Fumata nera sul glifosato in Europa. I rappresentanti dei paesi dell’Unione non hanno le idee chiare e non hanno votato per un rinnovo decennale.
La saga del glifosato in Europa non sembra voler giungere a un lieto fine. Anzi, sembra non voler finire proprio. L’erbicida più usato al mondo è stato dato per spacciato più volte, eppure è ancora tra noi e potrebbe esserlo per i prossimi dieci anni. È dal 2015, infatti, che società civile, comunità scientifica e organizzazioni che si battono per la difesa della nostra salute stanno lavorando per la sua messa al bando, ma a distanza di otto anni e dopo un primo rinnovo ottenuto a fine 2017 per cinque anni, dopo evidenze scientifiche che avrebbero dovuto attivare una rete di protezione da parte dei decision maker, ovvero da parte chi può decidere della salute umana prima che pubblica, si discute del potenziale rinnovo fino al 2033.
Sul glifosato in Europa, meglio nessun accordo che un rinnovo
Il 12 e 13 ottobre gli stati che fanno parte dell’Unione europea riuniti nel Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (Plants, animals, food and feed committee, Paff) e chiamati a decidere del futuro di questo erbicida, non sono riusciti a mettersi d’accordo impedendo, di fatto, la votazione sulla bozza di regolamento impostata dalla Commissione europea e che prevedeva, appunto, un rinnovo decennale dell’utilizzo del glifosato in Europa. Una bozza di regolamento basata sulle conclusioni dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, pubblicate lo scorso luglio secondo le quali non ci sarebbero “rilievi critici” tali da impedire il rinnovo dell’autorizzazione al commercio in Europa.
Una conclusione frutto di un cavillo perché per l’Efsa una sostanza è definita “critica” solo se “tutti gli utilizzi proposti per la sostanza attiva in corso di valutazione” destano preoccupazione. Dall’impiego nella fase di pre-semina fino al post-raccolto. E quindi solo in questo caso ne viene impedita la commercializzazione d’ufficio. Dunque, seppure il glifosato sia stato definito un “probabile cancerogeno” per l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite. Nonostante l’Istituto Ramazzini, il centro per la ricerca indipendente e la prevenzione del cancro e delle malattie di origine ambientale, abbia più volte denunciato i possibili effetti tossici, tanto che il direttore Daniele Mandrioli ha promesso di continuare la ricerca per permettere decisioni basate su “evidenze scientifiche e dati trasparenti” secondo quanto riportato dalla rivista “il Salvagente”, la discussione continua e gli stati hanno deciso di non decidere e posticipare la votazione sul rinnovo (o meno) a novembre. Alla votazione del 13 ottobre, infatti, non si è raggiunta la maggioranza qualificata, pari 15 paesi membri con almeno il 65% della popolazione europea rappresentata.
Prossima votazione: novembre, poi dicembre
Quella di novembre è l’ultima chiamata prima del necessario intervento della Commissione europea. Se i paesi non si metteranno d’accordo neanche in quell’occasione, infatti, sarà l’esecutivo europeo a prendere una decisione il 15 dicembre, giorno in cui scade il precedente rinnovo quinquennale. Senza entrare nel merito dei cambi di governo o, peggio, di “casacca” dei vari paesi che avevano fatto della lotta contro l’erbicida una questione politica (si veda l’inversione a U del presidente francese Emmanuel Macron), l’Italia si è dichiarata favorevole, pur esprimendo perplessità sull’utilizzo in fase di pre-raccolto. La Germania – che nel 2017 fu decisiva per il rinnovo visto che la Monsanto, tra i principali produttori di glifosato, all’epoca era stata acquisita dal colosso tedesco Bayer – ora si è detta contraria alla nuova autorizzazione.
Questo tentennamento lascia basite le organizzazioni riunite sotto il cappello del Pesticide action network (Pan) che già dopo la conclusione dell’Efsa aveva definito la posizione europea come “uno schiaffo in faccia a molti scienziati indipendenti e a tutti i cittadini e ai responsabili politici che vedono la necessità di proteggere la biodiversità e il futuro della produzione alimentare, la salute e la sicurezza dei lavoratori agricoli e ridurre l’uso complessivo di pesticidi e il glifosato in particolare”.
Oggi Angeliki Lysimachou, head of science and policy del Pan, ha affermato che un rinnovo oggi è ancora più grave perché “sappiamo molto di più di quanto sapevamo nel 2017. Ora non si parla solo di cancro, ma anche di neurotossicità, del potenziale disturbo del microbioma, con tutte le eventuali malattie collegate e pure dell’impatto sulla biodiversità”. Senza contare che la maggioranza degli europei (61,9 per cento) vorrebbe che il glifosato venisse vietato, mentre solo il 14,1 per cento si dice favorevole al rinnovo.
Eppure, dicevamo, la saga continua e nessuno vuole agire finché la pistola fumante non verrà trovata. Peccato che quando si parla di salute umane, il principio di precauzione dovrebbe essere l’unico appiglio burocratico a cui aggrapparsi.
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