La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
Si è conclusa il 2 novembre la Cop16 sulla biodiversità, in Colombia. Nonostante le speranze, non arrivano grandi risultati. Ancora una volta.
Un’invasione che sta mettendo a rischio l’ecosistema lagunare e le attività ittiche. Tra scarsi monitoraggi e l’invito al consumo umano, si sta perdendo di vista il vero problema: la perdita di biodiversità.
Il mercato ittico di Pila, nella parte più a nord del delta del Po, oggi non aprirà. Il vento soffia fortissimo e increspa le acque salmastre della laguna. Impossibile uscire in barca. Niente cefali, cozze o vongole quindi. Qualche pescatore però arriva lo stesso, con casse piene di quello che è già stato battezzato come il “flagello del delta del Po”. Il granchio blu o granchio reale (Callinectes sapidus) ha infatti invaso queste acque e negli ultimi mesi estivi ha visto crescere la popolazione in maniera così esponenziale che i pescatori ormai catturano quasi esclusivamente granchio blu.
“Ci sono solo loro ormai, anche i granchi locali sono scomparsi”, racconta Marco Bergantin, che ha appena scaricato una cassa intera del temibile crostaceo. Fino a qualche tempo fa pescava cefali, vongole e altri pesci tipici della zona, ma ora non più. “Non ho mai visto una cosa del genere. Saranno sette otto anni che è presente in queste zone, ma ora è esploso. Più ne peschiamo e più sembra che il loro numero aumenti”.
Bergantin fa parte della cooperativa Pescatori di Pila che insieme ai pescatori del polesine conta circa 1.500 persone, con relative famiglie. Ed è proprio qui nelle acque salmastre della laguna che il crostaceo sembra aver trovato il luogo ideale per crescere e prosperare. La sua presenza infatti è nota nel mar Mediterraneo già dagli anni ‘50 e in molti paesi costieri europei è conosciuto e consumato da decenni. Ma qua sembra aver trovato il luogo ideale dove crescere a ritmi considerati ormai insostenibili per la laguna e i suoi abitanti, non solo per chi vive di pesca.
Il crostaceo infatti predilige vivere negli estuari dei fiumi, in zone lagunari sabbiose e fangose. Tollera un ampio range di valori di temperatura e salinità: può vivere con temperature dai 5°C ai 35°C e valori di salinità tra il 2 e il 48 per mille ma può tollerare anche acque ipersaline fino a valori del 117 per mille. Una giusta salinità che ha ritrovato anche in queste acque, che ospitano gli allevamenti di vongole veraci filippine (Ruditapes philippinarum) delle quali banchetta voracemente. “Siamo arrivati al punto di non ritorno”, racconta Giovanni Franzoso presidente della cooperativa Pescatori di Pila. “Da fine giugno ad oggi stiamo mandando al macero dai 40 ai 180 quintali al giorno”. Calcolando che un esemplare adulto pesa circa 300/400 grammi, si parla di oltre 50mila esemplari al giorno. Pescati solo per tentare di contenerne l’aumento.
Nel piazzale del mercato arrivano altri granchi. Molti di questi sono già morti, quindi non sono né vendibili né commestibili. Quest’estate il consorzio si è attrezzato per catturarli e smaltirli, pagando 1 euro al chilogrammo i pescatori della zona. “Nessuno pensava fosse così invasivo”, continua Franzoso. “Fino a poco tempo fa si potevano trovare granchi, anguille, gamberi. Chi ha potuto scappare è scappato, il resto è stato predato”. Ma ciò che più preoccupa il consorzio di pescatori è il rischio che uno dei prodotti ittici di punta possa scomparire. “Rischiamo un anno senza vongole”, spiega Luigino Pela, direttore del mercato ittico. “A ottobre capiremo se abbiamo ancora prodotto, altrimenti rischiamo di restare fermi almeno un anno”. I granchi infatti predano anche le vongole più piccole, dette “di semina”, che servono alle raccolte stagionali: è come se un agricoltore a inizio stagione non trovasse più la materia prima da seminare.
La preoccupazione dei pescatori è stata confermata anche da un monitoraggio effettuato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e da Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto) a fine luglio: “sulla base delle catture osservate con ostreghero – tipo di rete usato per la pesca in laguna, dalla forma a imbuto – si evidenziano valori elevati di densità di granchio blu”, si legge nella relazione finale. “I campioni di vongole raccolti e analizzati confermano, inoltre, che nelle aree indagate sono presenti esemplari con segni dovuti alla predazione da parte dei granchi”, confermando ciò che i pescatori hanno riportato nelle ultime settimane. “In particolare nella Sacca del Canarin, dai campionamenti effettuati negli orti di ingrasso delle vongole, si sono registrate percentuali elevate di esemplari con valve aperte (68-96 per cento), con valve evidentemente lesionate da predazione di granchio blu con percentuali che vanno dal 41 al 56 per cento”. Numeri elevati che mettono a rischio il raccolto e secondo i pescatori anche il prossimo Natale. “Stiamo comunque facendo un buon lavoro”, spiega Franzoso. “Stiamo lavorando per mettere in protezione la semina, anche se non potremo coprire la domanda dei pescatori. L’idea è quella di iniziare a lavorare d’inverno, mentre d’estate combattere il granchio”.
Il granchio blu è considerato una tra le 100 specie aliene più invasive nel Mediterraneo: si tratta di specie che sono stata trasportate e introdotte volontariamente o meno dall’uomo in aree del pianeta che non sarebbero state colonizzate in maniera autonoma. Può vivere fino a quattro anni ed è onnivoro e generalista: si ciba di bivalvi (cozze, vongole, ostriche), gasteropodi, crostacei, anellidi, insetti, pesci, e anche di alghe. Predilige vivere negli estuari dei fiumi, nelle zone lagunari sabbiose e fangose.
Maschi e femmine si riconoscono facilmente grazie allo spiccato dimorfismo sessuale, ovvero nei maschi l’addome è lungo e sottile a forma di “T” rovesciata mentre nelle femmine mature è largo e arrotondato e in quelle immature è di forma triangolare. Gli artigli nei maschi sono blu con punte rosse mentre nelle femmine la colorazione è arancione con punte viola. Si tratta di una specie estremamente fertile, la femmina può deporre da 700mila fino a 8 milioni di uova. Le femmine generalmente si accoppiano solo una volta, dopo l’ultima muta, i maschi possono accoppiarsi più volte. Ma il granchio blu ha anche dei predatori: pesci (come l’ombrina), soprattutto verso gli individui giovani, uccelli, anguille tartarughe marine e ovviamente l’uomo.
Il caso italiano è stato recentemente inserito nel Rapporto di valutazione sulle specie aliene invasive e il loro controllo, pubblicato dalla Piattaforma intergovernativa sulla biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes) che ha valutato non solo il danno biologico causato dalle specie esotiche, ma anche quello economico: si parla di oltre 423 miliardi di dollari all’anno, più delle stime dei costi annuali globali dei disastri naturali. Non solo, ma si pensa che le specie aliene invasive abbiano svolto un ruolo chiave nel 60 per cento delle estinzioni globali di piante e animali. Mentre molte specie aliene sono state storicamente introdotte di proposito per i loro benefici percepiti per le persone, il rapporto rileva che gli impatti negativi di quelle che diventano invasive sono enormi per la natura e le persone.
“Le specie invasive mostrano un fenomeno che avviene in tutto il mondo”, spiega Ernesto Azzurro, primo ricercatore presso Cnr-Irbim. “Ci sono specie che aspettano anni per esplodere, altre che regrediscono naturalmente. In questo caso non possiamo pensare che sparisca da un anno all’altro, perché in altri paesi non è stato così”. Sarà dunque fondamentale monitorare la popolazione e raccogliere quanti più dati possibile.
“Da anni monitoriamo l’invasione degli alieni nel Mediterraneo. Ma, come successo con la pandemia, il problema è il gap tra la ricerca scientifica e il decisore politico”. Insomma, la ricerca da tempo era a conoscenza del problema, tanto che il granchio blu rientra nei casi studio dell’Ipbes, insieme alla formica gialla pazza australiana (Anoplolepis gracilipes), tra le più invasive al mondo, o all’ostrica del Pacifico (Magallana gigas) che ha modificato l’habitat costiero danese nell’ultimo secolo.
Che fare dunque? Azzurro è piuttosto chiaro a riguardo: “Possiamo mitigare il fenomeno, anche se il problema delle specie aliene è globale, tra le attuali cause della crisi di biodiversità. Non è risolvibile mantenendo l’attuale modello di sviluppo e di scambio merci”. Infatti ad ogni nuova specie introdotta nell’ambiente naturale, sia per ragioni economiche (le vongole filippine allevate nel delta hanno soppiantato la vongola verace autoctona), che per altre cause non volute, risulta un profondo cambiamento dell’equilibrio naturale. Un equilibrio che una volta perduto è impossibile recuperare.
È l’ennesima lezione che mostra come l’accelerazione dell’economia globale, l’intensificazione e l’espansione dei cambiamenti nell’uso dei suoli e degli oceani e una predazione costante delle risorse naturali, non possa che compromettere la salute degli ecosistemi naturali, e sul medio periodo del nostro stesso benessere. Una corsa a ostacoli, bendati. “Staremo a vedere”, continua il ricercatore. “Alcune specie regrediscono spontaneamente ma per ora non abbiamo elementi per dire che questo possa avvenire in modo naturale. In Tunisia il granchio blu del Mar Rosso (Portunus segnis) è diventato la prima risorsa ittica del paese. Probabilmente i pescatori dovranno abituarsi alla sua presenza”.
Una conferma che arriva anche dal presidente del consorzio, mentre arriva un altro carico e il container refrigerato si riempie rapidamente: “Non c’è dubbio, dovremo adattarci”.
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