L’attacco dei miliziani Mai-Mai che ha causato la morte di sei ranger del Parco nazionale di Virunga non è un incidente isolato.
La sopravvivenza dei gorilla di montagna dipende da noi
I gorilla di montagna resistono solo in due luoghi sulla Terra. Il racconto di un incontro unico e di un modo per contribuire alla conservazione della specie.
Si dice che i primati abbiano negli occhi lo sguardo degli uomini. Eppure, se vi siete mai trovati vis-à-vis con un gorilla, saprete che siamo noi ad aver ereditato il loro sguardo, ad avere il privilegio di serbare tanta naturale intensità negli occhi. I gorilla delle montagne dell’Uganda conservano una gentile fierezza che non ci appartiene. I loro occhi raccontano di come gli uomini li hanno derubati, di come hanno travalicato i confini della loro casa mettendo a repentaglio l’intera loro sopravvivenza. Neanche quando si osservano nervosi, lanciarsi cavalcando verso i turisti con urla furiose, è possibile veder svanire la potente dignità dai loro occhi. Con la loro carica vogliono spaventare senza aggredire, comunicare che è ora di difendere la propria sicurezza. Il loro monito impone che il nostro tempo è scaduto, ci avverte che siamo rimasti in casa loro già abbastanza.
Ne sono rimasti mille
Per decenni gli uomini hanno invaso con i loro insediamenti i territori abitati dai gorilla, li hanno sfruttati, trasformati in terreni agricoli o di allevamento, e questi animali, per trovare un habitat sicuro dove vivere e riprodursi sono stati costretti ad aree sempre più ristrette. Il gorilla di montagna (gorilla beringei beringei) è una sottospecie del gorilla di pianura dell’Africa orientale, e sopravvive sulla Terra in due luoghi solamente: la catena di vulcani Virunga, sul triplice confine tra Ruanda, Uganda e la Repubblica Democratica del Congo, e all’interno del parco nazionale di Bwindi in Uganda (Bwindi impenetrable forest). Questi luoghi ospitano due gruppi isolati di gorilla di montagna: poco più di 600 gorilla Virunga e altri 400 esemplari nel Bwindi. Oggi, infatti, insieme contano circa mille gorilla. Per questo, per anni, sono stati categorizzati dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), come specie a rischio critico di estinzione.
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Andare ad osservare questi animali è un’esperienza che lascia senza fiato, letteralmente. Il cammino per raggiungere i gruppi di gorilla di montagna è lungo e faticoso attraverso una fitta boscaglia con radici che bloccano il sentiero, ma anche con occasionali guadi di torrente, salite di terriccio scivoloso e discese scoscese. Per non parlare della melma, la polvere, l’umidità e gli insetti. Tutti presenti all’appello. Se avete uno spirito avventuriero sarete talmente emozionati al pensiero di trovarvi di fronte al vostro primo gorilla che non vi importerà poi tanto; nemmeno del fango nelle mutande. È sicuro, però, che anche se non siete dei fan del trekking di montagna più arduo, dei cammini, la vostra fatica sarà più che ricompensata quando vedrete il primo cucciolo di gorilla dondolarsi da un ramo, per poi cascare dall’albero e rialzarsi in modo impacciato dal fogliame del sottosuolo boschivo come solo un cucciolo sa fare.
Silverback, il maschio alfa
Il gorilla di montagna è un animale sociale e si riunisce in gruppi di circa una trentina di individui con a capo un gorilla maschio, il silverback, chiamato così per la striscia di pelo argenteo che porta sul dorso. Questo maschio alfa ha il ruolo di guidare gli altri gorilla fino a luoghi sicuri dove cibarsi e riprodursi. Nella riserva di Bwindi, dopo un paio d’ore di cammino, se si è fortunati, finalmente si trova un gruppo di gorilla che comprende un silverback, appunto, altri esemplari di maschi più giovani, madri e cuccioli. La prima regola è non sostare con il gruppo di gorilla per più di un’ora, e soltanto una volta al giorno. Questo consente di ridurre l’impatto della presenza umana sull’habitat dei gorilla di montagna, poiché molto spesso capita che i gorilla si avvicinino per curiosità a chi osserva, strusciandosi sulle gambe o annusando le ginocchia, lì dove arrivano con il naso muovendosi a quattro zampe. Il gorilla di montagna, infatti, non è poi così alto se si pensa che un esemplare può raggiungere l’altezza massima di uno o due metri se eretto e che solitamente arriva a pesare un massimo di 220 chili. Non bisogna però confondere la grandezza con la potenza muscolare e la forza fisica, caratteristiche principali di questi animali intorno ai quali bisogna muoversi lentamente e parlare a bassa voce, così come si farebbe in vicinanza di qualsiasi altro animale selvatico. Nella foresta dei gorilla l’odore legnoso delle loro flatulenze continue permea l’aria, l’aroma di corteccia rugiadosa e di terra bagnata penetra le narici e il rumore dei rami e delle foglie secche che crocchiano incessantemente sotto i denti dei gorilla sono un sottofondo interrotto solo dalla canzone di qualche cinguettio.
Il gorilla genera profitti milionari, proteggiamolo
I gorilla di montagna ne sono all’oscuro ma, secondo il Wwf, nel corso della propria vita un solo esemplare può generare un profitto di circa 2,5 milioni di dollari attraverso le entrate del turismo sostenibile. Il numero di persone che vanno ad osservare i gorilla in natura è aumentato negli ultimi vent’anni, e questo non è un male poiché ha aiutato a trasformare le attitudini dei governi locali, spingendoli ad un maggiore impegno per la conservazione e per lo sviluppo di politiche per la salvaguardia degli animali. Un turismo socialmente responsabile rappresenta per le comunità locali una soluzione per vivere in prossimità dei gorilla senza entrarvi in conflitto, dinamica che di norma va sempre a scapito degli animali. Queste riserve naturali protette hanno creato opportunità di lavoro, riducendo il tasso di indigenza delle comunità locali ed attivando incentivi finanziari per le politiche di conservazione. Secondo l’African wildlife foundation nell’ultima decade i turisti sono aumentati dell’82 per cento nel parco nazionale Volcanoes in Ruanda e, conseguentemente, tra il 2008 e il 2016 l’introito è raddoppiato. L’ecoturismo in Ruanda è una delle industrie più in crescita dell’intero continente africano e ha contribuito al guadagno di più di 400 milioni di dollari, dei quali almeno una percentuale viene reinvestita nella comunità e nella salvaguardia degli animali.
Inoltre, per mitigare al massimo le dinamiche di conflitto uomo-gorilla sono state messe in atto alcune soluzioni logistiche. Ad esempio, lo sviluppo di piantagioni di tè intorno agli habitat dei gorilla di montagna aiuta a creare una zona cuscinetto entro la quale i gorilla non si avventurano, evitando così il rischio che gli animali arrivino dove le comunità locali sono insediate. I gorilla, infatti, non sono ghiotti di foglie di tè e tendono a non superare i confini delle loro riserve alla ricerca di cibo.
L’unica minaccia per il gorilla è l’uomo
I gorilla non hanno predatori in natura, ad eccezione del leopardo che sporadicamente attacca i cuccioli. L’unico vero predatore del gorilla è l’uomo. Ed anche se ad oggi il violento bracconaggio, alimentato dalla richiesta del mercato di teste e zampe di gorilla, ha avvertito un sostanziale declino, rimangono ancora molte le minacce per la sopravvivenza della specie. I gorilla di montagna spesso muoiono nelle trappole di caccia destinate alle antilopi. Inoltre, i gorilla condividono circa il 98,7 per cento del loro dna con gli essere umani, con la disgraziata conseguenza che sono molto vulnerabili al contagio delle nostre malattie. Un semplice raffreddore può avere effetti devastanti sulla popolazione dei gorilla. È questo il motivo per cui è necessario mantenere, nell’osservazione, una distanza di almeno sette metri e, se, come capita, sono loro ad avvicinarsi, è rigorosamente vietato toccarli o accarezzarli.
Attualmente il cambiamento climatico è il maggior pericolo per la sopravvivenza dei gorilla di montagna. Il riscaldamento globale sta avendo impatti devastanti sulla perdita di habitat di questi animali, ed inoltre, a causa delle attività estrattive nelle montagne dell’Africa centrale, i gorilla sono costretti a vivere in territori sempre più frammentati. Uno studio pubblicato sul giornale scientifico Ecology and Evolution inquadra come il cambiamento climatico aumenti il fattore di stress dei gorilla Virunga, autoctoni del massiccio Virunga appunto, incrementando il rischio di problemi di salute e fertilità e il pericolo di mortalità prematura. Attraverso la raccolta di campioni di feci e la misurazione del livello dell’ormone dello stress (glucocorticoide), i ricercatori hanno scoperto che i Virunga sono sottoposti ad un tasso di stress più elevato in condizioni meteorologiche estreme quando fa più caldo o piove di più. Lo scenario di possibilità climatiche più estreme non è affatto da escludere, considerando che le temperature negli habitat dei gorilla potrebbero salire di almeno 3,6 gradi (rispetto ai valori del 1990) entro il 2029 secondo la African Wildlife Foundation.
Senza i gorilla di montagna l’ecosistema in cui vivono sarebbe compromesso
Lasciar morire i gorilla di montagna non significa solo dover rinunciare alla possibilità di un incontro ravvicinato con questi magnifici animali ed osservarli solo su uno schermo o sulle pagine di un libro, ma significa soprattutto, come spesso avviene nei casi di estinzione di mammiferi di grossa taglia, compromettere l’equilibrio naturale dell’ecosistema nel quale vivono i gorilla di montagna. Senza di loro, che sgranocchiano tonnellate di vegetazione al giorno, la catena alimentare si interromperebbe, con conseguenze non solo per la fauna presente in quelle stesse aree ma anche per le comunità locali che da quelle terre dipendono per procurarsi cibo, acqua e ad altre risorse indispensabili.
Incontrare un gorilla di montagna nel suo habitat naturale è un’esperienza in grado di offrire una maggiore comprensione di noi stessi, non solo perché è una prova fisica non indifferente, ma perché negli occhi iridescenti del gorilla possiamo leggere il vigore della sofferenza e della sopportazione verso la prevaricazione dell’uomo, e solo allora potremo davvero renderci conto di ciò che stiamo facendo al nostro Pianeta. La luminosità dello sguardo del gorilla mette in luce ciò che ancora non abbiamo compreso del tutto: danneggiare i gorilla equivale a distruggere noi stessi.
Un tempo le minacce ai gorilla di montagna erano talmente preoccupanti e a volte fatali che si ipotizzava si sarebbero estinti entro la fine del secolo. Eppure, negli ultimi anni sembra che l’impegno per la difesa e la conservazione abbia dato i suoi frutti. Negli ultimi 30 anni il numero dei Virunga è aumentato da 240 a 604 esemplari, e quello dei gorilla di Bwindi a più di 400, per il totale di più di mille esemplari. Ma basti pensare che nel 2012 i gorilla di montagna erano soltanto 880 e la crescita, anche se lenta, è il segnale positivo che l’incremento della popolazione di gorilla di montagna è costante. La classificazione dello Iucn evidenzia che il rischio di estinzione di questa specie è attualmente diminuito, tuttavia il nostro impegno deve continuare per assicurare il futuro dei gorilla di montagna sul nostro pianeta anche per i tempi a venire.
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