Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha definito l’approvazione del Pnacc “un passo importante”, mentre le associazioni ambientaliste invocano al più presto lo stanziamento delle risorse necessarie ad attuarlo.
L’Italia ha finalmente un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc), l’approvazione è stata resa nota dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase). Dopo anni di stallo, il nostro paese si dota quindi di uno strumento cruciale per affrontare l’impatto del riscaldamento globale e della crisi climatica attraverso 361 azioni dedicati alla protezione dei sistemi cruciali del nostro paese e che andranno implementate: “La finalità del piano – spiegano dal Mase – è contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”. Una volta implementato, il Pnacc darà attuazione alla Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015, la cui resa operativa si era però arenata negli anni successivi. E se il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha parlato di “un passo importante per la pianificazione e l’attuazione delle azioni nel nostro paese”, non si è fatta attendere la risposta delle associazioni ambientaliste, che hanno accolto tiepidamente l’approvazione del piano invocando al più presto lo stanziamento delle risorse economiche necessarie alla sua attuazione.
Cosa prevede il Pnacc
Il via libera al Pnacc è arrivato il 21 dicembre del 2023. Con il documento il governo ha fornito un quadro di indirizzo nazionale per “l’implementazione di azioni finalizzate a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici”. In sostanza, si tratta di 361 misure da adottare su scala nazionale o regionale riguardanti un ampio ventaglio di tematiche ambientali: acquacoltura, agricoltura, energia, turismo, foreste, dissesto idrogeologico, desertificazione, ecosistemi acquatici e terrestri, zone costiere, industrie, insediamenti urbani, patrimonio culturale, risorse idriche, pesca, salute e trasporti.
Il piano prevede poi una differenziazione delle misure da adottare in base all’entità degli interventi richiesti: azioni “soft” per quelle che non richiedono interventi strutturali e materiali diretti, azioni “green” per quelle che richiedono interventi materiali che intervengano solo sulle risorse naturali già a nostra disposizione, mentre le azioni “grey” prevederanno sforzi infrastrutturali come la costruzione di nuovi impianti e infrastrutture. La stragrande maggioranza delle azioni – oltre 250 – è classificata come “soft”, nonostante gli ultimi mesi abbiano messo in evidenza l’estrema necessità di interventi di adattamento profondi, a cominciare da quelli per affrontare il dissesto idrogeologico.
Nel Pnacc troppe misure “soft” per un paese così vulnerabile
La necessità di un intervento di ampia portata riflette la posizione di vulnerabilità del nostro paese per quanto riguarda fenomeni come il già citato dissesto idrogeologico, il consumo di suolo, l’erosione delle coste e tante altre questioni. Solo nell’ultimo anno abbiamo assistito ad episodi di estrema gravità causati da eventi climatici come le alluvioni in Emilia-Romagna e in Toscana che, oltre a catapultare vaste aree del nostro paese in uno stato di emergenza, hanno causato ingenti danni economici. A tal proposito, nel piano compaiono riferimenti al bisogno di manutenzione per quanto riguarda la cura del sistema fluviale.
Ed è proprio il Pnacc a evidenziare molte delle criticità che le politiche di adattamento del nostro paese sono chiamate a risolvere. Basti pensare al livello dei mari, per il quale il piano contiene previsioni che parlano di un aumento di quasi 19 centimetri entro il 2065. O ancora, alla moria dei ghiacciai del nostro paese che hanno già perso il 30-40 per cento del loro volume. Preoccupano poi l’aumento delle temperature dei mari: nelle proiezioni per il 2036-2065 si osservano per esempio +1,9 gradi Celsius nel Tirreno oppure +2,3 gradi nell’Adriatico, temperature che andrebbero a sconvolgere gli ecosistemi naturali e porteranno ad aumento della potenza degli eventi meteo estremi.
Le reazioni dal mondo ambientalista
Il piano è stato accolto con favore dal mondo delle associazioni che lavorano in difesa dell’ambiente, soprattutto perché la sua approvazione sembra segnare il termine di uno stallo operativo durato sei anni che ha attraversato quattro governi. Proprio per questa ragione non sono mancate le critiche e appelli a fare sforzi ancora più ambiziosi rispetto ad un piano che sembra accusare il ritardo accumulato negli anni: “Ricordiamo al ministro dell’Ambiente e al governo Meloni che per attuare il Pnacc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta“, ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. L’associazione si è soffermata soprattutto sulla necessità di aumentare gli sforzi relativi alla produzione di energia rinnovabile e la riduzione di gas climalteranti entro il 2030, oltre a chiedere che entro tre mesi “si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori”.
Una posizione ancora più dura è quella espressa dal Wwf Italia. L’ente per la conservazione della natura ha sottolineato come nel piano sia evidente la “mancanza di decisioni chiare e coraggiose e la scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle”. Ciò è sufficiente a giudicare il Pnacc “inammissibile”, proprio perché, a differenza della concretezza e del dettaglio che ci si aspetterebbe da un piano, propone solo “possibili opzioni di adattamento che troveranno applicazione nei diversi strumenti di pianificazione, a scala nazionale, regionale e locale”. Tradotto: molto rumore per nulla.
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