Un tribunale ugandese ha condannato un bracconiere a 11 anni di reclusione per aver ucciso Rafiki, uno dei più noti gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) dell’Uganda. Il 30 luglio l’Uganda wildlife authority ha dichiarato che l’assassino di Rafiki, Felix Byamukama, si è dichiarato colpevole dell’uccisione del primate e di un cefalofo (Cephalophinae), una piccola antilope africana, e un potamocero (Potamochoerus larvatus), animale simile al cinghiale.
Byamukama, in precedenza, aveva ammesso che, insieme ad altri tre uomini, era andato al parco nazionale di Bwindi con l’intenzione di cacciare animali di piccola taglia, ma era stato “costretto” a uccidere Rafiki per autodifesa. Le indagini hanno dimostrato che il gorilla è stato ucciso da una lancia appuntita che ha penetrato gli organi interni. Il gorilla è morto il primo giugno e il suo corpo mutilato è stato scoperto da una squadra di ricerca il giorno successivo. L’Uganda wildlife authority (Uwa) ha poi rintracciato Byamukama presso un villaggio vicino, dove è stato trovato con l’attrezzatura da caccia.
La condanna di Byamukama
Byamukama sconterà diverse condanne per un totale di undici anni di reclusione, un tempo minore rispetto alla condanna a vita che inizialmente era stata chiesta dall’accusa.
Nel 2019, una legge ugandese sulla fauna selvatica ha stabilito sanzioni severe e una pena all’ergastolo per i bracconieri che cacciano specie selvatiche in via d’estinzione. La nuova normativa ha sostituito una legge del 1996 che, secondo gli ambientalisti, era troppo debole poiché prevedeva una pena detentiva massima di soli sette anni per bracconaggio e traffico di animali selvatici.
“Siamo sollevati dal fatto che sia stata fatta giustizia per la morte di Rafiki. Questo dovrebbe fungere da esempio per altri intenzionati a uccidere animali selvatici. Se una persona uccide un animale, tutti noi perdiamo, quindi chiediamo a ogni persona di sostenere i nostri impegni per la conservazione della fauna selvatica per le generazioni presenti e future”, ha dichiarato Sam Mwandha, direttore esecutivo dell’Uwa.
Rafiki, che nella lingua swahili significa “amico”, aveva 25 anni ed era la guida per 17 gorilla che fanno parte del gruppo Nkuringo, nel parco nazionale di Bwindi. I gorilla di montagna, che in media vivono circa 35 anni, sono soliti riunirsi in gruppi con a capo un gorilla maschio, il silverback, chiamato così per la striscia di pelo color argento che lo contraddistingue. Il “maschio alfa” del gruppo ha il ruolo di guidare gli altri gorilla fino a luoghi sicuri dove cibarsi e riprodursi. Per questo l’uccisione di un silverback mette a rischio la sopravvivenza dell’intera comunità.
Il gorilla di montagna oggi sopravvive sulla Terra in due luoghi solamente: la catena di vulcani Virunga, al confine tra Ruanda, Uganda e la Repubblica Democratica del Congo e all’interno del parco nazionale di Bwindi. Insieme, questi luoghi contano un totale di circa mille gorilla di montagna, specie a rischio di estinzione.
Il bracconaggio in Uganda è in aumento
All’inizio del mese scorso, l’Uwa ha dichiarato che i tentativi di bracconaggio in Uganda sono raddoppiati a causa della pandemia di Covid-19 che ha portato ad un aumento della disoccupazione e ad una diminuzione degli introiti, in particolare quelli legati all’ecoturismo.
Con cifre che superano il miliardo di dollari ogni anno e la creazione di migliaia di posti di lavoro, il turismo è un pilastro centrale dell’economia ugandese. Ma, a causa dei rischi causati dal coronavirus, i parchi naturali sono rimasti chiusi al pubblico per diverse settimane, permettendo ai bracconieri un più facile accesso e rendendo gli animali più vulnerabili. Senza turisti è più facile per i bracconieri monitorare l’attività dei ranger e agire quando lasciano una zona scoperta. Il turismo, poi, finanziava anche le attività di anti-bracconaggio.
Con il crollo del turismo, spesso sono i locali che, per sfamare le loro famiglie, cacciano gli animali selvatici. L’autorità ha detto che i ranger hanno scoperto 367 trappole piazzate dai bracconieri tra febbraio e giugno, contro i 163 dello stesso periodo nel 2019. E questi numeri probabilmente sottovalutano il problema, poiché gli animali uccisi e catturati nelle trappole spesso sono portati via prima che le autorità riescano a trovarli.
Prima della pandemia, le comunità locali che abitano le aree intorno ai parchi naturali beneficiavano delle entrate portate dai turisti. Ma niente turismo significa niente denaro. E senza soldi, sono sempre di più i locali costretti ad uccidere per sopravvivere.
Questa nuova realtà rappresenta una nuova sfida per quanto riguarda la gestione della conservazione di specie in via d’estinzione come il gorilla di montagna, che non può e non deve sgretolarsi quando il turismo globale è costretto a fermarsi.
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