
La mancanza di dati ufficiali è un problema per il controllo del mercato legale di animali, soprattutto per le catture di quelli selvatici.
Gli squali causano meno morti l’anno dei selfie. E allora perché continuiamo a considerarli mostri?
Gli squali sono responsabili di meno di dodici uccisioni di esseri umani l’anno. Persino i selfie sono più letali: ogni anno uccidono più di 73 persone. Nello stesso lasso temporale, oltre cento milioni di squali vengono ammazzati dai pescatori nelle maniere più crudeli. Guardando i numeri, chi è il vero mostro?
Questa è la domanda posta da Ocean Ramsey, biologa e attivista delle Hawaii animata da una passione che molti potrebbero considerare insolita: nuotare con questi predatori. Le splendide immagini scattate sott’acqua dal marito, il fotografo Juan Oliphant, la ritraggono mentre “danza” con gli animali cercando di comunicare con loro, i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia, il corpo avvolto dalla muta che la fa sembrare una supereroina del mare.
Ramsey, che ha fondato l’organizzazione One ocean, si batte da diversi anni con l’obiettivo di favorire la coesistenza fra squali ed esseri umani: “Appartengono a due mondi che solitamente vengono tenuti separati, ma voglio insegnare alle persone che possono convivere con questi animali. La nostra stessa esistenza dipende dalla relazione che abbiamo con loro e con l’oceano”.
Nuotare in profondità, circondati dagli squali, può sembrare un’esperienza terrificante, ma è qualcosa che mi rende felice. Interagire con loro mi ha regalato alcuni dei momenti più belli della mia vita.
La chiave sta nella comunicazione: come le api, nemmeno gli squali si muovono in maniera casuale; ci sono degli schemi che sfruttano per comunicare. A volte, un po’ come i cani, possono assumere un atteggiamento territoriale. Avere familiarità con il linguaggio corporeo di questi predatori è di vitale importanza. Proprio come nelle conversazioni fra gli esseri umani, la postura e i gesti possono indicare una minaccia o presagire un’aggressione.
Gli squali devono essere squali. Sono il simbolo della perfezione a livello evolutivo.
Gli squali non sono assetati di sangue, né pronti a scatenare delle risse sottomarine. Il linguaggio che utilizzano serve a mantenere la pace ed evitare il confronto fisico; sono animali generalmente prudenti che vivono “in modalità risparmio energetico”. Se non ci comportiamo come prede né li sfidiamo, difficilmente potranno attaccarci. È fondamentale, ricorda Ocean Ramsey nel suo ultimo libro, esaminare attentamente l’area in cui si farà immersione, assicurandosi che non ci siano carcasse di pesci né fonti di stress come possono essere i motori delle barche lasciati accesi.
Gli squali popolano gli oceani già da 400 milioni di anni. Sono comparsi ancora prima dei dinosauri, ai quali sono sopravvissuti. Sono dotati di sette sensi e le specie esistenti sono tanto varie quanto è diversificato il loro habitat: dalle acque costiere dei Tropici fino alle profondità marine e, in alcuni casi, perfino le acque dolci. Gli squali sono in cima alle reti alimentari, per questo vengono definiti “predatori apicali”: ciò significa che sono regolatori degli interi ecosistemi nei quali si trovano.
“Lo squalo è un selezionatore naturale che agisce un po’ da veterinario e un po’ da spazzino, prediligendo le prede anziane o malate. Quindi, è prezioso per l’equilibrio del mare”, chiarisce Alberto Luca Recchi, esploratore, fotografo subacqueo e scrittore.
Diversi studi sulla dinamica delle popolazioni di squali e sull’importanza del loro ruolo ecologico dimostrano che la diminuzione della loro presenza, e la conseguente diminuzione della loro pressione sulle prede, porti le stesse a diventare troppo numerose e a sovra-predare la specie che sta al piano inferiore della rete alimentare, riducendo il numero degli individui.
L’oceano è un concentrato di vita e di morte.
Questo porta gli stessi predatori, non più regolati dagli squali, a essere in forte declino, proprio a causa della scarsità di prede. Si vengono pertanto a creare degli “effetti fisarmonica” sull’abbondanza e sulla scomparsa di numerose specie.
Lo shark finning, o spinnamento, uccide fra i 70 e i 100 milioni di squali ogni anno, un ritmo che sarebbe insostenibile per qualunque specie, figuriamoci per una da cui dipende l’intero ecosistema. “Uccidere un animale solo per le sue pinne, che rappresentano meno del 5 per cento del suo corpo, è semplicemente disgustoso, un insulto per le future generazioni”, commenta Ocean Ramsey. Questa crudele pratica è diffusa soprattutto in Asia, dove le pinne vengono impiegate nella preparazione di piatti tradizionali, fra cui una famosa zuppa.
“Gli squali sono pescati in tutto il mondo come fonte di tantissimi materiali: dalle pinne al fegato, che è ricco di grassi e finisce all’interno di integratori, fino alla carne destinata al consumo umano. Questo non succede soltanto in paesi esotici; spesso gli squali vengono venduti in Italia sotto nomi diversi: quando mangiamo la verdesca, il palombo, lo spinarolo, in realtà mangiamo degli squali, anche se il nome non lo lascia intuire”, spiega Tania Pelamatti, dottoressa di ricerca in biologia marina e National Geographic explorer dal 2017.
Da piccoli tutti noi diciamo di voler cambiare il mondo. Ebbene, ci siamo riusciti: dal mare abbiamo tolto i pesci e ci abbiamo buttato la plastica.
Questi pesci hanno una crescita relativamente lenta e una maturazione che avviene in ritardo; hanno bisogno di sopravvivere per molti anni prima di essere maturi e potersi riprodurre, e non fanno molti piccoli. “Queste caratteristiche del loro ciclo vitale li rendono molto vulnerabili alla pesca, sia diretta che accidentale”, prosegue Pelamatti.
Altre minacce sono la distruzione degli habitat e l’inquinamento, specialmente quello dovuto alla plastica, senza contare gli effetti del riscaldamento globale, che sta danneggiando le barriere coralline e alterando la distribuzione delle specie.
Niente panico, però: non tutto è perduto. “Se noi capiamo – e i giovani l’hanno capito benissimo – che possiamo passare da stili di vita egocentrici a stili di vita ecocentrici, e che la tecnologia ci può aiutare, possiamo ancora invertire la rotta. L’oceano è un sistema estremamente vitale, cioè le creature del mare fanno milioni di uova e milioni di figli, e quindi la soluzione è semplice: basta lasciarle in pace. Basterebbero pochi interventi, come triplicare il numero delle riserve marine, gestire la pesca in maniera intelligente e non dissennata, e fare delle scelte responsabili a tavola”, conclude Recchi.
Ogni respiro sotto la superficie del mare è diverso da qualsiasi altro.
Oltre a tutto questo, resta la cosa più importante: smettere di avere paura degli squali, e cominciare ad esserne affascinati. Cominciare a volerli conoscere. Il turismo responsabile porta notevoli entrate ai paesi che lo sanno gestire. Gli squali valgono più da vivi che da morti.
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