Mai come negli ultimi mesi l’ambiente e la crisi climatica hanno conquistato le prime pagine, complici anche le emergenze che si sono susseguite da un capo all’altro del Pianeta, dall’Australia alla Siberia, dalle Filippine al Giappone. Se tutti noi siamo venuti a conoscenza dello stato di ecosistemi a migliaia di chilometri di distanza è grazie anche a quelle persone che, lontano dalla luce dei riflettori, mettono a rischio la loro stessa incolumità pur di tutelare il territorio in cui vivono. Sono attivisti, indigeni, guardie forestali. Nell’arco del 2019 ben 212 di loro sono stati uccisi, spesso nella totale impunità dei loro aggressori. È il dato più alto mai registrato nel report annuale della ong Global Witness, che avverte: questa è soltanto una stima parziale.
NEW: Last year, 212 Land and #EnvironmentDefenders were murdered whilst defending their homes, their land and the environment against climate-wrecking projects.
I dati allarmanti dell’ultimo studio di Global Witness
A partire da dicembre 2015, quando è stato firmato l’Accordo di Parigi sul clima, sono stati uccisi in media quattro ambientalisti alla settimana. A questo tragico bilancio vanno aggiunti i casi che non sono mai stati riconosciuti in via ufficiale. Oltre a tutti coloro che sono stati messi a tacere a suon di aggressioni, arresti, violenze sessuali, azioni legali, minacce di morte.
Tra le 212 vittime confermate lo scorso anno, cinquanta si battevano contro le mire espansionistiche dell’industria mineraria. Altre 34, quasi tutte in Asia, si erano scagliate contro i colossi dell’agroindustria e 24 contro il business del legname. In quest’ultimo comparto si è segnalata un’impennata di attentati, con un +85 per cento rispetto al 2018. In almeno 37 casi la ong è riuscita a ricostruire un coinvolgimento – più o meno diretto – delle forze di Stato. Una vittima su dieci è donna.
Tra i più preziosi guardiani del clima ci sono ipopoli indigeni. Le aree forestali da loro gestite stoccano una quantità di gas serra pari a 33 volte le emissioni planetarie; e, rispetto alla media, sono più tutelate e meno soggette alla deforestazione. Ma è evidente che il loro operato intralcia le mire di chi è mosso da interessi criminali e speculativi. Oltre un terzo delle vittime accertate tra il 2015 e il 2019 appartiene alle comunità indigene, che pure rappresentano appena il 5 per cento della popolazione globale.
La Colombia è il paese più pericoloso per gli ambientalisti
La situazione è particolarmente preoccupante in Colombia e nelle Filippine, dove sono stati accertati rispettivamente 64 e 43 omicidi. È colombiana anche Francia Márquez, insignita nel 2018 del prestigioso Global environmental prize, che a maggio dello scorso anno è sopravvissuta all’aggressione da parte di un individuo armato.
Nel tentativo di dare una spiegazione a questa escalation di violenza nello Stato sudamericano, Global Witness fa un passo indietro fino al 2016, quando è stato siglato l’accordo tra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia). Le aree che un tempo erano comandate dai guerriglieri sono rapidamente passate sotto il controllo della criminalità organizzata e dei gruppi paramilitari. A loro sarebbe riconducibile un attentato su tre, anche a causa di un clima di generale impunità. L’89 per cento degli omicidi di chi difende i diritti umani, sostiene la ong, non ha come esito una condanna.
Colombia 🇨🇴 was one of the most dangerous countries to stand up for our environment last year.#EnvironmentDefender Angelica Ortiz from the Fuerza de Mujeres Wayuu movement speaks about the threats that she has faced. pic.twitter.com/9RBl3Qvqpb
L’accordo di pace prevedeva anche di scoraggiare la coltivazione di foglie di coca, finanziando chi fosse disposto a convertire i propri terreni a cacao, caffè o altre colture. Finora, però, il programma non ha avuto un esito soddisfacente. Migliaia di partecipanti non hanno ancora incassato i pagamenti a cui avevano diritto, molti sono stati minacciati da organizzazioni coinvolte nel narcotraffico e quattordici sono stati uccisi.
A detta di Global Witness, è ora indispensabile realizzare pienamente le misure previste dall’accordo di pace, che in larga parte sono rimaste disattese. Il che significa anche disarmare i gruppi criminali, indagare sugli episodi violenti e adottare una vasta riforma agraria che includa anche le comunità rurali più povere.
Bolsonaro riceve la medaglia al merito indigeno. Una scelta assurda del governo brasiliano che non tiene conto delle accuse di genocidio nei confronti del presidente.
Impossibile non restare affascinati dalla vita dei popoli indigeni, così intimamente connessa alla natura e così lontana dal nostro quotidiano. Possiamo raggiungerli con la fantasia e vedere il mondo con i loro occhi grazie alle straordinarie immagini del calendario 2022 “We, the people” di Survival International, il movimento globale che lotta per i loro diritti.
Il presidente cileno Sebastián Piñera ha dichiarato lo stato di emergenza e schierato l’esercito in quattro province nel sud del paese in seguito a una serie di scontri fra le forze dell’ordine e il popolo indigeno dei Mapuche. La misura straordinaria resterà in vigore per almeno due settimane e autorizzerà le forze armate a “fornire appoggio logistico, tecnologico e nelle comunicazioni, così come nelle operazioni di