca di rifiuti nel mar Mediterraneo.
Tra fiaba e realtà arriva Glassboy, family movie che cita i Goonies e E.T.
Raro esempio di film italiano per ragazzi, Glassboy è un racconto di formazione che celebra l’infanzia. Dopo il passaggio al Giffoni arriva on demand dal primo febbraio.
Un film coraggioso e quasi profetico. È Glassboy, adattamento cinematografico del romanzo Il bambino di vetro di Fabrizio Silei (premio Andersen 2012), diretto da Samuele Rossi e di cui vi proponiamo qui trama, trailer, recensione e photo gallery .
Al suo secondo lungometraggio (e dopo diversi documentari) il regista racconta di essersi innamorato da subito della storia di Pino, ragazzino affetto da una patologia che lo isola e lo rende fragile (come fosse “di vetro”), ma che grazie a un gruppo di amici scopre la sua grande forza. Una storia in cui diversità e unicità diventano le due facce della stessa medaglia e che rivela singolari parallelismi con la condizione in cui ci troviamo oggi, a causa della pandemia. Come Pino (e chi per lui) siamo così attenti e ossessionati dalla paura di non morire, che corriamo il rischio di rinunciare a vivere.
Unico titolo italiano in concorso al Giffoni Film Festival Winter Edition, il film ha ricevuto il premio al Miglior film europeo per ragazzi al Pöff Tallinn Black Nights Film Festival, e ora si prepara a debuttare on demand, dal primo febbraio, sulle principale piattaforme streaming (inclusa la rete dei cinema www.iorestoinsala.it).
Glassboy, la trama del film
Pino (Andrea Arru) ha 11 anni, ed è affetto da una rara patologia che lo rende molto vulnerabile (l’emofilia, che nel film, come nel libro, non viene mai menzionata in modo esplicito). Per proteggerlo, i suoi genitori (Giorgia Wurth e David Paryla) lo tengono da sempre sotto una campana di vetro, istigati dalla dispotica nonna Helena (Loretta Goggi), terrorizzata all’idea di perdere il nipote a causa della stessa malattia che si è portata via suo marito. E così Pino resta confinato nella lussuosa villa di famiglia, passando le giornate nella sua grande “camera luna park”. Qui, sognando una vita normale, disegna fumetti e segue le lezioni del pedante istitutore Fidenzio (Massimo De Lorenzo). Il suo passatempo preferito, però, è spiare col binocolo i bambini che giocano nella piazza di fronte a casa. Ad attirare in particolar modo la sua attenzione sono gli Snerd, una banda di quattro amici inseparabili, capitanati dalla carismatica Mavi (Rosa Barbolini). Tutto cambia quando la ragazzina irrompe a sorpresa nella cameretta di Pino, portando con sé tutta la sua vitalità. Un incontro che gli darà il coraggio di uscire allo scoperto, svelando il suo desiderio di libertà e la voglia di diventare finalmente protagonista della proria vita.
Un film coraggioso
Prima ancora di entrare nel merito dei pregi e anche dei difetti di Glassboy, è bene sottolineare il grande sforzo e il coraggio messi in questo progetto, in primis dai produttori e dal regista. Va detto, infatti, che in Italia (ma anche in Europa), in pochissimi tentano l’impresa di produrre film per ragazzi, frenati dai pregiudizi che lo considerano, a torto, un genere di serie B, più adatto a produzioni televisive e appannaggio dei grandi brand americani. Uno sforzo che qui è stato sostenuto dalla determinazione di uno dei produttori, Emanuele Nespeca, che con Glassboy ammette di aver “coronato un sogno” e si augura “sia solo il primo di una serie di film per ragazzi”. A renderlo possibile anche la coproduzione con Svizzera e Austria, che ha contribuito a dare “un respiro internazionale al film”, con un invidiabile collage di ambientazioni, dislocate lungo tutto lo Stivale (Cosenza, Bracciano, Montecatini Terme, Albenga), ma anche oltralpe, in terra austriaca.
Quando abbiamo cominciato a lavorare a Glassboy avevamo un obiettivo preciso, far compiere alla nostra società un altro passo verso il cinema per ragazzi, settore incredibilmente trascurato nella cinematografia italiana e in parte europea.
Dai Goonies a E.T., un tributo ai grandi family movie
A credere tantissimo in questo progetto è stato da subito il regista Samuele Rossi, che in questa storia ha voluto portare tutto il suo bagaglio cinefilo di gioventù. Da E.T. a Stand by me, da Hook a Ritorno al futuro e – in modo particolare – i Goonies (gli Snerds sono ispirati proprio a loro), Glassboy è un omaggio dichiarato alle più celebri pietre miliari di cinema per ragazzi e famiglie. “Il film è una summa di quei riferimenti che ho vissuto da spettatore, dai classici Disney ai film di Spielberg e Zemeckis”, ha raccontato Rossi durante la conferenza stampa virtuale. Tra le citazioni ci sono il maggiordomo degli Aristogatti, che ha ispirato il personaggio di Fidenzio, e Crudelia Demon, che prende le sembianze della dispotica nonna Helena, interpretata da una “Malefica” Loretta Goggi, insolita ma azzeccata.
La cosa che mi ha sempre colpito di questa cinematografia è che racconta l’infanzia come un modo di superare una fragilità. Dai bambini di Hook, che devono ritrovare la propria identità, a Elliot di E.T. che deve elaborare la perdita del padre, salvando l’alieno.
Paragoni molto ambiziosi cui il film fatica a tenere testa, soprattutto a livello di sceneggiatura, con qualche dialogo un po’ rigido e didascalico, alcuni risvolti di trama poco convincenti e un’interpretazione a tratti impostata e inesperta dei più piccoli. Limiti che saltano all’occhio dello spettatore adulto, ma che non pregiudicano la visione al pubblico più giovane, cui il film è specialmente dedicato e che apprezzerà molto la genuinità e la linearità del racconto, preferendolo forse persino a prodotti più articolati e impeccabili.
Una storia universale pensata per il grande pubblico
D’altro canto Glassboy riesce a raccogliere la sfida più importante: quella di mettere in scena una storia universale che è capace di parlare ai bambini come agli adulti. La fatica di Pino nell’uscire allo scoperto rivelando la sua fragilità, la sua paura di non essere accettato per com’è, l’istinto dei suoi genitori e soprattutto di sua nonna di iperproteggere colui che amano e la fatica di saper vivere appieno la propria condizione, qualunque essa sia, ricalcano le stesse sfide che tutti noi ci troviamo ad affrontare nella vita. Sfide e fragilità che, come accade al bambino di vetro, possono rivelarsi le nostri armi segrete, aiutandoci a innescare in noi forze sconosciute e persino s trasformarsi nel motore propulsore della nostra vita.
Quello di Spielberg e Zemeckis è un cinema che non si vergogna di raccontare storie e di farlo per il pubblico. Questa è una cosa che in Italia noi – purtroppo – consideriamo in modo negativo, mentre significa avere la capacità di coniugare qualità e universalità, cioè di abbracciare il pubblico nella sua ampiezza e diversità. Noi non ci siamo vergognati di questo e abbiamo voluto raccontare una storia per il pubblico, ma con la dignità di un cinema importante e ambizioso.
Un film (involontariamente) profetico
Definire Glassboy anche un film “profetico” è inevitabile, se si considera che il protagonista è un bambino costretto a casa da una malattia che lo priva della possibilità di andare a scuola, tenendolo lontano dai suoi coetanei. Echi di solitudine che oggi tutti i bambini e ragazzi, “ostaggi” della pandemia da quasi un anno, possono sentir risuonare come famigliari. Proprio loro che, appena sbocciati alla vita, dovrebbero poter esplorare il mondo senza paura e invece si trovano tappati in casa.
Pino nel film esulta e freme dalla voglia di andare a scuola, scatenando lo sbigottimento del suo nuovo amico Ciccio (il quindicenne Stefano Trapuzzano) “ma come si fa a esultare per andare a scuola?!” . Adesso invece è proprio quest’ultimo (in un singolare gioco di sovrapposizione tra realtà e finzione) ad ammettere: “Ho risentito molto della didattica a distanza e oggi per me tornare a scuola è davvero un desiderio che si realizza”.
Girare il film poco prima che iniziasse la pandemia è stata una sfortunata coincidenza. Pino vede la realtà da dietro una finestra e da dietro un monitor. E una delle problematiche più spinose di questo periodo è proprio quello di aver tolto la realtà fisica ai bambini
Glassboy dal libro al film, un tradimento necessario
Tutto è cominciato nel 2014, quando il regista si è imbattuto nel libro di Fabrizio Silei Il bambino di vetro, che è stato associato all’immaginario di grandi classici della letteratura per bambini, come Il giornalino di Gian Burrasca, I ragazzi della via Pal e Pippi Calzelunghe. “L’innamoramento è stato immediato”, ammette Samuele Rossi. “Da quel momento è iniziato un lavoro di approfondimento, scrittura e adattamento con l’obiettivo di calare la dimensione narrativa dell’opera ai giorni d’oggi, modificandone ampiamente personaggi e drammaturgia, ma senza volerne tradire i presupposti principali.”
Pur restando “fedele nello spirito”, dunque, il regista ammette di aver “tradito nella forma il romanzo”, che era ambientato alla fine dell’800. Dopo ben quindici stesure, la sceneggiatura è arrivata all’ultimo step con la nuova formazione degli Snerd arricchita da due quote rosa (nel libro erano tutti maschi) e la benedizione dell’autore Fabrizio Silei, soddisfatto e in accordo con i cambiamenti apportati alla sua creazione per la trasposizione al cinema.
Glassboy, tra fiaba e realtà
Pur non raggiungendo le vette dei grandi titoli cui si ispira, Glassboy porta in sé una scintilla di “magia” (una parola che il regista racconta essere stata una sorta di mantra sul set). È la magia di un progetto ambizioso che potrebbe incoraggiare il nostro cinema a investire di più in questo genere, così importante per costruire il pubblico del futuro. Ma è anche la magia di un film capace di rimanere in bilico tra fiaba e realtà, raccontando una storia ambientata ai nostri giorni ma che è senza tempo.
“Questi bambini non sono l’immagine dell’infanzia di oggi, ma nemmeno la proiezione nostalgica della mia infanzia. C’è piuttosto una combinazione di entrambe le cose”, spiega il regista rispondendo all’obiezione di aver descritto bambini poco attuali.
Tutto il mondo che ho costruito per il film, dagli attori alle scenografie, è un incontro tra fiaba e realtà. Sono bambini di oggi, ma filtrati da un tempo lontano. In questa contaminazione ho ricreato un’infanzia dove si possano parzialmente riconoscere sia i bambini che gli adulti
Per immergersi in questa dimensione e gustare al meglio Glassboy il consiglio è proprio quello di guardarlo (se possibile) in compagnia di un bambino. Sarà più facile lasciarsi trasportare da quella fantasia che il film sprigiona nella sua scena più bella e poetica: quella in cui Mavi e Pino condividono paure e ferite, mentre il soffitto della cameretta diventa un cielo pieno di stelle in cui volare.
Insieme il mondo non è più un luogo di cui avere paura, ma un posto meraviglioso e tutto da scoprire.
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